2. L'AUTOGESTIONE COME COLLANTE DELLE PRATICHE ARTISTICHE OPPOSITIVE NEGLI ANNI OTTANTA
Prima di entrare nel vivo delle pratiche artistiche degli artisti qui trattati, è bene operare un breve viaggio all'interno dell'ambito culturale (o meglio controculturale) degli anni '80, che e' stato decisivo per la formazione di tale "tribù artistica". In questo modo sarà possibile contestualizzare nella realtà italiana le pratiche oppositive precedentemente accennate (come il punk, i graffiti, la mail art, il cyberpunk, l'hackeraggio, la telematica antagonista) e tessere più saldamente la tela attorno al concetto di arte digitale interattiva italiana.
Il cut-up precedente, ha associato fra loro alcuni frammenti seguendo il filo logico delle pratiche artistiche oppositive che si sono realizzate operando una relazione fra arte e vita e contrapponendosi alla mercificazione della cultura (quindi è un cut-up un po' spurio, dato che la prassi combinatoria non è casuale, come nei cut-up di Burroughs).
Per permettere comunque una maggiore consapevolezza critica riguardo a queste tematiche, è necessario ordinare i vari tasselli prima raggruppati, in modo da dare vita ad un mosaico dai confini meno labili. La parete di sfondo in cui i frammenti possono essere inseriti è costituita dal circuito "sotterraneo" di relazioni che si crea durante gli anni '80 e che vede impegnati attivamente molti individui all'interno degli spazi autogestiti, che diventano il collante per tante pratiche sociali e artistiche.
2.2 I Centri Sociali Occupati (CSO) come spazi liberati e circuito di relazioni sociali
Leggendo le interviste con gli artisti da me contattati e ancora meglio, visionando i loro scritti e le loro opere, appare chiaro che essi non sono estranei alle realtà "underground" e a quelle situazioni legate ad un circuito sotterraneo, trasversale e alternativo, zone di confine che hanno avuto origine in Italia soprattutto alla fine degli anni '70. In quegli anni e in particolar modo nel decennio successivo, hanno cominciato a fiorire nel territorio italiano vari spazi autogestiti, in cui si dava la possibilità di instaurare relazioni comunitarie e attive nel campo socioculturale antagonista soprattutto negli ambienti giovanili. Si deve ricordare che i Centri Sociali sono nati come spazi liberati, strappati al degrado urbano, spazi dove vivere le cose negate, nello scenario di realtà in cui difficilmente è possibile trovare luoghi che permettano forme di aggregazione spontanee e creative al di fuori dei circuiti spettacolari e in cui invece sono frequenti i non-luoghi in disuso, spazi morti disabitati (che si cerca di riportare in vita occupandoli). I Centri Sociali si vogliono opporre alle logiche aggregative strumentalizzate dall’industria dello spettacolo e della merce e vogliono proporre un modo alternativo di "fare cultura", organizzando in proprio e spesso con mezzi poveri gli eventi sococulturali, come concerti, rassegne cinematografiche, proiezioni video, mostre artistiche e fotografiche, ecc., oppure offrendo a prezzi modici libri, riviste, Cd musicali, video, spesso autoprodotti. Nello stesso tempo vogliono offrire anche possibilità di aggregazione attivando birrerie, cucine, sale da tè, spazi in cui ballare in cui i prezzi sono notevolmente ridotti.
L'etica dei Centri Sociali è rappresentata dal loro simbolo: un cerchio squarciato da una saetta, che sta a significare una realtà chiusa (come può essere quella cittadina) dilatata dalla forza aggregativa spontanea, come fonte di crescita sociale e culturale, che si oppone al nichilismo eterodiretto e a una logica di massificazione passiva (i Centri Sociali negli anni '80 si sono fatti promotori di parecchie pratiche sociali, come per esempio la lotta all'eroina, il cui consumo dopo la fine degli anni '70 era aumentato notevolmente, soprattutto fra i giovani).
"In fondo i Centri Sociali Occupati (CSO) cercano di essere anche questo: una diga che freni lo sfacelo, che opponga alla progressiva 'desertificazione' urbana, una concezione diversa del vivere quotidiano. Fatta di musica, di immagini, di strumenti di comunicazione, di lavoro artigianale, creatività, organizzazione in proprio di servizi (asili nido, assistenza agli anziani, ecc.)" I Centri Sociali quindi conservano l’aspetto di zone liberate ed autonome in cui costruire reti di relazioni fra individui a partire dall’autogestione degli spazi e delle manifestazioni organizzate al loro interno.
Tali processi aggregativi fra i giovani sono favoriti dalla messa a punto in questi ambienti di veicoli di comunicazione autogestita di cui ho parlato sopra, come riviste autoprodotte, dischi, video, rassegne cinematografiche. Questa forma di comunicazione spontanea si fa molto frequente all'interno del movimento punk, che dilaga nell'ambito dei Centri Sociali negli anni '80. Alba Solaro, nella descrizione del movimento punk, sottolinea proprio questi aspetti: "Le loro scelte assomigliano terribilmente alle controculture degli anni Sessanta, beat e hippie, con la differenza che non c'è più il sogno, l'utopia, perché ‘non c'è futuro’ [ricordando lo slogan No future lanciato dai Sex Pistols e dal punk anglosassone]. Tutt'altro che anticonsumista, anzi, teso a riappropriarsi dei consumi e 'autogestirli', il movimento punk produce all'interno dei centri occupati una gran quantità di materiali: dischi, cassette, video, e decine di 'fanzine' che hanno poco a che fare con il concetto classico di fanzine, cioè giornalino redatto in proprio dai fans di questo o quel gruppo; sono piuttosto delle 'punkzine' o delle riviste di controinformazione, alcune fortemente 'militanti' […], altre definibili piuttosto come 'artzine', con particolare attenzione alla sperimentazione in campo artistico ed ai nuovi linguaggi (dalla mail art ai fumetti, dall'arte industriale ai graffiti)."
Uno sguardo in particolare merita la pratica comunicativa della mail art. Tale forma di comunicazione si afferma grazie alla "New Corrispondence school of Art" di Ray Johnson nel 1962, all'interno del gruppo Fluxus. "Il network della mail art ha sempre avuto negli innumerevoli progetti interattivi che ne sono in qualche modo il telaio, forti connotazioni sociali, e, nelle sue forme più libere è stato spesso parte integrante di pratiche di movimento libertarie e controculturali. Negli anni '60/'70 la mail art ha massicciamente sostenuto i messaggi di urgenza pacifista ed è stata un ottimo veicolo di diffusione, per esempio, delle estetiche dell'era psichedelica, con le tante cartoline realizzate artigianalmente dai colori elettrici e dalle grafiche sognanti e distorte che circolavano per il mondo come segno di ‘fratellanza’; più avanti saranno le subculture punk ed industriale a fare largo uso del network mail art. La riflessione e la presa di posizione su tematiche sociopolitiche sono costanti nella mail art."
In poche parole la mail art consiste in una rete (per questo viene detta Network della Mail Art) di relazioni che è possibile instaurare attraverso il circuito postale e si svolge in pratica spedendo e ricevendo lettere da molte parti del globo, instaurando legami "virtuali" con tanti individui uniti semplicemente dalla voglia di comunicare.
Vittore Baroni, attivista della mail art negli anni '80, scrive: "Una lettera indirizzata a te personalmente, dall'angolo più lontano del globo, è un filo di energia che lancia messaggi più potente di uno show sul primo canale TV. Attraverso il sistema postale puoi scoprire una trama di energia planetaria, un network di amore, arte, follia. Ogni cosa è possibile, ogni cosa funziona. Per certi versi è come pescare a caso in una piscina piena di stranezze."
Dalla Mail Art nascerà l'idea dei Networker Congress, i primi incontri dedicati a chi opera sulle Reti, sia postali che telematiche, come veicolo di comunicazione orizzontale e democratica, tematiche che ancora oggi sono attuali grazie ad Internet.
Tornando al discorso sul movimento punk, quindi uno degli aspetti che lo caratterizza è proprio l'uso controculturale degli strumenti mediatici e ha molto importanza l’idea di realizzare pratiche oppositive in vari ambiti espressivi, fra cui quello musicale: "RIFIUTIAMO LA LOGICA CHE CI VUOLE OGGETTI PASSIVI DI FRONTE ALLO SPETTACOLO, CREIAMO MUSICA NATA DAL BASSO NATA DALLE NOSTRE REALI ESIGENZE: REALE DIVERTIMENTO CONTRO IL LORO FITTIZIO GIOCO. NON ACCETTIAMO INTERMEDIARI…[…] i frequentatori dei concerti devono capire che il ruolo dello spettatore può essere ribaltato - i grandi cambiamenti tecnologici ci spingono alla produzione indipendente - non abbiamo più bisogno di scienziati dello star business - non vogliamo più mendicare nelle case discografiche e nelle discoteche - lì suonano solo i più bravi - solo quelli che alle spalle hanno almeno cinque anni di preparazione - nei nostri luoghi suoneranno tutti…"
2.3.3 La performance corporea e l’etica punk
Quindi il punk è un movimento che fa proprie determinate pratiche reali, che assumono anche una valenza performativa corporea: basta pensare a come i punk comunicano con il corpo attraverso i capelli colorati, i piercing, i tatuaggi, gli abiti squarciati e pieni di scritte (elementi prontamente commercializzati dall'industria culturale, come ricordava sopra Gavyna). All’interno del movimento punk è molto forte l’importanza assegnata all’aspetto esteriore, che diventa il portavoce di uno stile di vita e di pensiero. Nel proprio corpo i punk imprimono le loro idee, che sono idee antagoniste, radicali e di rifiuto verso una società che vuole tutti uguali e massificati, costretti a vivere una vita impostata dall’alto che si realizza nella famiglia, nel lavoro, in un certo tipo di consumi, nel modo di vestire, di ascoltare la musica, di parlare, di vivere.
Marco Philopat nel suo libro Costretti a sanguinare riporta in vita gli ideali e il modo di vivere dei giovani punk italiani dal 1977 al 1984, dando uno spaccato dei primi anni ’80 molto incisivo, anche perché vissuto in prima persona. Il suo testo inizia proprio con queste parole: "I capelli sono fondamentali - bisogna assolutamente tenerli dritti - in piedi - come spilli - borchie - sono un simbolo importante - le punte rigide significano odio - i capelli devono stare in piedi - incazzati con il mondo intero…"
Il punk non è una moda, né una sottocultura, né una banda spettacolare giovanile, è un movimento che porta con sé ideali molto forti, di rottura contro la tradizione e di rifiuto verso le ideologie degli anni passati: i punk sono consapevoli della morte di tali utopie, ma non per questo cadono nel vittimismo e nel nichilismo, come invece molta informazione di quegli anni ha voluto far credere. In molti si adoperano per costruire il nuovo e lo fanno con i loro mezzi (poveri) e le loro idee (antagoniste, radicali e di rifiuto) e forse proprio per la radicalità delle loro posizioni, sono stati poco compresi, anche perché si sono volutamente tenuti ai margini di determinati ambienti che sembrano legittimare l’importanza delle cose mediante la visibilità spettacolare. Nelle idee punk traspare quindi un cinico realismo che vuole vedere in faccia la durezza della realtà, ma non per questo ne vuole essere soffocato: i punk si oppongono ad una vita massificata e allo spettro dell’eroina con ideali alternativi e con un aspetto esteriore da urto. Questo brano nel libro di Marco Philopat rende l’idea: "Cristina mi è accanto - di notte attraverso le pareti interamente costruite da vetrate - il cielo della città si presenta tinto di arancione opaco - sotto l’effetto dei biscotti magici ci appare ancora più inquietante - ‘è un colore troppo irreale - ruggine! - alle volte mi sembra di essere un prodotto artificiale - respiro merda - mangio merda - ho dei rapporti di merda - non ho nessuna fede - né politica né religiosa - vivo alla giornata senza preoccuparmi minimamente del mio futuro - insomma mi sento una robottina programmata per l’autodistruzione’ - ‘no - noi siamo diversi - vestiamo di nero - il grigio il marrone quelli sono colori alienanti - guarda i tuoi capelli rosa shocking - i miei viola - i tuoi stivaletti di plastica verde fluorescenti - ti sembrano colori da impiegati? Loro sì! Sono dei robot! - e questa casa? - questa stanza? - E’ la nostra fortezza da qui partirà l’assalto alla cappa color mattone!’ - ‘Illusioni! - siamo rintanati qua da tre giorni consecutivi - cosa credi che là fuori qualcosa sia cambiato? - il cielo tra poco diventerà rosa o viola - oppure se ne inventeranno uno fasullo con tutte le lampadine a simulare le stelle - nessuno si accorgerà della differenza - e noi saremo diventati come la vecchia lavatrice di mia madre’…"
Da questi scenari "bladerunneriani" impietosi e appassionati, emerge quindi da una parte il duro realismo di una vita ai margini a causa del suo essere contro, dall’altra la volontà di lottare per la trasformazione, che verrà applicata soprattutto all’interno dei Centri Sociali Occupati.
2.3.4 Gli spazi autogestiti - Il VIRUS di Milano
Nella realtà dei CSO italiani, quindi, i punk portano le idee di rifiuto delle ideologie e la cinica visione di un presente che non si può evitare e da cui non si può fuggire e da cui però non ci si deve fare schiacciare. "Se il movimento anarco-punk italiano ha avuto il suo tempio, la sua 'cattedrale', questo era il Virus di Milano. Una villetta occupata non molto distante dal centro della città, in via Correggio, è stata nei primi anni Ottanta il palcoscenico privilegiato della controcultura punk e delle sue bands. ‘Anti Utopia’ era il nome della punkzine militante che il centro produceva."
Il VIRUS di Milano ebbe fra i suoi fondatori proprio Marco Philopat di cui ho parlato sopra.
Questo è il testo di un volantino che presenta i punti fondamentali del progetto del VIRUS:
VIRUS ESPANSIONE DI AZIONI IMMAGINI E RUMORI
Virus è uno spazio autogestito da un gruppo di giovani nell’area occupata di via Correggio 18 a Milano.
Virus è un progetto di sviluppo di cultura autonoma autogestita senza fini di lucro.
Virus è partecipazione - lo spazio è di tutti coloro che partecipano al progetto - è inoltre aperto a situazioni esterne operanti con lo stesso fine.
Virus è attività.
Virus è negazione di droghe.
Virus è adesso a Milano perché c’è noia e ci vengono negati tutti gli spazi - è nostro intento crearne altri.
Virus non si chiude in se stesso - ma opera/organizza anche all’esterno secondo fatti/situazioni attuali.
Virus è un grosso punto di incontro per tutti i gruppi che vorranno suonare o fare attività - la riunione è al martedì sera.
Virus come spazio è frutto di dure lotte contro i padroni - come struttura è frutto della lotta contro la mancanza di soldi.
Virus non è commercio o commerciabile - per questo gli spettacoli saranno qualitativamente più veri o reali o…più scarsi (secondo i punti di vista) - comunque il prezzo del biglietto è certamente più basso.
Firmato: Collettivo punx anarchici - PUNK/ATTIVI VIRUSIANI"
All'interno dei centri occupati come il VIRUS fondamentale era quindi il concetto di autogestione:
"L'autogestione di per sé non ha colore, non ha ideologia: indica semplicemente una gestione diretta, non verticistica. […] L'autogestione come prima forma di autoproduzione, come valorizzazione dell'orizzontalità nelle decisioni, fuori da ogni logica di organizzazione e di partito."
Un altro concetto molto forte all'interno dei CSO è anche quello di autoproduzione:
"Autoproduzione è un fatto di qualità, di rapporto con le cose, di ‘imparare’ a fare e gestire, ma a fianco di questo c'è anche un fondamento ideologico, che è, almeno all'inizio, sostanzialmente il rifiuto del mercato, del sistema produttivo. Rifiuto, in sostanza, di considerare la cultura come ‘merce’."
All'interno di spazi autogestiti come il VIRUS, comincerà quindi a circolare materiale di comunicazione autoprodotto, per esempio le punkzine: "la realizzazione di punkzine diventa centrale - nei labirinti cittadini i negozi di fotocopie nascono come funghi - quindi la possibilità del ‘fai da te’ si concretizza e coinvolge praticamente tutti i punx del Virus - il baratto diventa una pratica quotidiana - si moltiplicano i tentativi - anche single - di progetti editoriali dove il redattore è anche grafico - stampatore - rilegatore e distributore - nasce la Virus Diffusioni un banchetto permanente per la vendita di dischi autoprodotti e punkzine". Successivamente, quando il movimento punk dilaga in tutta Italia, verrà creata una rivista chiamata "Punkaminazione" con redazione itinerante gestita dalle comunità punk italiane, che a turno avranno a disposizione una pagina per descrivere le realtà punk locali e informare sui concerti e i nuovi dischi autoprodotti.
All’interno dello stesso circuito che collega musica, riviste e luoghi, si formeranno alcuni gruppi di comunicazione indipendente, come il gruppo Amen, che dal 1983 dà vita ad una propria fanzine e a dischi, video, libri, performance e inserisce dischetti di computer nelle produzioni (Amen ha anche pubblicato il libro Opposizioni '80 di Tommaso Tozzi di cui parlavo sopra.)
Il gruppo Amen, graviterà anche intorno all'Helter Skelter, un altro spazio autogestito di Milano nato come area di concerti e poi apertosi a nuovi fermenti culturali come l'arte industriale, il rumorismo, la sperimentazione elettronica.
"Con l’arrivo dei gruppi di musica industriale, Einsturzende Neubaten, Test Department e molti altri, i punx milanesi si sentirono in qualche modo scavalcati: la musica manteneva la grinta e la velocità punk, ma gli strumenti non erano più i classici basso batteria chitarra e si suonava su strumenti rubati alla decadenza della società industriale, come tamburi ricavati dai bidoni dell’olio, trapani, smerigliatrici, tubi, catene e corde d’acciaio."
Intorno alla metà degli anni Ottanta l’esperienza punk sembrava finita, anche perché il Virus fu sgomberato nel Maggio del 1984 (quasi l’avverarsi delle apocalittiche profezie Orwelliane di un pesante controllo sulla libera espressività) e non si ricreò più una simile calamita per tutti i giovani del movimento. Queste, le parole di Philopat a conclusione del suo libro per descrivere il tramonto dell’esperienza: "Penso che il 1984 sia stato l’anno in cui il punk, nella sua espressione più incisiva, sia finito. Il ‘no future’ così come lo avevamo inteso fino ad allora non significava più un punto di arrivo ma un punto di partenza, non una negazione delle possibilità ma un ‘viviamo il presente’ nella sua forma più decisa o, meglio ancora, come un rifiuto del futuro borghese e il tentativo di crearci un futuro ‘nostro’, che concretizzasse, rendesse stabile e ampliasse quella alterità radicale di cui si era tanto sognato. Un passaggio non certo facile da assimilare, così molti tra noi, per condizione sociale o malessere esistenziale, non l’hanno capito e sono precipitati, come gran parte della generazione precedente, in uno dei tanti inferni metropolitani: eroina, pazzia, lavoro regolare, famiglia. Proprio per questo tanti personaggi di questo libro sono morti malamente, suicidati o in incidenti stradali, ma la maggior parte di loro per Aids, cosa strana per tipi che erano essi stessi ‘virus’ qualche tempo prima della peste.
Altri, chiamiamoli ironicamente ‘i sopravvissuti’, sono andati avanti e sono oggi i componenti dei collettivi dei centri sociali Cox 18, Pergola Tribe, Squott, Garigliano, Transiti oppure fanno lavori creativi nel campo dell’editoria, musica, tatoo, piercing, computer, teatro, cinema, mantenendo e modernizzando la loro identità."
Rimangono quindi invariati i principi dell’autogestione e dell’autoproduzione rimanendo fedeli all’idea dell’espressione creativa al di fuori di certi circuiti sostanzialmente spettacolari e mercificati.
2.4 Dal movimento punk alle pratiche cyberpunk
E' proprio il circuito delle autoproduzioni che fa da collante fra il movimento punk e quello cyberpunk, apparentemente distanti, ma invece legati sotto vari aspetti.
All'interno dei CSO nella seconda metà degli anni '80, infatti, cominciano a diffondersi idee che ne avvicinano i frequentatori ai nuovi strumenti tecnologici, come i primi personal computer e modem.
"Le tecnologie informatiche non sono più vissute come 'nemiche', bensì come un'opportunità straordinaria di dilatare la sfera della democrazia (Primo Moroni), sull'esempio di esperienze come quella dei 'phone freaks' americani, che già dagli anni '70 praticavano la pirateria telefonica inventando strumenti che permettevano di telefonare gratis, oppure le incursioni nelle banche dati computerizzate da parte degli hackers."
Cominciano quindi a diffondersi i concetti portanti dell'etica cyberpunk, che attraverso i Centri Sociali in Italia vengono riversati dai libri di Gibson e Sterling alla realtà quotidiana.
Si comprende l'importanza degli strumenti informatici per dilatare le relazioni sociali orizzontali e per realizzare ancor più compiutamente i prodotti autogestiti, limitando i costi, i tempi e migliorando la qualità.
2.4.1 Le messaggerie telematiche (Helena Velena e Bifo)
L'informatica unisce quindi con un filo rosso determinate istanze oppositive punk alle pratiche cyberpunk. Esemplare in questo senso è l'attività di Helena Velena (negli anni '80 Jumpy Velena): fondatrice della Multimedia Attack di Bologna, una delle prime strutture di autoproduzione musicale vicina all'universo punk e hardcore punk (per esempio produsse i primi dischi dei CCCP), si è avvicinata al mondo cyber dando vita alla società di servizi editoriali Cybercore, in cui trova spazio una messaggeria telematica per gli amanti della cultura sadomaso (Lady Domina, Trans X). Attualmente Helena Velena si è impegnata per combattere tutte le operazioni di censura in Internet, per esempio sfidando il Communication Decency Act, varato dal senatore Exon (USA) al fine di limitare la circolazione di materiale pornografico in Rete, lottando per mantenere la struttura orizzontale originaria di Internet e per conservarne la forma di organizzazione anarco-libertaria, necessaria per una comunicazione spontanea e trasparente.
Un altro nome che oggi ricorre notevolmente all'interno dei discorsi sulla tecnologia e che è considerato un degno portavoce dell'universo cyber è Franco Berardi (Bifo), anche lui proveniente da situazioni antagoniste del passato (leader del '77), e noto nei primi anni '90 per aver dato vita insieme a G. Guglielmi alla società Synergon, un'altra messaggeria telematica (per incontri soft).
2.4.2 La Calusca City Lights e il gruppo di Decoder
Tornando agli anni '80 e al mondo dei Centri Sociali e dell'autogestione, va sicuramente segnalata la presenza di una libreria chiamata Calusca City Lights (nome che ricorda la libreria beat di San Francisco) all'interno del CS Cox 18, di via Conchetta a Milano. Questo spazio, gestito da Primo Moroni, rimase noto per la diffusione di materiale attinente ai movimenti politici e controculturali degli ultimi decenni (a partire dagli anni '60) e ha anche il merito di aver dato vita all'attività della Cooperativa Shake (che oggi propone libri sulle controculture punk, cyberpunk, cyberfemministe, psichedeliche, di movimento, insieme a saggi su alcuni "guru" come Ballard, Burroughs, Gysin e testi di Hakim Bey), da cui nacque Decoder, la rivista 'cult' del mondo Underground, vicina all'universo Cyberpunk.
La Calusca in realtà esisteva già dal 1971, gestita sempre da Primo Moroni, ed aveva sede in Via della Calusca a Milano. A causa di uno sfratto, rimase senza sede dal 1985 e poi trovò accoglienza all'interno del Cox 18.
Attraverso le parole di Gomma, membro della redazione di Decoder e cofondatore della Cooperativa Shake, che ricorda la nascita dell'esperienza di Decoder all'interno della Calusca, si può capire come i circuiti dell'autogestione siano stati il perno di diffusione delle tematiche cyberpunk in Italia, partendo proprio dall'universo punk. Gomma ricorda che nel 1983, Primo Moroni, gestore della Libreria Calusca, permise ai punk di autogestire una saletta interna alla libreria per vendere autonomamente i loro materiali al di fuori del mercato culturale (i punk infatti rifiutavano la mercificazione dei loro prodotti e andavano contro i circuiti canonici di diffusione culturale). Questi, i ricordi di Gomma: "…Così abbiamo iniziato a lavorare nella libreria, in un periodo in cui stava finendo (male) l'esperienza degli anni '70 […]. Ma la Calusca per noi era così speciale, che vedevamo solo quello che di bello rimaneva del movimento: la gran quantità di riviste e libri di comunisti, anarchici, libertari, eretici, tipi geniali, criminali, pazzi, drogati, gay, lesbiche, freax e ‘artisti’ vari. Per noi, ‘fieramente separati’ dai ‘non punk’, significò abituarsi all'idea della trasversalità, capire che ogni forma di radicalità merita rispetto, e che non eravamo gli ‘unici’ per ‘purezza antagonistica’…anzi. E poi gli inviti a studiare, ad approfondire i problemi, a mettere in gioco il proprio corpo e la propria intelligenza. Alla fine di quei due anni (1985), Primo propose, a noi gruppetto di punk ormai ‘contaminati’, di seguire la redazione della ‘Calusca Newsletter’, una rivista che fosse in grado di rappresentare le diversissime componenti della libreria. Per gestire la non facile impresa abbiamo fatto girare la voce e si sono presentate un paio di persone stranamente amanti della tecnologia della comunicazione, oltre che dei movimenti. Così, di nuovo, la nostra crescita trasversale si ampliava."
E ancora, riguardo al mutarsi del panorama culturale alla fine degli anni '80 in seguito all'affermarsi nella società dei primi strumenti informatici, continua: "La 'fine del movimento' pareva corrispondere con la fine di un'epoca nel campo della produzione, l'informazione stava diventando merce pregiata e il martello pneumatico tecnologico stava per partire: nel giro di pochi anni, soprattutto a Milano, tutto sembrava essersi trasformato. Aleggiava quindi una sorta di disagio di fondo, che certi teorici della 'modernità' indicavano però come esito di una tipica accelerazione della nostra epoca, che andava affrontata con freddezza e senso dell'avventura, per non esserne travolti. Mutare pelle, senza perdere la propria identità: trasformare il movimento o, almeno, tentare di trasformare se stessi per non subire passivamente la trasformazione. A quel punto abbiamo capito che la partita andava giocata, e il gruppetto redazionale decise di fondare una propria rivista: Decoder."
Decoder è un valido esempio di contaminazione fra gli universi del punk, cyberpunk, psichedelia, hacker, digitale e virtuale e rende visibile il filo rosso (o rosso/nero, o rosa fucsia acido, come dice Gomma), che lega fra loro culture cyber, underground, libertarie, di filosofia radicale.
All'interno del mio filo "rosa fucsia" l'esperienza di Decoder ci fa capire come il concetto di autogestione è stato portante per l'affermarsi di certe pratiche oppositive che oggi vogliono dare un senso critico al dilagare del virtuale, cercando di rendere i nuovi media informatici un punto di partenza per l'affermarsi di azioni orizzontali e collettive, che vedano partecipi comunità di individui, non solo appartenenti allo scenario dei Centri Sociali Autogestiti, ma possibilmente a tutta la società. Le tecnologie informatiche e soprattutto telematiche, sembrano permettere maggiormente tutto ciò e si spera che, una volta abbandonati gli entusiasmi spesso acritici per la globalizzazione virtuale, si opti attualmente per conferire all'uso di questi strumenti un indirizzo critico e propositivo, cercando di combattere le spinte demagogiche che certe modalità comunicative rischiano di favorire e non adagiandosi sull'idea che le "Reti sono necessariamente veicolo di democrazia e di orizzontalità", poiché se vengono ignorati certi rischi (reali), si finisce per operare scarti sociali ancora più insanabili (si pensi al divario fra paesi tecnologici e non, e fra chi si può permettere l'accesso alle Reti e chi no, elementi che possono favorire nuove forme di alienazione sociale).
Se si dà uno sguardo alle classifiche dei Siti più visitati, le cosiddette hot chart (per lo più americane), si nota che ai primi posti ci sono quelli delle multinazionali che usano Internet come pedina per azioni di marketing e che si sono garantiti la necessaria visibilità in Rete (vengono chiamati portals e cioè "portali" che si è costretti a oltrepassare per accedere alla Rete e iniziare a navigare, come i siti di Microsoft e Netscape e di motori di ricerca più conosciuti come Altavista, Excite, Infoseek e Lycos). Quindi è vero che Internet può essere ipoteticamente accessibile a tutti, ma bisogna vedere quale peso viene assegnato agli utenti al di fuori di certi mercati.
2.4.3 Le Reti Telematiche Amatoriali e i Siti antagonisti
Proprio per combattere l'istituzionalizzazione di una tecnologia libera come Internet e le crescenti manovre dei gruppi di interesse e di potere che hanno messo gli occhi sul mondo telematico (mi riferisco alla sempre maggiore presenza di siti "ufficiali", che cercano di ricalcare il modello generalista e verticistico dei media tradizionali e alle inquietanti iniziative legislative che intendono controllare il funzionamento della Rete) sono nati nell'universo virtuale Reti Telematiche Amatoriali e Siti Antagonisti, che rivendicano la libertà di comunicazione e di visibilità e che si battono per una reale accessibilità per tutti alla Rete e che cercano di dare una risposta concreta ai tentativi di regolamentazione coatta di questa.
Per esempio si possono ricordare Cybernet (circuito telematico relativo all'universo controculturale underground) e la Rete E.C.N. (European Counter Network) a cui fanno riferimento molti Centri Sociali e che informa su ciò che avviene all'interno degli ambienti antagonisti ed è vicina all'area politica tradizionalmente definita come autonoma.
Da segnalare è anche l'associazione Isole nella Rete (nell’area ECN): il progetto di Isole nella Rete, nato nel 1996, mette in relazione i soggetti del mondo dell'autogestione e dei Cs (parecchie sono le mailing lists attive su argomenti di movimento). Un altro Sito con funzione di coordinamento di realtà antagoniste è Tactical Media Crew di Roma, attivo nell'ambito del CSO Villaggio Globale di Roma (in cui nel Giugno 1998 è stata organizzata una manifestazione artistica che presentava installazioni digitali interattive) e che si occupa di comunicazione ed ecologia oppositive. A Roma sono attivi anche i membri del gruppo controculturale AvANa (Avvisi Ai Naviganti), che agisce all’interno del CSO Forte Prenestino e che stanno portando avanti un progetto di "digitalizzazione" del Forte attraverso la creazioni di Reti Telematiche al suo interno . Gli AvANa si occupano sia di tematiche relative alla democrazia elettronica (no-copyright, telematica sociale), sia di attività di produzione estetica "intesa generalmente non come produzione artistica, ma come produzione di stati percettivi, giochi di eventi interfacce situazionautiche, attraverso installazioni ipernavigabili costruite negli spazi sociali (tv interattiva, cabina ultrapercettive, video attraversabili, test di depersonalizzazione: il tutto confluito nel progetto Sala Macchine del Forte), oppure attraverso l’uso di vecchi media (radio, televisione) in modo nuovo (forzandone l’interattività e l’ambientalità)"
Anche in questi casi si può vedere come attraverso i nuovi media l’arte si può fare pratica reale inserendosi negli ambienti controculturali.
Infine va naturalmente segnalato il sito di sTRANO nETWORK che vede attivi (insieme ad altri individui) gli artisti da me considerati Tommaso Tozzi, Federico Bucalossi e Claudio Parrini. Anche sTRANO nETWORK nasce nell'ambito dei centri sociali: il gruppo è nato nel 1993 al CSA Ex-Emerson di Firenze come indagine sui territori della comunicazione. Anche attraverso l'operato di Strano Network si può vedere come il mondo dell'arte possa essere tangente all'universo dei movimenti e dei CS. Né stata una prova anche l’hacker meeting organizzato dal gruppo all’interno del Centro Popolare Autogestito (CPA) di Firenze nel Giugno 1998 (di cui parlerò successivamente), che unì l’arte, le pratiche hacker e il mondo telematico agli spazi dell’autogestione.
In questo senso si può ricordare anche l'attività del CS Cox 18 di Milano (già citato in precedenza a proposito del gruppo di Decoder) che nell'estate '92 organizzò un collegamento telematico con il festival "Documenta IX" di Kassel e il Ponton European Media Art Lab che vide attivi i Van Gogh TV insieme a Giacomo Verde e le Pigreca (Flavia Alman e Sabine Reiff) che organizzarono per l'occasione Piazza Virtuale (di cui parlerò in seguito).
Fra gli artisti di arte digitale anche Massimo Cittadini (Contrasto) è sensibile a queste tematiche e sta portando avanti da anni un lavoro sull'uso alternativo del computer e lo stesso può dirsi per i GMM (Antonio Glessi e Andrea Zingoni) il cui lavoro può dirsi realmente multimediale e trasversale.
All'interno di questo discorso merita sicuramente di essere ricordato il gruppo di Bang Amen e il successivo Pat Pat Recorder, formato nel 1986 da Tommaso Tozzi, Steve Rozz, Nielsen Gavyna, Priscila Lena Farias e successivamente da Massimo Cittadini. Queste, le parole di Tommaso Tozzi che ricorda l'attività del gruppo nel libro Opposizioni '80:
"Al Pat Pat Recorder si sono susseguite, nell'arco di circa due anni, una frenetica serie di iniziative alternative quali performance poetiche, sonore, multimediali, mostre o presentazioni di fanzine, gruppi e singoli, notti di graffiti urbani, pubblicazioni e altro, che hanno in un certo modo 'movimentato' l'ambiente alternativo fiorentino tra il 1986 e il 1987. Certe performance che realizzai in questi due spazi erano l'esatta ripetizione di quelle realizzate da artisti d'avanguardia durante questo secolo. Il dimostrare che era in atto un'accademizzazione delle pratiche dell'avanguardia, così come è stato fatto per l'arte Concettuale, era un modo anche per contestare tutta la frangia dei cosiddetti artisti bohemienne che durante gli anni '80, così come anche in periodi precedenti, hanno usato le varie mode culturali ‘alternative’ per proporsi come eroi, vittime, folli e geni del momento."
Voglio continuare a riportare le parole di Tozzi relative al discorso di sopra perché permettono di contestualizzare ulteriormente gli anni '80 e le pratiche oppositive di cui parlavo in precedenza. T. Tozzi aggiunge: "Sfruttando la purezza dei movimenti alternativi e il loro radicale sforzo di operare in clandestinità, fuori dai circuiti commerciali, molti giovani artisti hanno copiato gli aspetti più esteriori e più facili dei linguaggi di tali movimenti non solo svuotandoli di ogni senso politico, ma presentandoli al giudizio pubblico in modo falso, esagerato, distorto e aggressivo che ha provocato un naturale rifiuto del senso comune intorno a tali ambienti. La critica alla falsità dei media nel presentare le contro-culture è il concetto di base del gesto che fecero nel 1984 tre ragazzi di Milano a un convegno di famosi sociologi sul tema delle nuove culture giovanili, essi salirono sul banco della conferenza e tagliandosi il corpo con delle lamette dimostrarono quale fosse in realtà l'argomento sul quale il convegno stava discutendo. Uno di quei ragazzi in questione, Gomma, sarà in seguito uno dei fondatori della fanzine Decoder; inoltre, quella azione sarà riportata e appoggiata dalla fanzine Amen di Milano. Intorno a questa fanzine e dal clima dell'Helter Skelter (Milano), si svilupperanno i presupposti per un'area underground italiana rivolta all'uso di nuove tecnologie per scopi sociali di controcultura."
Con queste parole di Tozzi che ricordano l'atto performativo di Gomma, si chiude il cerchio degli anni '80, che va però pensato anch'esso attraversato da una saetta, quella che punta verso il successivo decennio in cui si giungerà al virtuale e alle Reti.