3. LA PERFORMATIVITA’ DELLE NUOVE TECNOLOGIE:
AGIRE NELL’IMMAGINARIO MEDIANTE I DISPOSITIVI DI INTERFACCIA UOMO-MACCHINA
3.1 IL CORPO ARTIFICIALE E IL MANDALA SYSTEM
3.1.1 Prime applicazioni: gli ambienti di Realtà Artificiale di Myron Krueger
Anche se è difficile attribuire una paternità in questo campo, in cui interagiscono gli studiosi più disparati e si susseguono continue applicazioni, si possono considerare come punto di partenza per la sperimentazione performativa negli ambienti artificiali le opere artistiche di Krueger, colui che coniò il termine di Realtà Artificiale.
I modelli di Krueger non presuppongono l’uso di occhiali stereoscopici, guanti o tute, tipici della RV immersiva, ma consistono nel permettere al fruitore di inserirsi in un ambiente sulle cui pareti sono proiettate immagini generate dal calcolatore, mentre la gestualità dell’interazione è percepita dalla macchina tramite telecamera, piuttosto che mediante sensori. L’individuo si trova così a partecipare consapevolmente ad un evento che mette in gioco i meccanismi di base con cui percepisce la realtà fisica, può mettere in scena il suo corpo, vivere inusuali esperienze, sperimentare comportamenti fuori della norma e personalizzare l’ambiente iconico in cui il suo simulacro corporeo viene inserito.
L’individuo sperimenta direttamente con il suo corpo la materialità del linguaggio digitale e attraverso i dispositivi di interfaccia può giocare con l’immaginario, un immaginario "cyber", che lo vede ibridarsi con la macchina.
Per dare un’idea di come funzionino gli ambienti artificiali creati da Myron Krueger, posso apportare alcuni esempi di alcune sue "architetture dell’immaginario" degli anni Sessanta-Settanta.
GLOWFLOW (1969)
In questa installazione ambientale lo spettatore si trova inserito in un ambiente con mini computer nascosti, sintetizzatori sonori e tubi riempiti con fluidi composti da particelle fosforescenti colorate. In base a placche sensibili alla pressione incastrate nel pavimento, il pubblico, compiendo alcuni passi, determina la fluttuazione nei tubi di vettori di luce istantanei, che sono accompagnati da suoni. Il computer permette di controllare tali configurazioni di luce, che vanno a costituire l’architettura artificiale dell’ambiente in cui ci si trova ad agire, dando vita ad uno spettacolo suggestivo. Myron Krueger nel testo Realtà Artificiale sottolinea come i partecipanti molto spesso si trovino a creare spontaneamente gruppi informali durante la performance collettiva, inventandosi ruoli, dandosi spiegazioni, reagendo in modi diversi alle stimolazioni luminose.
METAPLAY (1970)
Altro ambiente interattivo: in un lato della stanza si trova uno schermo di retroproiezione di due metri e mezzo per tre, dietro lo schermo vi è un proiettore video, verso l’area di partecipazione vi è una videocamera .
I partecipanti vedono le proprie immagini video sullo schermo e la loro posizione è rivelata da sensori posti sul pavimento. Il tutto è controllato da un operatore umano, attraverso un monitor. Tramite una tavoletta grafica, l’operatore può creare disegni sfruttando le risorse grafiche del calcolatore e trasferirli sullo schermo in cui sono proiettate le sagome dei partecipanti. Così i disegni computerizzati possono interagire con i partecipanti, oppure questi ultimi possono dare vita ad immagini pittoriche attraverso la performance dei loro simulacri corporei (grazie all’intervento dell’operatore nascosto che di fatto disegna le immagini).
Da questi esempi, appare chiaro come anche le opere di Krueger costituiscono dei contesti di interazione, in cui i fruitori possono dare vita spontaneamente e collettivamente all’evento artistico, che appare aperto, processuale e dinamico. E’ attraverso l’azione corporea che viene costruito attivamente il senso dell’opera, sfruttando la performatività della tecnologia, che rende possibile la con-fusione corporea con l’interfaccia grafica dell’ambiente artificiale. Nello stesso tempo, dalle esperienze psicosensoriali attuate dai partecipanti, è possibile operare una riflessione sulle modalità di percezione umana: il fruitore è spinto a riconoscere intuitivamente gli elementi fondamentali di un sistema semiotico complesso, che viene elaborato invece in modo semplice dalla mente umana.
Ogni esperienza poi si fa personale, conseguentemente alla capacità espressiva e creativa di ogni individuo e quindi si abbandona l’idea di un artefatto artistico unico e immutabile, ma l’opera acquista tanti significati quanti sono i personaggi che vi interagiscono e questo avviene durante un processo creativo che si sviluppa diversamente per ogni fruitore.
3.1.2 Il MANDALA SYSTEM e i GMM: contatti di prima mutazione
Il MANDALA è un sistema che, analogamente alle esperienze di Myron Krueger, permette, attraverso l’interfacciamento di un computer ad una telecamera tramite una scheda digitalizzatrice, di riprendere le sagome dei fruitori e di mixarle con la grafica del programma. Queste compariranno così su un televisore collegato al computer tramite un genlock video e potranno interagire con le animazioni grafiche create con il programma. Il software MANDALA SYSTEM programmato dai canadesi Vivid Group per Personal Computer Commodore Amiga, permette quindi un’interazione ottico/auditiva e non tattile, anche se l’effetto di con-tatto è estremamente avvertito, dato che l’individuo si vede agire in un ambiente virtuale perturbandolo con il proprio movimento e trasformandolo secondo i propri impulsi creativi ed istintivi.
Questo effetto di realtà favorisce quindi un progressivo "adattamento" dell’individuo all’ambiente sintetico, mentre nello stesso tempo, l’universo digitale risponde agli impulsi ricevuti dal fruitore, mutando progressivamente il suo aspetto. Si crea quindi una relazione di feedback opera-utente che rende possibile l’instaurarsi di una comunicazione dialogica e non trasmissiva fra individuo e medium, rendendo l’interazione un processo impermanente. L’individuo, quindi, rispondendo agli stimoli del sistema, può autogestire il proprio rapporto con esso, orientandolo a seconda dei desideri del momento.
L’artista invece può creare di volta in volta dei contesti di interazione, che facilitino l’interfacciarsi di uomo e macchina, permettendo ai fruitori di vivere un’esperienza attraverso un proprio simulacro digitale, che possa confrontarsi direttamente con un immaginario cyber. Attraverso i dispositivi di interfaccia come il MANDALA, quindi, è possibile instaurare un "rapporto conversazionale" con la macchina a livello cognitivo e percettivo, dando vita a performance creative negli scenari opachi dei mondi simulati.
Nello stesso tempo, il vedersi specchiati in un mondo artificiale, favorisce la riflessione sulle nostre modalità di percezione e di rapporto con la realtà, e a questo punto è ancor più evidente cosa significhi operare, attraverso i nuovi media, un metacommento sulla nostra facoltà di percepire e di interagire. Al proposito Andrea Zingoni (GMM) parla di Contatti di prima mutazione: "Vedere il proprio simulacro elettronico, vedere il simulacro di chi si sta mettendo in contatto con te. Comunicare per simboli. Nessun vero contatto, nessuna vera emozione salvo l’eccitazione di trovarsi coinvolti in un qualcosa di eccentrico, nuovo, che intuitivamente capisci sia destinato a svilupparsi in maniera prevista solo dagli scrittori di fantascienza. E la SF è in ogni caso un ottimo punto di riferimento per verificare ciò che ci attende in un futuro prossimo." L’individuo si trova quindi ad inter-agire negli immaginari cyber e fantascientifici attraverso un suo doppio, un mutante, manipolandoli, costruendoli e giocandoci. Si vivono anche in questo caso pratiche reali con corpi virtuali.
I GMM, con la collaborazione di Massimo Contrasto e Tommaso Tozzi, presentarono la loro prima installazione interattiva con il MANDALA nel 1991, all’esposizione "Arte e Computer" di Lugano, chiamata BUDDHA VISION. Questa prevedeva la possibilità per l’utente di interagire con scenari "mistici" divisi in episodi e permetteva al fruitore di realizzare un viaggio onirico nelle trame della percezione psicofisica, immergendosi nelle proprie facoltà di comunicazione corporea. Questa volta non erano personaggi creati al computer come i Giovanotti Mondani Meccanici del fumetto a vivere esperienze nei mondi immaginari, ma gli individui stessi, che potevano poi costruire personalmente i propri sentieri di sperimentazione corporea (chiaramente nei limiti delle possibilità offerte dal programma). Un’altra installazione dei GMM fu appunto "Contatti di prima mutazione" presentata a "Futuro Remoto" (Napoli) nel l993. Questa volta l’opera con il MANDALA, attraverso il gioco del Ping Pong era fruibile da più persone, costituendo un chiaro esempio del concetto che la tecnologia, utilizzata creativamente, può servire per favorire processi di comunicazione fra individui, e reti di relazioni fra di essi. Essa infatti è utile per rendere attive le coscienze, non per annebbiarle di fronte all’acritico super-umano o post-umano e sostituire così con la sua inconsapevolezza il libero arbitrio umano.
Anche in questo caso si può ritornare al discorso sull’autogestione dei mezzi di comunicazione e sulla collettivizzazione di questi, dando la possibilità a più individui di fruirne insieme. Lo stesso Antonio Glessi nel 1995 scrive, riferendosi all’installazione interattiva "Contatti di prima mutazione": "tutto ciò, a ben guardare non è poi molto diverso da quanto accade abitualmente sulla rete delle BBS amatoriali, dove altro non avviene che uno scambio di informazioni-oggetti virtuali in un territorio comune immateriale." L’arte in questo senso si fa quindi veicolo di comunicazione, processo di dialogo, scambio bidirezionale e prende vita dall’agire sul presente, anche attraverso l’immaginario.
3.1.3 Il MANDALA SYSTEM e Massimo Contrasto: performance corporee dell’UOMO-MACCHINA
La MACCHINA intesa come protesi funzionale è un concetto intuitivo e un metalinguaggio.
Il LINGUAGGIO, lo strumento linguaggio, è la prima macchina usata dall’uomo che si rileva essere qualcosa di più di un semplice strumento
La RIVOLUZIONE introdotta dalla tecnologia di questo secolo avrà conseguenze superiori alla rivoluzione iniziata dalla scrittura stessa.
Il processo di identificazione delle funzionalità ‘percettive’, sensoriali e intellettuali, di cui può essere dotata una MACCHINA viene basato quasi sempre sulle analogie con un referente NATURALE, (…se mettiamo una microcamera e un software di riconoscimento oggetti avremo un equivalente del sistema sensoriale ‘occhio’…), pietra di paragone per le capacità potenziali di funzionamento di un oggetto ARTIFICIALE, appunto la macchina.
Se proviamo a invertire la scala dei valori su cui vengono basate tali analogie, proviamo cioè a pensare il sistema organico ‘uomo’ come una macchina programmata e il progetto ‘artificiale’ come un risultato naturale del processo funzionale umano, ci accorgiamo di avere a che fare con uno strano universo in cui la controllabilità della programmazione rimane sconosciuta eppure continuamente presente sotto forma di immaginazione progettuale. In questo senso il linguaggio stesso può essere visto come una prima forma della MACCHINA, cioè di quel meccanismo intellettuale che sotto le vesti della razionalità logica ha sempre ed in ogni modo celato la profonda consapevolezza dell’irrazionalità della logica stessa. L’ incontrollabilità della macchina è totale, inevitabile e necessaria.
L’UOMOMACCHINA descritto dalla cultura ufficiale, da quella cultura inconsapevole di essere figlia della macchina, la celebrazione del Golem, il cosiddetto HOMO SUPERIOR, la realizzazione della razionalità divina fatta materia animata, la risposta definitiva al mistero della vita, il fine ultimo della scienza umana,…sarà invece un mostro incontrollabile composto di elementi organici e inorganici, astrazioni e fisicità contraddittorie, un movimento di energie come la vita che è per la vita e contro la vita, con gli stessi problemi che da sempre qualsiasi strumento macchina pone a chi utilizza (viene utilizzato da) quella macchina.
Il problema può essere cambiato ma non la soluzione.
Evitare la filosofia e usare la macchina per cambiare la macchina.
La macchina mercato mangia se stessa."
Massimo Contrasto(1993)
Attraverso l’installazione UOMO-MACCHINA (la seconda ideata da M.Contrasto - la prima, del 1992, fu REALE SCELTA VIRTUALE), che utilizza il MANDALA SYSTEM, la vita entra nella macchina, portandovi le sue componenti illogiche e irrazionali, determinando che anche la macchina diventi "incontrollabile" come la vita con cui si è ibridata. L’immaginazione progettuale degli individui entra nei circuiti della MACCHINA, permettendo di creare dall’incontro UOMO-MACCHINA un nuovo organismo, che si fa opera d’arte immateriale. Come la macchina da oggetto diviene scenario in cui immettere la creatività umana e l’agire individuale, così l’opera d’arte da unicum originale diviene processo di costruzione aperto e diverso da fruitore a fruitore.
L’opera-macchina si fa quindi zona attiva di sperimentazione corporea e la storia dell’arte acquista vita al di fuori della chiusa mercificazione oggettuale, ma diventa anch’essa territorio di ibridazione dialogica. Si offre la possibilità al fruitore di riversare la sua istintualità nell’artificialità della macchina e del sistema dell’arte, che viene così scardinato diventando vita. L’opera diventa un evento in costruzione in cui agisce il simulacro individuale, portandovi la componente imprevedibile dell’azione umana.
Gli individui, attraverso il MANDALA SYSTEM, si trovano ad agire in ambienti visivi e sonori privi di esistenza fisica, interagendo con mondi inaspettati tramite il mezzo video e dando così forma ai propri impulsi creativi mediante la propria gestualità che viene riversata nella "fisicità" del digitale. Si gioca con l’immaginario entrando nelle immagini fantasmatiche della contemporaneità. Come sosteneva McLuhan, i giochi sono estensioni dell’individuo e della collettività e sono un mezzo per trasporre esperienze, ed infatti nelle ambientazioni interattive di M. Contrasto, è possibile vivere delle esperienze nel mondo della simulazione attraverso un proprio "doppio".
In questi scenari interattivi, la componente ludica acquista particolare importanza, dato che si ha l’impressione di trovarsi dentro un videogioco. Per esempio, MR REGULAR, la sua ultima creazione (1997-1999), prende vita dall’immaginario fumettistico (dai personaggi di Crumb) e durante l’interazione ci si trova a vivere esperienze strutturate in diversi episodi, come in un cartone animato, o, appunto, in un videogioco.
Con le opere di Massimo Contrasto si sperimenta direttamente la possibilità di vivere in uno schermo, come teorizzava Sherry Turkle, inserendosi direttamente in contesti artificiali e agendo in essi attraverso i dispositivi di interfaccia. Nei luoghi liminari del gioco, si sperimenta il nuovo attraverso la performance corporea, agendo sull’immaginario collettivo e essendo agiti da esso attraverso il programma del computer che ci inserisce in mondi predefiniti. Però l’individuo ha la possibilità di personalizzare tali icone collettive, costruendo autonomamente il proprio percorso fisico e semiotico.
L’arte si fa quindi azione, gioco, sperimentazione percettiva e vuole mettere in condizione il fruitore di costruire personalmente i suoi mondi, come il giocatore di Myst che si trova a costruire la sua vita su un’isola deserta, scoprendone i segreti attraverso il proprio agire consapevole. E’ un’arte che vuole favorire il contatto con la macchina e con l’opera d’arte stessa: anche se chiaramente le possibilità di interazione non sono infinite (il tutto infatti è guidato dal programma), ciò che ha più senso è sottolineare il fatto che diventano infinite le possibilità di reazione dei fruitori nei vari scenari. L’opera diventa un percorso personale e in questo offre concretamente la possibilità di vivere liberamente e orizzontalmente il rapporto con lo strumento di comunicazione, permettendo al fruitore di divenire il pilota (cyber) dell’interazione con esso. E’ importante quindi sottolineare il cambiamento che un cero tipo di opere vogliono apportare nel sistema oggettuale dell’arte e in quello verticistico della comunicazione massmediatica: a partire dall’azione materiale offrono grossi spunti per una riflessione concettuale. Si va a toccare le dinamiche del rapporto fra artista e fruitore, fra mass media e spettatore, le problematiche relative alla maggiore autonomia offerta dal digitale contrapposta al rischio di un pervasivo controllo della macchina sull’uomo. Inoltre si invita l’interattore a confrontarsi con le proprie modalità di percezione permettendogli di percepire la percezione e gli si offre la possibilità di vivere esperienze corporee in un mondo estraniante. In questo senso quindi si può comprendere come un certo uso performativo del digitale sia definibile come un metacommento percettivo e cognitivo.
Il dispositivo del MANDALA SYSTEM è stato usato da Massimo Contrasto non solo per realizzare installazioni interattive, ma anche nell’ambito delle performance teatrali. Questo è avvenuto (e avviene tuttora) nella messa in scena delle STORIE MANDALICHE (da parte del gruppo ZONE GEMMA), in cui le icone grafiche realizzate da M. Contrasto diventano lo scenario narrativo (e interattivo) attraverso cui Giacomo Verde realizza la pratica del TELE-RACCONTO. Inoltre, attraverso il MANDALA, Massimo Contrasto ha realizzato spettacoli di DANZA INTERATTIVA (a partire dal 1995), come quello chiamato EXP (in collaborazione con Ariella Vidach e Claudio Prati). In queste performance, gli attori avevano la possibilità di interagire con i corpi virtuali realizzati con il MANDALA SYSTEM, operando una commistione fra organico e inorganico, materiale e immateriale.
Mediante l’uso creativo del MANDALA SYSTEM, quindi, appare ancora più chiaro cosa significhi la messa in scena performativa del nostro corpo attraverso il digitale.
3.2 INTERFACCIARE LA MENTE ALLA TECNOLOGIA: VIVERE EMOZIONI ATTRAVERSO LA MACCHINA
"Sognavo di diventare come un pezzo di vetro irradiato dai vapori dell’alba, fino a diventare di un blu senza contorni"
Murakami Ryu
Il libro di Philip K.Dick Cacciatore di Androidi (o Blade Runner) inizia con il risveglio di Rick Decard e sua moglie Iran stimolato emozionalmente dal modulatore di umori Penfield, una macchina in grado di indurre agli utilizzatori, una volta programmata, la sensazione desiderata per quel giorno e a quella data ora. Digitando nella macchina un codice predefinito, l’individuo poteva sperimentare varie sensazioni e ottenere lo stato di umore necessario alle diverse situazioni. Attraverso la programmazione di una macchina quindi, si potevano gestire a piacere le emozioni interiori.
Se questi possono semplicemente apparire degli immaginari cyber, in realtà già da tempo sono stati portati avanti degli studi da alcuni scienziati americani riguardanti il biofeedback e cioè la possibilità di indurre diversi stati mentali (euforia e attenzione, rilassamento, creatività, sonno profondo) attraverso le stimolazioni luminose di una macchina, sintonizzata su particolari frequenze, chiamata MK 2955.
Si è infatti constatato che il cervello umano, quando si è in determinate situazioni psicofisiche, produce onde beta con frequenza variabile da soggetto a soggetto comprese fra i 15 e 25 Hz e che quindi a particolari stati d’animo individuali, corrispondono precise frequenze. Questi studi provano che stimolando la nostra mente con lampeggiamenti luminosi a diversa frequenza, si può far sì che anche le nostre onde cerebrali si sintonizzino su quelle frequenze, favorendo il sorgere di particolari stati emotivi. Attraverso l’MK 2955, infatti, esiste la possibilità di indurre l’individuo al rilassamento cerebrale, senza l’uso di farmaci, ma solo attraverso le stimolazioni luminose: l’uso dell’MK 2955 (o Rilassatore Elettronico) può quindi avere un effetto terapeutico.
Attraverso questo brano, a cura di Federico Bucalossi, è possibile capire in grandi linee cosa sia una BRAIN MACHINE (l’equivalente dell’MK 2955), la macchina per stimolare la mente:
"BRAIN MACHINE
(LA MACCHINA DEL CERVELLO)
MACCHINE E SUONI DI DOMANI NEGLI SPAZI DI IERI
Vorrei subito chiarire che la Brain Machine non è un giocattolo, anche se può intrattenere e divertire chiunque. Il suo principale proposito è di aiutare le persone a raggiungere stati alterati di coscienza. Questi stati alterati sono traducibili attraverso le diverse onde di frequenza (misurate in cicli per secondo), ad esempio usando le onde Theta con il relativo programma, la mente sarà stimolata verso l’immaginazione e la creatività. Bisogna precisare che per stati alterati non si indica lo ‘sballo’, ma qualunque alterazione oltre l’ordinario verso l’espansione della propria creatività, immaginazione o semplicemente per isolarsi qualche minuto o rilassarsi.
Per secoli gli uomini hanno usato varie tecniche per raggiungere questi stati alterati, come ad esempio yoga, meditazione, esercizi di respirazione, musiche ripetitive, solo per nominarne qualcuna. Tutti questi metodi funzionano secondo delle rigide discipline e richiedono dei periodi di tempo per funzionare. Non per questo le Brain intendono sostituire queste forme, ma attraverso questa recente tecnologia si rende accessibile a tutti la possibilità di migliorare i propri stati di coscienza senza correre alcun rischio [ ].
Come funzionano queste macchine per la mente?
Esistono diverse macchine con forme e stimolazioni differenti, la più conosciuta usa gli impulsi di luci e suoni per modificare l’attività elettromagnetica (attraverso ricerche sugli elettroencefalogrammi) e ha permesso agli scienziati di comprendere come differenti tipi di onde sono associati a differenti stati mentali.
Quattro principali tipi di onde sono stati riconosciuti:
Onde Beta 13-30 Hz - stato di allegria, attenzione.
Onde Alfa 8-12 Hz- rilassamento
Onde Theta 4-7 Hz - immaginazione, creatività
Onde Delta 5-3 Hz - sonno profondo
Già dagli anni ’30 le ricerche hanno trovato che la stimolazione luminosa ripetitiva stimola le onde cerebrali a seguire le stesse pulsazioni emesse dalla fonte esterna. Su questa base si fondano principi che regolano il funzionamento della macchine per la mente. Oggi le macchine dispongono di occhiali con LED che pulsano predeterminate frequenze generalmente da 1 a 40 cicli per secondo, si chiudono gli occhi e subito appaiono colori ipnotici con diverse forme nella vostra mente. Un suono percussivo pulsante produrrà lo stesso effetto di seguire la frequenza emessa.
[…] La Brain dispone di una soluzione di 50 diversi programmi i quali possono modificare lo stato emotivo, rilassare ‘massaggiando’ la mente, stimolare la sensibilità e l’efficienza psicofisica. Si può viaggiare negli infiniti mondi della fantasia, meditare, ecc. Ma attenzione, la Brain non crea realtà virtuali già programmate, il programma è già dentro di voi, nella vostra fantasia e creatività."
Appare chiaro da questo brano come determinati immaginari cyber possano attualmente divenire realtà attraverso un certo tipo di sperimentazioni scientifiche, ma anche attraverso un certo tipo di sperimentazione artistica, come quella portata avanti da Federico Bucalossi.
Nella sua opera SENSUALZONE, creata in forma video nel 1995, successivamente come videoinstallazione e infine come software di un CD ROM, viene messa a punto una sorta di BRAIN MACHINE, attraverso cui scegliere e sperimentare le sensazioni desiderate (si può scegliere fra gioia, relax, paura, depressione, meditazione, periferiche esterne, casuale, vie di fuga). Nell’installazione interattiva, attraverso il gesto del fruitore, la macchina viene stimolata a produrre suoni e impulsi luminosi minimali, ibridandosi con la mente del fruitore, che si trova così immerso nelle derive del suo mondo percettivo.
Attraverso l’interfaccia del computer si vuole provocare l’invasione della tecnologia nella mente, favorendo un’ibridazione fra interno emozionale ed esterno artificiale. Come nei romanzi di Ballad, lo spazio esterno si fonde con lo spazio interno attraverso le strategie dello sguardo, uno sguardo opaco degli occhi chiusi del fruitore, che si fa autostrada neuronica per le frequenze minimali psicoattive.
Attraverso la tecnica del VIDEO-LOOP, sperimentata da Federico Bucalossi anche durante le performance musicali del gruppo YELLOWCAKE, la mente degli individui può interagire in tempo reale con colori e segni digitalizzati, in modo da effettuare processi cerebrali altrimenti intorpiditi. E’ uno stimolo ad "aprire le porte della percezione", ricordando le parole di Timothy Leary e le sue riflessioni sull’interfacciarsi di computer e cervello. Le tinte piatte e violente dei colori si insinuano nel nostro corpo contaminando il nostro universo percettivo e animando le creature oniriche del nostro immaginario, distruggendo la massa di informazioni che non ci appartiene.
La tecnologia diventa un mezzo attraverso cui portare avanti strategie di liberazione, autodeterminando il rapporto con essa (infatti è il fruitore che sceglie di sperimentare certi stati emotivi). Non quindi tecnologia per bombardare la nostra mente con informazioni inutili ed eccessive, ma per risvegliare la nostra mente, assecondando i nostri reali desideri emozionali. Diviene un mezzo per mettere in scena pratiche corporee psicoattive, facendosi zona liminare fra sapere antico e moderno. Infatti, ogni fruitore può vivere la propria esperienza in SENSUALZONE seguendo un personale percorso di senso e attivando i propri canali neurali conseguentemente alla percezione dei pixel che provengono dal monitor. Si può viaggiare nelle zone meditative o in quelle allucinatorie della nostra mente, facendo diventare il nostro bagaglio emozionale e informazionale la guida per orientarci nelle trame dell’installazione, partecipando ad una sorta di videogame psichico.
Quindi, a differenza del modulatore di umori Penfield del libro di Dick, SENSUALZONE non ricerca un rapporto con il fruitore meramente di stimolo-risposta, ma instaura con esso una relazione di feedback (o meglio di biofeedback) al fine di stimolare in lui il rapporto diretto con le figure fantasmatiche della propria mente. Vuole essere un mezzo d’introspezione, una modalità di rivivere il vissuto interiore a partire dal suo recupero. E’ l’azione del fruitore che gestisce lo scambio con la macchina al fine di risvegliare i propri immaginari interiori.
Attraverso SENSUALZONE si vuole invitare ad una ricerca su ciò che già vive nel nostro mondo emozionale, potendo gestire il rapporto con la macchina in modo del tutto personale. La macchina risponde al nostro tocco aiutandoci a viaggiare nelle trame delle nostre sensazioni, mentre il fruitore instaura una comunicazione dialogica con il medium, perturbandolo con il proprio desiderio e facendosi perturbare da esso, lasciandovi fuoriuscire un virus cognitivo liberatorio.
SENSUALZONE come installazione strabbocante, ricordando le parole di Mario Perniola, attraverso cui l’opera strabocca fuori di se stessa, espandendosi in un happening che ci invade e ci inonda con il flusso dei suoi colori e suoni straripanti.
L’installazione come cosa che sente, che accoglie il visitatore all’interno delle sue pulsazioni minimali, mentre la mente del visitatore si lascia attraversare da esse entrando nelle derive del percepire.
Ma nello stesso tempo SENSUALZONE come fuga dall’ingorgo visivo ed informazionale che ci avvolge nella nostra società e come invito a trovare la propria strada liberata…..
SWITCH OFF YOUR MONITORS…EXTERMINATE US ALL.
3.2.2 Gli ELECTRONIC MANDALA: le Mayacreatures degli HACKERS dell’ IMMAGINARIO
"Le Mayacreatures soddisfano appieno le nostre esigenze di viaggiatori alla scoperta di nuovi mondi o, meno poeticamente, di studiosi alla ricerca di nuove realtà.
Cercando di analizzare le caratteristiche delle Mayacreatures, gli elementi che ricorrono e che sembrano parte della loro natura sono la luce violenta e un turbinio di colori in continuo mutamento.
La luce è l’energia della vita,è la danza della vita.
Il turbinio di colori è l’incessante trasformazione dell’energia, il processo della vita.
Tutto danza.
La danza della luce elettronica ha il potere liberatorio di strappare dagli occhi dell’osservatore il velo della comune percezione.
Di fatto è un test intorno alle gerarchie della percezione.
Nessuna parte di questa danza è più reale di un’altra.
Tutto in tutti i momenti vibra di tutto il significato.
Tutto non è altro che vibranti modelli di energia.
Le Mayacreatures agiscono quindi come una chiave chimica: aprono la mente e liberano il sistema nervoso dai suoi modelli e dalle sue strutture ordinarie, permettono di andare oltre, verso l’esplorazione di regni inimmaginati.
Il flusso puro dell’energia perde la sua qualità bianca di vuoto e viene percepito in un caleidoscopio di violente sensazioni, un possente flusso di forme vitali - e la mente entra e esce rapidamente da questo corso evolutivo dando vita a rivelazioni cosmologiche dove psichedeliche unità molecolari di energia in continuo mutamento si fondono con primigeni miti creativi…
Andrea Zingoni (1991)"
Nel 1991 al Museo d’Arte Contemporanea Pecci di Prato, i GMM organizzarono un’esposizione chiamata Tecnomaya in Infotown, portando all’interno di una struttura museale la frammentazione iconica dei loro Electronic Mandala, delle "creature elettroniche" contaminanti, finalizzate ad agire sulle trame dell’immaginario dei visitatori. I colori vorticosi delle installazioni video volevano insinuarsi come dei virus nella mente degli spettatori, erano un’operazione di hackeraggio visuale (i GMM non hanno mai amato definirsi in qualche modo, ma allora si definivano come hackers dell’immaginario).
L’esposizione era divisa in due zone: nella prima (IN/OUT) una piramide di monitors trasmetteva dati selezionati ed elaborati dalle macchine a grande velocità tramite un programma (i dati derivavano da videodischi sul patrimonio artistico fiorentino, messaggi subliminali - fra cui il virus subliminale RIBELLATI! di T.Tozzi, attualità, comunicati degli hackers, frasi chiave, virus), nella seconda (parete/interfaccia) due grandi X verticali formate da monitors proiettavano la sintesi di questi dati, che apparivano come schegge visuali impazzite. Al centro delle X di monitors si trovavano due ELECTRONIC Mandala, cerchi psicoattivi formati da caleidoscopici colori energetici. Questi flussi colorati in movimento volevano essere delle tecno-mayacreatures, "l’illusione moltiplicata per la tecnica; emissione allucinatoria ed irradiazione che si concretizza in immagini scambiabili, palpabili, prevedibili, mutevoli, illusorie." Gli Electronic Mandala sono frutto di elaborazioni di alcuni computer interfacciati fra loro, conseguentemente all’invio di alcuni inputs di partenza e, secondo le parole di A. Zingoni, prendono vita quasi autonomamente, dando vita agli universi nascosti nei circuiti digitali. Sono zone autonome di energia, che sfondano l’aura opaca dell’opera artistica, facendo entrare il movimento caotico nell’immobilità delle stanze museali. Sono l’esempio di un’opera d’arte aperta, che spalanca le sue porte entrando nell’universo percettivo del fruitore, contaminandolo e contaminandosi con le altre opere con cui si interfaccia.
Anche in questo caso l’interfaccia tecnologica degli schermi dei monitor diventa la zona liminare fra individuo e macchina, provocando una commistione con la materialità-immaterialità della macchina e con la fisicità-spiritualità dell’individuo.
L’opera non è più un oggetto fisso e immutabile, ma diventa un processo mentale, che investe l’universo psicofisico del fruitore. Quest’ultimo è invitato a vivere su di sé la tecnologia, abbandonandosi ai flussi ipnotici dei cerchi visuali energetici, compiendo un viaggio nelle proprie derive psichiche e nelle configurazioni inconsce del proprio immaginario.
L’opera quindi si fa protesi della nostra mente, corrodendo i circuiti della nostra distrazione.
Un inebriamento percettivo ipnotico nella magia dell’illusione attraverso la tecnologia. Una tecnomaya.
Un caleidoscopio nell’arte caleidoscopica dei GMM.
3.3 IDENTITA’ TECNOLOGICHE IBRIDATE
La sensazione che si prova sperimentando le installazioni interattive di Flavia Alman e Sabine Reiff (PIGRECA ASSOCIATI) è quella di percepire quanto la nostra identità sia una costruzione, che prende forma da appartenenze rigide, come quella corporea. Il nostro apparire esteriormente ha un grosso peso nel nostro percepirci interiormente, e da una scatola chiusa come può essere la nostra conformazione corporale, derivano con facilità chiusure a livello mentale. I ritratti interattivi di Flavia Alman e Sabine Reiff si presentano come delle aperture, attraverso cui sperimentare la condizione di vedersi al plurale, frammentati, ibridando la nostra identità con quella dell’Altro. Attraverso queste opere è possibile mettere in scena performance corporee giocando con le proprie parti del corpo, con i tratti somatici del proprio viso, facendo diventare i nostri elementi corporei tasselli di un mosaico con cui comporre creazioni collettive percependo su di noi l’alterità.
I ritratti interattivi che vengono a crearsi sembrano figure oniriche che si risvegliano nel nostro inconscio e rendendo non familiare ciò che è familiare e familiare ciò che non lo è, ci portano a vivere in un universo estraniante, in cui dobbiamo imparare a percepirci nel profondo della nostra diversità. Il corpo diventa un mezzo con cui giocare, perde il suo potere auratico e sacrale, viene utilizzato per sperimentare il nostro elemento "alfa" (come dicono le Pigreca), il non addomesticabile che vive in noi. L’immaterialità della visione ibridata acquista la sua fisicità attraverso il nostro percepire: si dimostra quanto un’immagine può essere considerata concreta attraverso il nostro immaginario, abituati come siamo da questa società spettacolarizzata a percepire l’illusione come la verità.
Quindi anche se si ha a che fare con effetti di realtà, con creature fantasmatiche, questi ritratti interattivi vanno a toccare direttamente la materialità e la fisicità del nostro essere al mondo, agiscono come intensificatori percettivi. Questo anche perché la nostra cultura ci ha abituato a dare un peso eccessivo al vedere, al percepirsi come immagine, all’apparire esteriormente, per cui i ritratti interattivi vengono direttamente sentiti sul proprio corpo, diventano una seconda pelle. Già con le loro opere video (1989-1997) Flavia Alman e Sabine Reiff si sono cimentate con l’arcano non addomesticabile, con il divenire della metamorfosi, con gli universi onirici estranianti, ma con le installazioni interattive il fruitore si trova direttamente a fare da sé l’opera d’arte, animandola con il suo corpo e la sua mente. Per esempio, con TELESPECCHIO (1992) l’osservatore può combinare e ricombinare la sua immagine specchiata, entrando nelle trame del suo corpo riflesso, dando vita ad altri da sé unendo le metà destre e sinistre del volto in modo inusuale, ricostruendo i propri tratti somatici enfatizzandone le proporzioni, dando vita a creazioni pittoriche con i lineamenti del proprio volto. Nello stesso tempo, la macchina sembra giocare autonomamente con il nostro corpo, rispondendo creativamente ai nostri comandi.
Noi riflettiamo sul nostro corpo e anche lo specchio riflette sulla nostra fisionomia.
Con IDENTIMIX (1994) agendo in contemporanea con un’altra persona su alcuni comandi della macchina, la nostra immagine facciale viene fusa con quella dell’altro, permettendo di vederci ibridati con l’Altro. Dalla dialettica dei due visi si crea la loro sintesi, una sintesi che però non elimina le differenze reciproche, che sono miscelate ma non cancellate. Si crea un’entità dialettica che non schiaccia la diversità, ma mantiene in vita gli opposti pur nella loro fusione. Il sincretismo vince sulla sintesi omologante.
ANAMORFIC GENERATOR (1995), invece, permette di vivere sul proprio corpo le illusioni prospettiche dell’anamorfosi, attraverso cui le immagini, riflesse su solidi specchianti, vengono distorte e sono percepibili solo se viste da un certa angolazione. Attraverso una telecamera viene catturata l’immagine del partecipante, che viene rielaborata in tempo reale mediante le leggi della riflessione; successivamente il fruitore può osservare su una colonna inclinata il fenomeno dell’anamorfosi attorno ad un cono specchiante. L’immagine dell’individuo si fa fluida, nomade, viaggia attraverso le diverse dimensioni dell’opera, che diviene lo spazio di gioco dell’illusione. Per interagire con la propria immagine, e, con l’opera stessa, il fruitore si deve muovere, deve farsi anch’esso nomade, deve compiere una performance per catturare l’aspetto fantasmatico di sé. Quindi, Anamorfic Generator, oltre ad essere un’opera interattiva è anche iterattiva: chi ne fruisce deve continuamente spostare il suo punto di vista/udito costruendo una mappa personale nel territorio della percezione.
Infine, nell’installazione interattiva AUDIO-RITRATTO, IL COLORE DELLA VOCE (1996), l’indiviuo, attraverso la sua voce e le frequenze di risonanza, si percepisce come un colore, indicato da una mano animata (lu-mano con lu-dito) che lo invita a dialogare. "La mano" compie un’opera di riconoscimento vocale, identificando il parlatore all’interno dello spettro dei colori. Questa volta è la nostra voce che ci fa riflettere sull’appartenenza, facendoci percepire come un colore. Cambiando la voce, cambia anche il colore, permettendo alla nostra identità di viaggiare attraverso lo spettro dei colori.
Le opere di Flavia Alman e Sabine Reiff diventano entità animate, che ironizzano sulle nostre rigide configurazioni mentali, offrendo la possibilità di autodeterminare la propria identità giocando con il nostro essere esteriore. Si animano in tempo reale, dando vita a processi creativi sempre diversi, ad una frammentazione di originali immateriali.
Lasciano entrare la vita nei loro circuiti e rispondono con creazioni in continuo divenire.