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1. VICTOR TURNER E IL CONCETTO DI PERFORMANCE



Non riesco più a vedere così netta la distinzione tra teatro e arti visuali. Le distinzioni sono una malattia della civilizzazione"

Claes Oldenburg



1.1 Dramma sociale, riti di passaggio e liminalità


La performatività può essere utilizzata come chiave interpretativa di alcuni caratteri delle nuove tecnologie e in particolar modo può essere un concetto utile per connotare di una veste teorica la costruzione di senso attraverso l’agire favorita dagli strumenti mediatici digitali.

Per comprendere appieno il concetto di performatività è però necessario riflettere sull’idea stessa di performance come pratica corporea necessaria ad una ridefinizione critica del reale e potenziale non-luogo di margine e di passaggio da situazioni sociali e culturali definite a nuove aggregazioni sperimentali.

La riflessione teorica di Victor Turner è quella che meglio si adatta al riguardo, proprio perché tale autore utilizzò il concetto di performance per penetrare le fenomenologie liminoidi (zone potenzialmente feconde di riscrittura dei codici culturali) e da qui anche la trasformazione sociale stessa.

Victor Turner (1920-1983) è considerato un’esponente di punta dell’antropologia sociale britannica e fu attivo all’interno della "scuola di Manchester", animata in Inghilterra dall’antropologo Max Gluckman dal 1947. La "Scuola di Manchester" costituì un attivo punto di svolta rispetto alla metodologia struttural-funzionalista, considerata il perno della teorizzazione antropologica dell’epoca. Infatti il presupposto teorico della scuola fu quello di analizzare le realtà sociali privilegiando la componente trasformativa e conflittuale dei processi sociali, contrapponendo al metodo struttural-funzionalista quello che è stato definito extended case method, o "metodo di analisi dinamica dei casi".

L’analisi struttural-funzionalista infatti puntava ad individuare le norme e le istituzioni cristallizzate per ricostruire l’assetto strutturale di una data società; Gluckman e i suoi allievi cercavano di individuare la componente dinamica delle relazioni sociali stesse, conseguentemente all’insorgere di principi e valori antagonistici ed oppositivi atti a rimodellare l’intera struttura sociale. In particolare Victor Turner si interessò agli aspetti processuali del divenire analizzando la vita sociale in un villaggio degli Ndembu, una popolazione della Rhodesia del Nord, oggi Zambia. Egli comunque non circoscrisse le sue analisi teoriche alle popolazioni native dei paesi in via di sviluppo, ma analizzò a fondo anche le dinamiche oppositive e processuali delle società complesse occidentali, attuando una comparazione fra scenari culturali diversi.

Il punto di partenza della sua analisi teorica è il concetto di social drama (dramma sociale).

"Un dramma sociale si manifesta innanzitutto come rottura di una norma, come infrazione di una regola della morale, della legge, del costume o dell’etichetta in qualche circostanza pubblica. Questa rottura può essere deliberatamente, addirittura calcolatamente premeditata da una persona o da una fazione che vuole mettere in questione o sfidare l’autorità costituita […] o può emergere da uno sfondo di sentimenti appassionati. Una volta comparsa, può difficilmente essere cancellata. In ogni caso, essa produce una crisi crescente, una frattura o una svolta importante nelle relazioni fra i membri di un campo sociale, in cui la pace apparente si tramuta in aperto conflitto e gli antagonismi latenti si fanno visibili. Si prende partito, si formano fazioni, e a meno che il conflitto non possa essere rapidamente confinato in una zona limitata dell’interazione sociale, la rottura ha la tendenza a espandersi e a diffondersi fino a coincidere con qualche divisione fondamentale nel più vasto insieme delle relazioni sociali rilevanti, cui appartengono le fazioni in conflitto."

Il dramma sociale ha quindi luogo quando nell’ambito della vita quotidiana di un villaggio si crea una frattura nelle tradizionali norme del vivere oppure quando in una società complessa si genera un punto di svolta rispetto alla consolidata struttura socioculturale e ci si adopera per far affiorare l’ipotetica antistruttura. I drammi sociali rivelano "strati sottocutanei" della struttura sociale e fanno affiorare allo scoperto elementi oppositivi della società stessa, facendo pulsare le vene reticolari che strutturano le relazioni interpersonali di una determinata società, fino a farle scoppiare. Secondo Turner, infatti, i drammi sociali hanno la caratteristica di attivare opposizioni all’interno di gruppi, classi sociali, etnie, categorie sociali, ruoli e status cristallizzati, trasformando queste opposizioni in conflitti che, per essere risolti, necessitano una rivisitazione critica di particolari aspetti dell’assetto socioculturale fino ad allora legittimato.

Questa riflessione critica avviene solitamente nell’ambito di fasi di passaggio da una situazione culturale istituzionalizzata a nuove aggregazioni spontanee, che possono originarsi nell’atto di tracciare i solchi del nuovo e del non familiare all’interno del territorio della liminarità socioculturale. Il concetto di limen (che significa "soglia", "margine" in latino) è traslato da Victor Turner dal lavoro di Arnold Van Gennep, che nel 1909 pubblicò in Francia il libro Les rites de passage (trad. italiana I riti di passaggio).

Per Van Gennep i Riti di passaggio sono quelli che accompagnano il mutamento dello status sociale di un individuo o di un gruppo di individui e riguardano le "fasi critiche" della vita umana. Per esempio, Van Gennep analizzò i rituali d’iniziazione che riguardano i momenti di passaggio da uno status sociale ad un altro (come nel caso dell’entrata nella vita adulta da parte di un giovane di un clan) e che di solito comportano lunghi periodi di isolamento e di allontanamento dell’iniziando dalla vita sociale normativizzata, confinandolo in una zona liminare (per esempio in alcune tribù australiane, melanesiane e africane un ragazzo sottoposto all’iniziazione è costretto a vivere per molto tempo nei boschi lontano dalle normali interazioni sociali a cui è abituato). Dopo la separazione dalla routine della vita quotidiana, in seguito alla rottura di particolari norme legittimate dalla comunità, i novizi attraversano una fase intermedia, di transizione, che Van Gennep chiama appunto "margine" o "limen", una zona di ambiguità, una sorta di limbo socioculturale, in cui si gioca con i simboli culturali e li si ricompone secondo modalità inedite. "La liminalità può comportare una complessa sequenza di episodi nello spazio-tempo sacro, e può comportare anche eventi sovversivi e ludici (o giocosi). I fattori culturali vengono isolati, per quanto è possibile fare con simboli plurivoci […] come alberi, immagini, dipinti, figure di danza, ecc., ciascuno dei quali può assumere non uno, ma diversi significati. Poi questi fattori o elementi culturali possono essere ricombinati in molti modi, spesso grotteschi perché disposti secondo combinazioni possibili o immaginarie anziché quelle dettate dall’esperienza: così un travestimento da mostro può unire tratti umani, animali e vegetali in un modo ‘innaturale’, mentre gli stessi tratti possono essere combinati in modo diverso, ma sempre ‘innaturalmente’ in un dipinto o descritti in un racconto. In altri termini nella liminalità la gente ‘gioca’ con gli elementi della sfera familiare e li rende non familiari. La novità nasce da combinazioni senza precedenti di elementi familiari." Nel caso dei riti di iniziazione, nella fase di transizione in cui vive l’iniziando si mettono in gioco una serie di simboli rituali e si cerca di praticare un’ibridazione e uno sconvolgimento degli attributi sociali con cui l’individuo era precedentemente connotato: gli iniziandi sono reputati invisibili, vengono privati del nome e dei vestiti e imbrattati di fango, vengono considerati simultaneamente di sesso maschile e femminile, oppure sia vivi che morti. Nella fase di transizione gli iniziandi sono spinti verso l’invisibilità strutturale, l’anonimato e l’uniformità, al fine di passare ad un nuovo status.

Il liminale quindi rappresenta un contesto di ibridazione sociale e culturale, zona di confine in cui potenzialmente potrebbero sorgere nuovi modelli, paradigmi, in cui la creatività culturale inscena la sua danza al congiuntivo. Turner sostiene che "l’essenza della liminalità consista nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nella ricomposizione libera o ‘ludica’ dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione possibile, per quanto bizzarra." In questo settore culturale libero e sperimentale, possono essere introdotti nuovi elementi socioculturali e nuove regole combinatorie e soprattutto è possibile operare una riflessone critica sugli elementi socioculturali stessi a partire dalla messa in scena performativa del proprio corpo. Prima però di approfondire questo concetto, è bene seguire lo stesso percorso di Victor Turner ed operare un confronto fra i riti di passaggio inscenati in determinate tribù e i periodi di transizione o mutamento socioculturale che avvengono nelle società occidentali.



1.2 Dal liminale al liminoide


I drammi sociali possono verificarsi nelle società industriali occidentali quando si determina un passaggio da una fase culturale ad un’altra, quando la vita storica stessa non ha più senso nei termini precedentemente ritenuti validi e si rende necessaria la produzione di un nuovo senso culturale per determinati aspetti della vita sociale. A volte i drammi sociali possono prendere forma nell’emergere di nuove opposizioni sociali e culturali che si battono per operare uno scardinamento di parametri legittimati dalla tradizione e dall’istituzione, e possono prendere l’aspetto di vere e proprie rivoluzioni.

"Nelle società moderne di grandi dimensioni, i drammi sociali possono espandersi dal livello locale alle rivoluzioni nazionali, o assumere fin dall’inizio la forma di una guerra fra nazioni. […] Nelle nostre società industriali ci sono familiari le opposizioni fra classi, sottoclassi, gruppi etnici, sette e culti, regioni, partiti politici e associazioni basate sulla divisione del lavoro o sull’appartenenza allo stesso sesso o alla stessa generazione. Altre società sono divise al loro interno in caste e corporazioni tradizionali. I drammi sociali hanno la caratteristica di attivare queste opposizioni classificatorie, e molte altre […]. I drammi sociali hanno il potere di trasformare queste opposizioni in conflitti. La vita sociale dunque, anche nei suoi momenti di apparente quiete è eminentemente ‘gravida’ di drammi sociali." Secondo Turner, all’interno di queste fasi di crisi, di transizione, di mutamento culturale, vengono ideate nuove modalità culturali per affrontare, comprendere, fornire di un significato e talvolta risolvere la crisi. Nelle società in cui viviamo, l’autoanalisi, la riflessione critica sulla società stessa, la valutazione del nostro comportamento sociale, la presentazione metaforica di modalità con cui trovare una risposta all’ambiguità socioculturale, trova una collocazione nella sfera delle arti.

"Esattamente quello che fanno i membri di una tribù quando fabbricano maschere, si travestono da mostri, ammucchiano simboli rituali disparati, invertono o fanno la parodia della realtà profana nei miti e nelle leggende popolari, è ripetuto dai generi di svago delle società industriali quali il teatro, la poesia, il romanzo, il balletto, il cinema, lo sport, la musica classica e rock, le arti figurative, la pop art, ecc.: essi giocano con i fattori della cultura, raccogliendoli in combinazioni solitamente di carattere sperimentale, talvolta casuali, grotteschi, improbabili, sorprendenti, sconvolgenti. Solo che essi fanno questo in un modo molto più complicato di quanto avvenga nella fase liminale dei riti tribali di iniziazione, poiché i generi specializzati di intrattenimento artistico e popolare (cultura di massa, cultura pop, cultura folk, alta cultura, cultura alternativa, cultura di avanguardia, ecc.) si moltiplicano, in contrasto con il numero relativamente limitato dei generi simbolici in una società ‘tribale’, e ciascuno di essi al suo interno lascia ampio spazio a scrittori, poeti, drammaturghi, pittori, scultori, compositori, musicisti, attori, comici, cantanti folk, musicisti rock, e in generale ai ‘produttori’ di cultura, per creare non soltanto forme strane, ma anche, e abbastanza di frequente, modelli […] che contengono una severa critica dello status quo, in tutto o in parte."

Questi generi che offrono la possibilità di effettuare una sperimentazione libera all’interno della cultura di massa, permettendo di rimescolare i tasselli che qualificano gli immaginari collettivi condivisi, svelando l’arcano non addomesticabile, sono prodotti che vengono chiamati da Turner il liminoide "(l’ ‘oide’ qui deriva dal greco –eidos , forma, modello, e significa ‘rassomigliare a’; il ‘liminoide’ assomiglia al liminale senza essere identico ad esso)". Il liminoide quindi assomiglia al liminale per il suo carattere di possibilità trasformatrice, per essere il regno del congiuntivo e non dell’indicativo e per essere il non-luogo in cui è possibile giocare con i simboli e le appartenenze culturali cristallizzate, dando vita a combinazioni inusuali minando alle fondamenta il familiare.

Victor Turner dà molta importanza all’agire attraverso il gioco e lo svago nelle società occidentali, infatti mediante la componente di sperimentazione libera e spontanea che il gioco offre, è possibile vivere determinate esperienze creative, imparando a scomporre e frammentare il nostro immaginario collettivo, ricombinando gli elementi culturali secondo inusuali aggregazioni e riflettendo sullo status quo. Mentre nel senso comune si tende a connotare il concetto di gioco, svago e tempo libero come qualcosa di alternativo al lavoro visto come "più rispettabile" fonte di produzione culturale, in realtà si può imparare attraverso il disordine e anzi, è proprio nella liminarità del gioco e dello svago che può fermentare il nuovo attraverso la stimolazione del nostro corpo-mente.

Secondo Turner, ciò che differenzia il liminoide dal liminale è la componente maggiormente libera e spontanea dei generi liminoidi nelle società complesse occidentali, ed il fatto che determinate pratiche sono una questione di scelta e non di obbligo. Mentre all’interno dei rituali liminali di una società tribale si tende ad invertire ma non a sovvertire lo status quo, vivendo all’interno di un disordine comunque istituzionalizzato e a cui partecipa tutta la collettività (per esempio durante l’iniziazione si devono infrangere determinate regole), nell’ambito dei generi liminoidi si tende spesso a sovvertire oppure a corrodere i valori centrali normativizzati su cui si basa la società e questo avviene secondo il libero arbitrio individuale.

Il liminoide e il liminale conservano però un’importante caratteristica in comune e cioè rappresentano zone performative di metacommento sociale.



1.3 La Performance come metacommento sociale: dal rito al teatro


Attraverso la simbologia comparata Turner tenta di afferrare la funzione processuale dei simboli culturali, che vengono considerati come sistemi dinamici socio-culturali, veicolo di trasformazione attiva all’interno della sfera culturale e sociale legittimata.

Mediante la scomposizione-ricomposizione libera e spontanea dei simboli culturali familiari, e quindi attraverso l’azione socio-culturale, è possibile attribuire un significato ai drammi sociali che si presentano nelle fasi liminali della dinamica socio-culturale.

Conseguentemente ad un mutamento sociale (che può essere anche drammatico) attraverso la messa in scena del nostro-corpo-mente e quindi attraverso la performance, è possibile operare una riflessione critica su alcuni aspetti cristallizzati del sociale e a volte generare un cambiamento in alcuni livelli della società stessa. Quindi la performance può essere una risposta critica al mutamento socioculturale e nello stesso tempo può anche generarlo se assume caratteri oppositivi: ha quindi spesso un carattere retroattivo (oltre che riflessivo).

Le riflessioni di Turner rendono ancora più chiaro questo concetto:

"Il termine performance deriva dall’antico francese parfournir che significa letteralmente ‘fornire completamente o esaurientemente’. To perform significa quindi produrre qualcosa, portare a compimento qualcosa, o eseguire un dramma, un ordine o un progetto. Ma secondo me nel corso della ‘esecuzione’ si può generare qualcosa di nuovo. La performance trasforma se stessa. […] Le regole possono ‘incorniciarla’, ma il ‘flusso’ dell’azione e dell’interazione entro questa cornice può portare ad intuizioni senza precedenti e anche generare simboli e significati nuovi, incorporabili in performance successive. E’ possibile che le cornici tradizionali vadano sostituite: nuove bottiglie per il vino nuovo."

La performance ha quindi un carattere sperimentale e nello stesso tempo critico: attraverso l’agire psicofisico è possibile vivere e portare a compimento un’esperienza e nella messa in scena del nostro corpo è possibile riflettere sull’esperienza stessa.

A livello più generale la performance costituisce una forma di metacommento sociale e cioè rappresenta "una storia che un gruppo racconta a sé stesso e su se stesso". Quindi da una parte facilita la lettura della propria esperienza vissuta attraverso il rivivere l’esperienza stessa (Erlebnis di Dilthey) o permette di vivere nuove esperienze secondo modalità inedite, dall’altra favorisce una riflessione critica sul reale permettendo di effettuare un’esplorazione all’interno dei simboli culturali articolando e fornendo di significato i conflitti del presente.

Lo stesso Turner afferma: "Secondo me l’antropologia della performance è una parte essenziale dell’antropologia dell’esperienza. In un certo senso, ogni tipo di performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il carnevale, il teatro e la poesia, è spiegazione e esplicazione della vita stessa, come Dilthey sostenne spesso. Mediante il processo stesso della performance, ciò che in condizioni normali è sigillato ermeticamente, inaccessibile all’osservazione e al ragionamento quotidiani, sepolto nelle profondità della vita socioculturale, è tratto alla luce: Dilthey usa il termine Ausdruck, ‘espressione’, da ausdrucken, letteralmente ‘premere o spremere fuori’. Il ‘significato’ è ‘spremuto fuori’ da un evento che è stato esperito direttamente dal drammaturgo o dal poeta, o che richiama a gran voce una comprensione (Verstehen) penetrante e fantasiosa. Un’esperienza vissuta è già in se stessa un processo che ‘preme fuori’ verso un’ ‘espressione’ che la completi."

Le riflessioni di Turner sono fortemente influenzate dal pensiero di Richard Schechner con cui collaborò attivamente all’interno di alcuni seminari aventi luogo nel Performing Garage, un teatro di Soho dove la compagnia teatrale di Schechner, il Performing Group, rappresentò alcuni notevoli spettacoli.

Attraverso l’operato di Schechner (regista teatrale e insegnante al Department of Performance Studies alla School of the Arts della New York University), assume un nuovo senso la teoria e la pratica della performance, che si basa essenzialmente sul fattore sperimentativo e sull’imparare rappresentando. Nel teatro di Schechner la parte cresce gradualmente insieme all’attore, assume forma attraverso il processo di prova, che a volte può comportare momenti di profonda autorivelazione. Attraverso l’agire corporeo si sviluppano nuovi comportamenti dal recupero di esperienze vissute e nello stesso tempo si vivono nuove esperienze: il teatro in questo senso si avvicina sempre più alla vita stessa.

Mediante l’esperienza performativa teatrale, secondo Schechner, è possibile rivivere e dare un nuovo senso anche ad eventi e pratiche proprie di altre culture, ricreando il comportamento dell’altro dall’interno. Nel processo di prova viene istituita una relazione dinamica fra il copione, il regista, gli attori, la scena e il materiale scenico, in totale attitudine sperimentativa e attribuendo paritaria importanza ad ognuno di questi elementi. Sperimentando quindi sul proprio corpo, agendo in una zona liminale in cui tutti gli esperimenti esperenziali sono possibili (e anzi obbligatori), si attua una riflessione critica sull’individuale e sul sociale.

Esasperando il connubio arte-vita, nel teatro sperimentale di Grotowski, il teatro diventa luogo di incontro, con lo spettatore direttamente coinvolto nella storia, in un tentativo di riguadagnare l’equilibrio fra un’informazione prevaricante e un’azione sempre più difficile da esperire. Nel parateatro di Grotowski, "i partecipanti agli esperimenti abbandonano la città, lavorano in posti lontani e colà iniziano le performance, con o senza la supervisione dei collaboratori di Grotowski. Tali azioni variano a seconda dei partecipanti e dell’interesse del momento del Teatro Laboratorio, ma l’impegno implica sempre la scoperta e la rivelazione di temi personali nascosti, la ricerca di nuovi modi di comportamento, l’accettazione di un rapporto io-tu. Le azioni fisiche – come correre per i boschi di notte, le improvvise immersioni in acqua, le danze in circolo dove il fuoco è passato da danzatore a danzatore, gli inni, i canti e i racconti di storie – sono molto simili a quelle dei riti di iniziazione. […] Quando, dopo qualche giorno, i partecipanti tornano a casa, o dopo qualche settimana, asseriscono di non poter parlare dell’accaduto. Ciò non è dovuto ad alcun voto di segretezza, ma alla convinzione che le parole non renderebbero giustizia ad una simile esperienza. Un commento frequente è: ‘ha cambiato la mia vita’. Così, anche a livello di azioni, l’esperienza con Grotowski assomiglia ad un rito di iniziazione, in cui avviene una trasformazione di personalità, un cambiamento di status."

Attraverso determinate pratiche teatrali performative e mediante la messa in scena del nostro corpo, il connubio fra arte ed esperienza di vita si fa sempre più stretto.

Il corpo diviene una tela bianca in cui è possibile iscrivere nuovi segni e diventa strumento di riflessione critica. A proposito è doveroso citare il percorso teatrale di Antonin Artaud che fece della gestualità corporea un radicale strumento di introspezione e di espressione.

Gabriele Perretta commenta così il lavoro dell’ideatore del Teatro della Crudeltà:

"Ciò che fa ancora oggi di Artaud il vecchio e nuovo profeta dell’uso del corpo è che egli per tutta la vita non si è soffermato su di esso come strumento finalizzato, facendolo assurgere a estetica di per sé, ma cercando di raccogliere tutte le energie comprese quelle fisiche per parlarci di quell’oltre del corpo che è il linguaggio, il linguaggio razionale dei segni che noi convenzionalmente usiamo per arrivare agli altri. Antonin Artaud costituisce l’esempio più evidente per attraversare il limite radicale che dall’arte va alla vita e dalla vita ritorna all’arte. Su questo limite non è più possibile stabilire se sono più performatiche le ore, i giorni, gli anni di internamento trascorsi nei manicomi della Francia o le scritture sceniche che ci portano frammentariamente a quell’irresistibile teatro della crudeltà, ricco di carne, getti di sangue e di volontari balbettamenti contro la parola regnante."

In conclusione la performance, vista come messa in scena del nostro corpo, non può sfuggire alla riflessione e alla riflessività dando vita ad opere autocritiche. Secondo Turner, i generi performativi, possono essere considerati come modalità attive ed agenti della cultura espressiva, una sorta di specchi magici, che riflettono i drammi e le trasformazioni sociali, e nella loro frammentazione ne indagano i diversi aspetti e le molteplici sfaccettature, dando vita a forme diverse di riflessività critica. Come gli specchi magici non rappresentano in modo unidirezionale e verticistico la realtà, ma operano un’ibridazione creativa deformando le sue proprietà, così i generi performativi (arte, spettacolo, sport, gioco, teatro, ecc.) si fanno non-luoghi liminali di sperimentazione libera, in cui vengono rimodellate le forme socio-culturali legittimate.

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