Appunti sul rapporto tra

identità, improvvisazione

e reti telematiche

 

di Tommaso Tozzi

 

Identità = stile

Anonimità = improvvisazione

 

Un’opera astratta lascia aperta la figura all’improvvisazione.

L’assenza di un finale o di una storia permette di comprendere meglio il frammento.

La ripetizione di un modulo può avvenire in infiniti modi diversi.

 

Improvvisazione = casualità o ricerca?

Lasciarsi andare.

L’improvvisazione la si trova per strada.

 

Nella lentezza di un film, di una conferenza, di un ambiente...

...nella lenta crescita di una pianta si trova lo stimolo che produce concentrazione e l’improvvisazione della mente.

Il contesto dell’improvvisazione: costruire un contesto neutro.

Quadrato nero su contesto bianco.

Qualcosa al cui interno non si abbia la necessità di sentirsi parte di un’identità specifica, ma al cui interno si abbia la massima libertà di costruirsi (e lasciare tracce di) identità multiple.

 

Autodifesa.

Attitudine alla separazione dal contesto e alla lateralità.

Sprofondare nel contesto estraniandosene.

Trance concettuale.

 

 

Internet è terra fresca che attende la semina.

Il rapporto tra un individuo e lo sviluppo della sua semina.

Fare un figlio, piantare un albero, scrivere un libro; creare un rapporto in cui si può fare delle previsioni ma di cui non si è certi dell’andamento e dello sviluppo.

Il rapporto quotidiano per cui è necessario alimentare il frutto della propria semina e da esso ricevere degli input sulla base dei quali verrà realizzata l’azione successiva.

Analogamente il processo messo in atto durante l’evento dell’improvvisazione.

 

Alle piante non viene dato un nome.

Evidentemente il rapporto che si stabilisce con una pianta è differente da quello con un animale o essere umano.

Le nuvole non hanno un nome.

I sassi non hanno un nome.

Il terriccio non ha un nome.

Le pozzanghere non hanno un nome.

 

Assegnare un nome alle cose, costruirvi intorno una mitologia, formalizza la conoscenza, la trasmette impedendone la mutazione.

Assegnare un’identità alle cose naturali significa "appropriarsi" di qualcosa che non si comprende, ma di cui si finge il dominio.

Assegnare un nome significa decidere il contesto all’interno del quale si stabilirà il rapporto con l’entità nominata.

Normalmente viene assegnato un nome a ciò cui si vuole richiedere il rispetto (o integrare all’interno) di determinate regole.

Assegnare un’identità a un sistema che contenga la vita e su di essa orientarne lo sviluppo significa imporgli delle regole di cui poi è necessario rendersi responsabili.

Interrompere un rapporto significa assumersi la responsabilità dell’eventuale morte del proprio interlocutore.

La precarietà di un sistema di vita identificato in delle regole è la conseguenza drammatica di un’eventuale interruzione del rapporto da parte di colui che ha determinato la nominazione.

Improvvisare implica la possibilità di interrompere l’alimentazione del rapporto.

Se il rapporto si fonda su un’identità di regole che rendono una parte subalterna e dipendente dall’altra l’interruzione può provocarne la morte.

Uno sviluppo e una crescita "libera" da regole di identità consente un’indipendenza tra le entità in rapporto per cui è possibile "improvvisare" stili che non causano la morte dell’altro.

E’ necessario creare un contesto che permetta a ogni entità di "autoalimentarsi" senza dover ricorrere all’aiuto di un interlocutore.

Le reti devono essere terra fertile dove seminare e in cui il vento, la pioggia, il sole, ..., non siano divinità artificiali costruite e alimentate da una casta al potere, ma eventi naturali la cui presenza è costante e indipendente dalla volontà del singolo, dunque la risultante del tutto.

Deve essere possibile per chiunque "riprogrammarsi" i propri codici di sopravvivenza all’interno del sistema "rete" per garantirsi di potersi auto-adattare a un’eventuale deperimento delle condizioni che alimentano la sua presenza nel sistema.

Le interfacce devono essere "educabili" secondo criteri soggettivi ed essere in grado di influire nell’andamento del sistema per condizionarne lo sviluppo verso le singole necessità. Il peso di ogni singola interfaccia deve essere equilibrato rispetto alle altre.

La politica, l’economia, tra le altre, sono strategie possibili per condizionare i rapporti. Creare monopoli, imporre "condizioni" di sopravvivenza. Ci considerano alla stregua di vasi in terrazza e si permettono di andare in vacanza lasciandoci senza acqua.

Al privilegio di vivere in una serra si contrappone l’assenza del giardiniere.

Dobbiamo crescere in una terra vasta e libera.

Essere liberi di auto-determinarsi le proprie zolle.

 

 

Di seguito alcuni ostacoli alla possibilità di "improvvisare" all’interno di una rete:

 

Nel villaggio globale essere narratori del "proprio" sapere per poter "interpretrare" se stessi e il mondo ogni volta in un modo nuovo.

La rete può essere il contenitore di opere aperte realizzate collettivamente.

L’universo del cyberspazio ruota secondo schemi pregalileiani intorno agli interessi del capitalismo. Dovremo indossare un canocchiale virtuale per scoprire che esistono tanti altri mondi con cui dobbiamo dialogare e confrontarsi se vogliamo crescere e progredire.

Quei mondi che siamo ognuno di noi.

Creare interfacce libere della comunicazione.

L’opera va intesa essere all’interno di una strategia globale.

L’improvvisazione è libera.

 

La rete è un organismo vivente: nelle interfacce risulta assente la vita, tutto ciò che potrebbe avere uno sviluppo spontaneo e indipendente.

Alla biblioteca virtuale, museo virtuale, riviste e libri elettronici, alle autostrade informatiche, vanno aggiunte le strade provinciali, le piazze, il mercato del libero scambio, le fanzine elettroniche, il corteo, le assemblee, la musica di piazza, l’auto-stop, lo scarabocchio, il graffito, le parole e le frasi della e "tra" la gente comune.

La rete è un organismo vivente, poiché esseri viventi sono coloro che la usano e la realizzano. Per quanto le interfacce saranno statiche e inanimate gli individui riusciranno a imporgli un grado di improvvisazione e di libertà.

Hakim Bey propone le TAZ come zone dove realizzare pratiche libere e capaci di mutare, scomparire e riapparire in altre forme e luoghi nel momento in cui si tenti di neutralizzarle.

Giuseppe Chiari in un suo testo del 1966 spiega che se ti legano le mani puoi fare un pezzo con le dita, se ti immobilizzano completamente il corpo puoi fare un pezzo con i pensieri della mente, se ti impediscono di pensare puoi fare un pezzo cercando di creare una successione di battiti delle palpebre...

...ogni TAZ precedente sarà il DNA da cui si svilupperà l’improvvisazione della prossima.

Non smetteremo di suonare.