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3. DAI SIMULACRI UNIVERSALI ALLA CRESCENTE PERSONALIZZAZIONE DELLE ICONE COLLETTIVE NELLA CULTURA DI MASSA



3.1 Premessa


Questo capitolo vuole evidenziare l’esistenza di una linea di continuità fra i cosiddetti media generalisti e i nuovi media digitali nel loro essere espressione dell’immaginario collettivo e derivazione delle strategie di desiderio tipiche di determinate epoche sociali.

Sia negli scenari della nascente società industriale dello scorso secolo che in quelli della successiva società postindustriale, i mezzi di comunicazione di massa hanno contribuito ad operare una progressiva fantasmizzazione delle creazioni e degli oggetti collettivi, delle varie modalità di consumo individuali, delle più generali appartenenze socioculturali.

Quindi, come la fotografia, la radio, il cinema, la TV sono da considerarsi specchio di dinamiche sociali che hanno caratterizzato la vita di una collettività, così i nuovi media interattivi sono il risultato della caleidoscopica cultura attuale, una cultura della simulazione, del bricolage e della ibridazione. Ma nel concetto di interattività e insito anche quello di bidirezionalità. In questo senso, i media stessi contribuiscono al formarsi e all’evolversi della cultura e questo soprattutto grazie all’azione di chi ne fruisce in modo critico, di chi li personalizza sperimentandone i diversi passaggi più o meno segreti, mettendovi in scena il proprio corpo-mente.



3.2 Lo splendore degli immaginari collettivi come messa in scena della società dello spettacolo


Nel testo di Alberto Abruzzese Lo splendore della TV (1995), si interpreta lo splendore delle immagini artificiali proprie del linguaggio televisivo a partire dalle prime manifestazioni della civiltà metropolitana, secondo un percorso che, iniziando con la spettacolarità della piazza-mercato, attraversa i non-luoghi delle prime Esposizioni Universali, della folla metropolitana, dei primi viaggi con il treno a vapore, andando a toccare i simulacri fantasmatici delle cartoline, della fotografia, del mondo delle merci, dell’universo radiofonico, cinematografico, fino ad approdare a quello televisivo.

Il filo conduttore che lega queste entità simulacrali, è la capacità di essere espressione degli immaginari collettivi di una società, la società dello spettacolo, che trova la sua consapevolezza nell’universo delle illusioni fantasmatiche che si materializzano nelle forme massificate della tecnica e dell’industria culturale.

I non-luoghi dell’industria culturale si fanno zone liminali in cui si opera la messa in scena delle identità collettive e in cui si realizza la smaterializzazione della massa nei suoi simulacri illusori, permettendo alla società ed all’individuo di riflettere su se stessi osservandosi nei panni dell’Altro-da-sé come immagine fantasmatica del sé.

Riprendendo il discorso teorico di Richard Schechner, che ricostruisce la trama di eventi scenici sul corpo delle forme postmetropolitane del nostro presente, Abruzzese scrive :

"Il soggetto, per assumere simbolicamente la propria persona, per trovare un ‘recipiente’ in cui apparire, nel cercare la radura del proprio esser-ci, la propria comunità, va oltre allo stesso splendore delle cose e perviene direttamente al desiderio di farsi altro da sé in sé medesimo, alla necessità di provare lo stupore di se stesso. Si ri-trova cioè narcisisticamente ritratto nella meraviglia di sé."

L’individuo quindi partendo dall’illusione dello splendore della merce e degli oggetti di consumo, proietta le trame del suo desiderio nella sua stessa immagine personale, nel suo essere mutante, navigando negli interstizi della sua simulacralità virtuale.

Questo percorso di riflessione fantasmatica e spettacolare degli immaginari collettivi si sviluppa con l’evolversi della società metropolitana ed industriale e nella sua fase più matura si concretizza nell’emergere degli audiovisivi per defluire poi nelle reti dei linguaggi interattivi, in cui si verifica un’estrema smaterializzazione dei corpi individuali, che si fanno icone mutanti.

Per capire l’avvento spettacolare della Tv e il suo ruolo di espressione dell’immaginario collettivo di un’epoca, è opportuno analizzare il retroterra socioantropologico formato dalle pratiche simboliche e culturali accumulatesi lungo il processo di modernizzazione della vita pubblica e privata.

Il punto di partenza per la materializzazione teorica della spirale degli immaginari collettivi, è appunto la piazza-mercato, luogo di confine fra le dimensioni del pubblico e del privato, la finestra sulla vita comunitaria del tempo, l’intrattenimento urbano per eccellenza.

"La piazza urbana era stata il luogo in cui convergevano elementi strutturali e formali in grado di garantire memoria e visibilità al cittadino, occasioni sacre e profane di festa, relazioni economiche e sociali. Edifici di pietra e costruzioni effimere, insegne e cortei, percorsi e prospettive, garantivano i tempi e le forme dell’intrattenimento e dei rapporti di potere. Il venir meno della piazza storica di fronte alla complessità dello sviluppo ha creato il bisogno di trovare strumenti di manipolazione della realtà fisica che andassero al di là dei tracciati di pietra o delle feste periodiche inscenate al cospetto della Chiesa o del Principe. Altre maschere per i rituali di socializzazione. Altri imbonitori per vendere le merci. Altri testimoni e contenitori della memoria. Altri mezzi di informazione e di apprendimento."

Con l’emergere della società di massa la dimensione pubblica di rappresentazione degli immaginari, ha seguito la via della crescente privatizzazione di questi ultimi, passando dai luoghi di ritrovo collettivi ed esterni come la piazza-mercato e dagli scenari metropolitani delle prime Esposizioni Universali (metà Ottocento), non-luoghi di celebrazione della spettacolarità delle merci, alle dimensioni più intime dell’abitare.

Si registra quindi un processo di creazione di una "cultura di cornice" che dal centro dei grandi rituali collettivi va verso i margini delle dimore individuali e della vita privata, in cui si costruiranno dei ponti fra l’esterno e l’interno attraverso le creazioni della tecnica, fino ad approdare ad una più completa privatizzazione e personalizzazione degli universi mediatici collettivi con l’emergere dei dispositivi informatici.

Già con l’affermarsi della folla, soggetto liminare per eccellenza, si comincia ad intravedere il processo di sradicamento dalle appartenenze sociali fisse, dando spazio ad entità sociali che si fanno punto di confine fra pubblico e privato, fra sacralità tradizionale e mondanità privata e fra esterno e interno. La folla non ha radici, né tradizioni consolidate, ma vive negli interstizi della metropoli ed emerge all’interno della massificazione del vivere: è quindi un non-luogo della modernità.

Ma è con l’emergere della tecnica e dell’industria che trovano forma concreta le zone liminari di un vivere metropolitano: basta pensare ai primi spostamenti possibili con il treno a vapore, che materializzano gli scenari di passaggio del viaggio, lo straniamento dovuto all’essere in un-non luogo fra uno spazio e l’altro del vivere, lo stupore nel vivere esperienze fuori dal rassicurante contesto quotidiano di fronte alla presenza dell’ignoto.

Anche i viaggi quindi sono espressione di un immaginario collettivo che si fa liminarità, punto di fusione fra esperienze private e pubbliche, zona di confine fra esterno ed interno come lo sono i vagoni del treno. Al riguardo Abruzzese scrive:

"Lo ‘scompartimento’ dei treni ha un ruolo di centralizzazione e insieme dispersione, chiusura e apertura: non-casa in quanto zona ibrida tra il dentro e il fuori, eterotopia caratterizzata da rituali, drammi, conversazioni, dai traumi del tutto particolari di una falsificata comunità di abitanti-stranieri. […] I finestrini si aprono come quadri in movimento; le immagini sono flussi inarrestabili di un mondo che si fa panorama irreale, territorio a due dimensioni; l’interno diviene una stazione ottica verso cui arrivano messaggi sempre diversi, sequenze che non sono paesaggio tradizionale ma spaesamento metropolitano: l’esterno diviene un luogo irrimediabilmente diviso dallo spettatore, al di là del vetro, dentro la cornice del finestrino. Nello scompartimento il soggetto c’è e non c’è, vive un’identità divisa e una passività che è tuttavia accadimento, un esonero che lo può mortificare e insieme esaltare; mette in opera sguardi discontinui tra tempi e spazi disomogenei. Assorbe ed è assorbito in un vortice."

Questa dialettica fra interno ed esterno, seguendo la spirale degli immaginari collettivi che hanno accompagnato l’affermarsi della tecnica e della civiltà metropolitana, si ritrova anche

nei mondi vitali domestici e familiari dei primi decenni del Novecento e si realizza attraverso l’affermarsi della fotografia come medium di confine fra la vita pubblica e privata e come riproduzione immateriale di cose, luoghi e persone nella materialità del contesto domestico. Il percorso della privatizzazione delle identità collettive si fa qui ancora più evidente e anche nella fotografia si ritrova il fenomeno di dissolvenza fra interno ed esterno e fra privato e pubblico, che sarà ancora più evidente con la nascita degli audiovisivi:

"La fotografia, nascendo molto prima dello sfruttamento delle tecnologie dello schermo e della visibilità dell’audiovisivo, è il deposito esistenziale di un germe che fermenterà nella fase di crisi e destrutturazione di queste tecnologie. La qualità del suo artificio è tale da ritornare all’origine dei miti dello specchio e al futuro dei linguaggi digitali, delle immagini sintetiche. Eppure l’analisi dell’evento fotografico è essenziale anche per arrivare a comprendere la nascita della TV. Non solo sulla linea dei processi di smaterializzazione della realtà fisica, ma anche sulla linea di sviluppo delle reti comunicative.

La dialettica tra interno ed esterno compie un salto di qualità in questa immagine ridotta, priva degli splendori della pittura, sdradicata a ogni supporto e veicolo, ma via d’accesso diretta tra individuo e realtà circostante, tra gli oggetti personali e gli oggetti del mondo, tra fatti e memoria. L’occhio attraverso questo dispositivo prende atto di un modo di percepire le cose mediato dalle sue forme sociali di rappresentazione e di archiviazione. Lo spazio privato si arricchisce di visibilità e di relazioni tra un luogo e l’altro del tempo e del territorio. Dunque la fotografia è stata per più ragioni e per più aspetti un’espressione prototelevisiva."

La fotografia quindi fissa attraverso la tecnica l’immaterialità della vita e artificializza la realtà umana, racchiudendo nell’istante dello scatto il fluire del tempo, portandolo all’interno delle esperienze individuali.

Anche la fotografia spettacolarizza il quotidiano, trascinando la vita nella dimensione immortale della forma artificiale, rendendo un attimo eterno e celebrando l’incontro fra la dimensione individuale e collettiva del nostro esistere.

La spettacolarizzazione del quotidiano è ulteriormente evidente nelle cartoline, che si fanno "zona liminare di un investimento simbolico" (Abruzzese).

La cartolina dimostra ancora più della fotografia la volontà di rendere il mondo esterno esperienza interiore e ugualmente di rendere merce seriale il vissuto personale, abbandonandolo alle strategie dello sguardo. Negli effetti speciali delle cartoline si riscontra lo splendore dell’artificialità riproducibile e si dispiegano i desideri inconsci di una collettività che ama farsi guardare. Anche la cartolina si fa non-luogo che viaggia come i vagoni dei treni, derivazione immaginifica della tecnica che vuole unire con un laccio ibridante l’individuo e la massa.

Incontrati nel suo percorso vorticoso tutti questi tasselli collettivi, la spirale delle zone liminali procede verso la sua meta finale attraversando i territori contaminati dagli audiovisivi, in cui il cinema sonoro e la televisione si allacciano in un rapporto caleidoscopico:

"L’avvento dei linguaggi audiovisivi segnava la rinnovata possibilità per la civiltà di massa di simulare la dimensione primaria dell’abitare, della comunicazione orale hic et nunc, dell’intrattenimento faccia a faccia, dello spettacolo dal vivo. Lo scatto tecnologico investiva le sue risorse su un aumento progressivo degli effetti di realtà, su mezzi in grado di realizzare un più esteso e profondo coinvolgimento dei sensi. La didascalia scritta del cinema muto si dissolveva nella continuità della visione, lasciando emergere da questa stessa visibilità la potenza della voce, i toni affettivi del dialogo, i rumori di fondo della scena […].

Con l’avvento della TV, il grande schermo della sala cinematografica si riproduceva a sua volta nel piccolo schermo dell’interno domestico; la massa degli spettatori si riversava nel nucleo familiare; la distrazione pubblica si invertiva nella distrazione privata. Il tempo collettivo della metropoli si congiungeva con il tempo collettivo dell’individuo, le deviazioni della folla con il lavoro, le fantasie e i tempi morti della famiglia. Si compiva così un grande ciclo dei processi espressivi che dopo essere ricorsi al massimo sviluppo dei linguaggi spettacolari di massa ne traducevano memoria e forme nei luoghi più intimi e segreti dell’esperienza."

In questo percorso teorico si individua quindi un parallelismo fra cinema sonoro e televisione, partendo dagli anni ’30, periodo di progettazione dell’apparecchiatura televisiva e di diffusione del cinema sonoro. Infatti sia cinema che televisione (prima l’uno e poi l’altra) trovano la propria realizzazione nella materializzazione illusoria dei simulacri universali in cui una società metropolitana si identifica, conseguentemente all’insorgere dei consumi e al progressivo ritirarsi nella propria dimora individuale, in cui si celebra il desiderio di una visione globale del quotidiano. Cinema e televisione diventano la rappresentazione figurata dell’identità collettiva, sono i non-luoghi per eccellenza in cui gli spettatori vedono i simulacri di loro stessi, ricevendo l’illusione di partecipare alla globalità dell’esistere nell’imitazione della multimedialità del reale. Con l’unione del corpo alla voce nella rappresentazione di eventi collettivi, si radicalizza l’effetto illusorio che non era stato ancora raggiunto con la radio e il cinema muto, trasportando lo spettatore nella finzione di un mondo smaterializzato.

"Cinema e TV si facevano quindi capaci di produrre artificialmente messa in scena e comportamenti umani - di realizzare performance collettive - che rispecchiassero sempre più i mondi della realtà, a questo punto senza dover ricorrere materialmente alla fisicità dei luoghi, dei corpi o degli allestimenti scenografici, come accadeva nell’artificialità teatrale, ma invece utilizzando e manipolando soltanto l’immagine ottica, il fantasma e dunque il desiderio."

Ritorniamo a questo punto al discorso della performatività delle tecnologie, al loro potere di mettere in scena le dimensioni individuali e collettive dell’essere, utilizzando scenografie virtuali in cui viene data la possibilità al nostro corpo di agire nella sua smaterializzazione, operando nel palcoscenico dell’immaginario. Attraverso i dispositivi della tecnica l’individuo può immergersi negli immaginari in cui la società postmetropolitana si riflette e parla di se stessa.

Questo processo già si intravedeva nella comunicazione audiovisiva e trova la sua espressione più completa nelle nuove tecnologie interattive.



3.3 Dalla televisione ai media digitali: un varco nelle trame della nostra distrazione


Le tecnologie digitali (penso al computer, alle installazioni interattive, alla realtà virtuale), presentano punti di svolta radicali rispetto agli audiovisivi ma anche punti di contatto.

E’ quindi poco opportuno cadere nell’esaltazione acritica delle nuove possibilità offerte dall’informatica, ma è anche giusto riconoscere la componente di innovazione che queste presentano. Partendo dalle posizioni più orientate verso le novità che i mondi virtuali offrono e meno inclini a considerare gli aspetti di continuità, si può considerare l’analisi che Derrick de Kerckhove apporta al passaggio dalla fruizione degli audiovisivi a quella delle tecnologie informatiche. Queste posizioni, possono anche rendere più chiaro il concetto di personalizzazione iconica possibile con i nuovi media.

De Kerckhove mette a confronto la fruizione del mezzo televisivo con quello del computer: afferma che la Tv parla più al nostro sistema neuromuscolare (per estens. al nostro corpo) che alla nostra mente, lasciandoci minor tempo rispetto al computer di riflettere criticamente su ciò che stiamo osservando.

A causa dei tempi e delle strategie televisive per catturare lo spettatore, le immagini sul video procedono ad un ritmo tale che la mente dello spettatore spesso non ha il tempo di rielaborarle e procede nella costruzione del senso per rapide generalizzazioni, partendo da frammenti labilmente connessi e ricostruendo così l’oggetto della visione.

Mentre la mente spesso si allontana dalle informazioni sul teleschermo sprofondando nelle derive della sua distrazione, il nostro sistema neuromuscolare segue di continuo le immagini sul video, rispondendo a livello corporeo agli stimoli che la TV offre.

"E’ un fenomeno involontario che dipende dalla nostra programmazione biologica antidiluviana: i sistemi nervosi autonomi dei mammiferi superiori sono addestrati a rispondere ad ogni percettibile cambiamento nell’ambiente che potrebbe essere importante per la sopravvivenza. Siamo condizionati a rispondere involontariamente a qualunque tipo di stimolo, interno o esterno, con quella che in psicofisiologia clinica viene chiamata la risposta di orientamento (OR, Orienting Response). […] Nella vita, noi diamo una collocazione agli stimoli mano a mano che ne abbiamo esperienza: o li riconosciamo subito o sviluppiamo rapidamente una strategia per fronteggiarli. Una risposta completa ad uno stimolo viene definita ‘chiusura’. Così, nella vita, la maggior parte degli stimoli destano una OR, richiamano una chiusura e la rievocano. Con la televisione però non diamo mai una conclusione allo stimolo iniziale: la TV provoca varie successioni di OR senza concedere il tempo per una chiusura."

La TV attira quindi la nostra attenzione senza necessariamente soddisfarla, provocando degli stimoli in noi che sono rielaborati a livello corporeo, ma non sempre nel nostro emisfero cognitivo, lasciando il processo di perturbazione aperto.

Il medium perturba noi, ma noi non perturbiamo il medium. E molto spesso la perturbazione in noi avviene nella nostra incoscienza.

La TV elimina l’effetto di "distanziazione" (l’intervallo di tempo fra stimolo e risposta) e quindi non ci permette di rielaborare l’informazione a livello cosciente operando una riflessione su ciò che si sta guardando. Per questo, secondo De Kerckhove "la programmazione televisiva mira deliberatamente ad evitare risposte verbalizzate, in modo da renderci facili vittime dei messaggi pubblicitari."

Da qui si verificano i processi di massificazione e di controllo sulla nostra autonomia consapevole. Con il computer lo scenario cambia: fra lo stimolo e la risposta c’è la possibilità di operare una riflessione critica. Il medium viene plasmato a seconda dei nostri bisogni e desideri e ci offre maggiore possibilità di mettere in scena pratiche performative a partire dalla nostra azione personale ed autonoma.

"La rapida e universale diffusione dei PC può essere vista come la necessaria protesta di un individuo in una società dominata dal video. […] I computer ci consentono di ‘ribattere’ ai nostri schermi e di introdurre così il secondo elemento che porterà ad estrinsecare la nostra coscienza. Ribattere richiede una qualche forma di interfaccia. E’ qui comprensibile che gran parte del lavoro impiegato per costruire computer migliori si sia concentrato nel tentativo di migliorare le interfacce e di renderle facili da usare. Al tempo stesso, l’interfaccia è diventato il luogo principale dell’elaborazione delle informazioni. Ed è precisamente qui che il confine fra il dentro e il fuori ha cominciato ad essere meno preciso.

La questione più importante che oggi ossessiona gli psicologi cognitivi è se, quando usiamo il computer, siamo padroni o schiavi, o tutte e due le cose insieme. […] La sola risposta possibile a questa domanda cruciale è riconoscere che i computer hanno una nuova sorta di cognizione intermedia, un ponte di interazione continua, un corpus callosum fra il mondo esterno e la nostra identità interna."

Da queste parole di De Kerckhove riemergono le caratteristiche salienti dei mezzi digitali che finora abbiamo considerato: la possibilità di una risposta individuale attraverso le interfacce grafiche, il valore di queste interfacce, la possibilità di perturbare il medium con le nostre risposte, ma emergono anche nuovi aspetti. Proprio dalle affermazioni di De Kerckhove che va contro la massificazione televisiva in favore di una autogestione ed autoproduzione dei contenuti comunicativi (aspetti che tratteremo in seguito entrando nel territorio di confine fra l’arte e la vita), emerge un aspetto dei nuovi media che li ricollega a quelli precedenti, come la TV: la possibilità di essere un ponte fra mondo esterno ed identità interna, fra immaginario collettivo e simulacri del Sè, aspetto che emergeva dalle teorizzazioni di Abruzzese considerate sopra.

Anche i computer, pur nella conquista di un flusso comunicativo bidirezionale, possono essere considerati una zona liminare fra le nostri pulsioni interne e gli immaginari collettivi esterni, con una differenza: questa volta gli immaginari collettivi sono concretamente personalizzati attraverso l’azione del nostro corpo-mente che si smaterializza nelle interfacce grafiche e diventa un simularo artificiale. E da questa messa in scena performativa del nostro corpo è anche possibile operare una riflessione critica su questi immaginari, che possono essere realmente manipolati (e le pratiche di arte digitale lo testimoniano, ma lo vedremo successivamente).



3.4 Personalizzare le icone virtuali attraverso l’azione di un corpo simulacrale


Una delle qualità principali dei media digitali come il computer è quindi la possibilità che offrono di personalizzare l’ambiente grafico che si presenta come ponte fra utente e sistema informatico e, in vista delle teorizzazioni precedenti, come ponte fra un vissuto individuale e la concretizzazione iconica di un immaginario collettivo postindustriale.

Attraverso il nostro agire psicomotorio interagendo con le interfacce iconiche, è possibile lasciare una traccia personalizzata nelle trame degli universi digitali manipolando le icone, le immagini virtuali, gli ipertesti informatici, e ri-versandovi praticamente i nostri percorsi mentali. Quindi nel nostro dialogo con i sistemi informatici, non mettiamo in scena solo le nostre facoltà cognitive, ma assume importanza il connubio corpo-mente e la nostra azione psicomotoria viene riportata smaterializzandosi nelle icone informatiche: il fruitore si fonde con il medium attraverso il suo fare performativo.

Si registra quindi un punto di svolta rispetto alla fruizione dei media analogici, come gli audiovisivi, e in questo processo assume grossa importanza il nostro agire individuale:

"I media monodirezionali e diffusivi offrono l’opportunità di una proiezione simbolica del nostro io materiale in un universo di creature fantasmatiche che si agitano sullo schermo e una serie predefinita di possibilità di visione del mondo virtuale del film o della trasmissione televisiva. Viceversa i nuovi linguaggi espressivi consentono di costruire mondi dove l’utente può non solo identificarsi con un punto di vista, ma assumerlo su di sé sostituendo alla proiezione della propria fisicità in un orizzonte immateriale, la percezione dell’immersione in uno spazio tridimensionale in cui assumere una o molteplici identità fittizie (di personaggi o di io guardanti).

Ciò che consente questo scarto è, anche, la possibilità di impadronirsi della regia del proprio sguardo, di essere autori della scelta dei propri percorsi visivi - e di senso - all’interno dell’ambiente virtuale. Si tratta di una scelta che mette in gioco, più che una totale libertà di azione, il con-versare di progettualità che si collocano su due versanti: uno interno all’ambiente virtuale che porta in sé - predefinite - le possibilità di percorso tra cui si opera la scelta del lettore e uno esterno, proprio del recettore, che combina e ricombina tali percorsi , attraverso le proprie scelta, in personali e molteplici ‘costruzioni di senso’"

Il fruitore quindi, frammentandosi ambienti di Realtà Virtuale, interagendo con le icone di un Cd-Rom, navigando negli ipertesti di Internet, si trova di fronte a percorsi predeterminati dal programmatore, ma in cui può comunque avere l’illusione di sentirsi libero, scegliendo autonomamente e in maniera personalizzata le vie da percorrere.

Viene superata la costrizione di un palinsesto verticistico e adattato alle presunte esigenze di un audience massificata, e si lascia libero il fruitore di autodeterminare i propri tracciati comunicativi e i propri percorsi di senso a seconda dei personali bisogni del momento.

"McLuhan aveva anticipato, in epoca mass-mediale l’ipotesi di una diretta connessione tra forma percettiva e mezzo di comunicazione, e alcuni tratti della sua analisi appaiono ancora sorprendentemente attuali: l’amplificazione del corpo, la tattilità, la narcosi, la moltiplicazione dello spazio visivo, l’esteriorizzazione del sistema nervoso…sono termini utilizzabili per leggere l’accelerazione in senso virtuale della realtà neo-mediale. […] A differenza dei media dei media tradizionali, come TV, radio, cinema, i nuovi media presentano una disseminazione personalizzata del loro uso: pur se singolarmente pregnanti i loro effetti sociali non sono rapportabili ai media tradizionali, che pure ne costituiscono la premessa. […] Persa la referenzialità dell’analogico, superata la passività della sola recezione, aumentata la competenza e la capacità di trattamento informatico, i nuovi media si caratterizzano per la pluralità delle funzioni, la diversificazione dell'utilizzo, l’interazione della comunicazione. L’utente dei nuovi media diventa un viaggiatore digitale, un elettronauta consapevole del suo viaggiare."

Vediamo quindi che sotto certi aspetti i nuovi media digitali "tradiscono" le tecnologie precedenti nel prepotente emergere delle possibilità di trasmissione, di messa in scena, di espressività e di costruzione del senso attraverso il linguaggio psicomotorio del fruitore, che opera una sperimentazione performativa agendo nelle trame del virtuale e personalizzando le icone grafiche. Sotto altri aspetti esiste una continuità fra nuovi e vecchi media, se consideriamo il dialogo inscenato fra l’interiorità del fruitore e il suo simulacro artificiale esteriorizzato. L’utente, infatti, manipolando il testo digitale, protesizza il suo corpo proiettandolo nell’artificialità della rappresentazione e in questo modo, lo rende un simulacro immateriale, in cui si può riconoscere. A riguardo, Nicoletta Vittadini scrive: "Nella comunicazione interattiva si possono riscontrare punti di convergenza con l’interazione simbolica realizzata nei media tradizionali. Infatti, anche la comunicazione interattiva non avviene tra due soggetti reali compresenti in uno spazio fisico condiviso. Lo spazio in cui avviene l’interazione può essere individuato in un interspazio di natura simbolica che viene visualizzato sullo schermo, in cui sono rintracciabili le tracce dell’azione di un soggetto enunciatore e di un enunciatario.

Infatti, se da un lato esiste un soggetto empirico che seleziona, organizza le informazioni e definisce le modalità di fruizione del sistema, esso non interviene nell’interazione con l’utente, ma lascia il campo ad un soggetto simulacrale - l’enunciatore appunto - che si configura come un apparato culturale frutto di un’istanza di ordinamento e di progettualità dell’interscambio comunicativo.

D’altro canto l’utente agisce concretamente nell’ambito dell’interscambio, ma interagisce con dei significanti visualizzati sullo schermo e per poter compiere la propria azione è costretto ad un’attività di smaterializzazione e di assunzione di un corpo simulacrale. Egli deve ‘allungare’ i propri organi di senso per poter interagire. Nella comunicazione interattiva l’utente è assistito in questa attività dagli strumenti di interfaccia che possono essere intesi come vere e proprie protesi che permettono al soggetto di accedere a luoghi altrimenti preclusi.

Inoltre l’attività di protesizzazione dell’utente è avvalorata e resa attiva dall’assunzione di un corpo simulacrale che si materializza sotto forma di icona visibile sullo schermo (dai cursori fino alle icone che rappresentano gli individui negli ambienti di Realtà Virtuale)."

Le immagini sullo schermo si fanno quindi ponte, come quelle televisive e cinematografiche, fra la costruzione di senso di un singolo individuo (che in questo caso è l’interattore o il fruitore) e l’operato di chi seleziona e organizza le informazioni comunicative (che può essere un programmatore, un tecnico informatico o un artista di arte digitale). Anche con gli audiovisivi tali immagini erano da una parte interpretate dallo spettatore e dall’altra realizzate dalla macchina spettacolare delle imprese audiovisive. La zona di confine fra l’azione di chi crea e chi fruisce è il mondo smaterializzato visualizzato sullo schermo, in cui trovano vita i simulacri fantasmatici individuali e collettivi. Ma mentre con i media tradizionali l’evento comunicativo si realizzava tramite l’azione di un io nascosto che si proiettava nei grandi simulacri universali animati sullo schermo, con i nuovi media interattivi l’utente acquista visibilità e può lasciare tracce personali nel medium attraverso la messa in scena performativa del suo simulacro corporeo. L’azione psicomotoria del fruitore, che interagisce con le interfacce grafiche, viene concretizzata negli ambienti digitali attraverso la manipolazione iconica operata da un doppio virtuale dell’interattore, mediante la messa in scena della sua protesizzazione corporea artificiale.

I nuovi media rendono visibili le relazioni fra l’individuo e il giocare con l’immaginario collettivo, un immaginario collettivo cyber e postumano, che viene manipolato, frammentato, ibridato e costruito attraverso l’agire performativo individuale nel mondo virtuale. Il digitale quindi diventa la zona di confine e di ibridazione fra interno ed esterno in cui, partendo dalle pulsioni interiori e soggettive, si pùò agire concretamente sugli immaginari collettivi attraverso la loro manipolazione.

Quindi il "giocare" con le icone digitali, conserva sempre quel carattere riflessivo proprio del gioco che, come Victor Turner afferma, costituisce la zona liminale per eccellenza per operare una decostruzione e ricostruzione critica del reale.

Il "gioco" virtuale quindi come TAZ, Zona Temporaneamente Autonoma in cui si può creare il nuovo a partire dallo scardinamento del vecchio… "Liminale, anche evanescente la TAZ deve combinare informazione e desiderio per soddisfare la sua avventura (il suo ‘accadere’), per riempirsi fino ai confini del proprio destino, per saturarsi con il proprio divenire."

Ed è proprio nelle esperienze performative digitali che il desiderio e l’informazione si allacciano nelle trame della sperimentazione creativa.

Tutti questi elementi qui tratteggiati che vanno a caratterizzare la fruizione e le peculiarità epressive dei nuovi media, si ritroveranno poi nel discorso sull’arte digitale interattiva vista come territorio liminale - o se vogliamo TAZ - di sperimentazione performativa attraverso pratiche corporee reali in un universo smaterializzato.

Prima però di entrare nel vivo della riflessione sull’arte, è bene analizzare l’altro aspetto (sopra accennato) che caratterizza l’interazione con i nuovi media e cioè la presenza di immaginari collettivi che riguardano il connubio uomo-macchina che si materializzano nell’azione smaterializzata del fruitore delle nuove tecnologie digitali.

Il fruitore quindi manipolando icone, gioca con degli immaginari e diventa egli stesso parte di questi immaginari collettivi pur personalizzandoli e costruendoli attivamente. Il fruitore si trova quindi a compiere un viaggio trasformativo nelle derive dell’immaginario, un immaginario postindustriale che lo rende mutante.

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