Prove tecniche per l’abolizione

dello stato di cose presente

per l’antagonismo possibile

Seminario Autogestito ‘il Cielo’, Milano

 

1. La crisi che in questi anni ha attraversato il movimento antagonista, non può essere risolta con gli strumenti classici e sperimentati ereditati della tradizione, come quello della rifondazione organizzativa pura e semplice, o come altre analoghe soluzioni che pure oggi vengono avanzate. Il problema del venir meno di una prospettiva più o meno generale che possa servire da sostrato reale e non meramente episodico di un’azione comune, non coinvolge soltanto noi, e neppure può essere ridotto a mera questione ‘congiunturale’: dobbiamo riconoscere il profondo mutamento in atto, cogliendo i nuovi caratteri del conflitto sociale e le potenzialità della nuova composizione di classe.

Un’organizzazione che abbia la pretesa di essere ‘realmente’ antagonista e ‘rivoluzionaria’, non può accontentarsi di restare sulle posizioni più o meno consolidate che riceve in eredità da cicli di lotta precedenti, ma deve provare la propria forza nell’individuazione di terreni di scontro in cui la soggettività antagonista presenta maggiori potenzialità, anticipando offensivamente le mosse dell’avversario.

E’ necessario individuare in primo luogo i caratteri della composizione e, in secondo luogo, le modalità ed il terreno dell’insorgenza dell’antagonismo.

2. Oggi realmente la ‘polis’ è distrutta, e questo è il vero mutamento epocale che sconvolge i nostri parametri teorici e pratici di analisi della realtà. La possibilità di intendere l’"agire politico" nelle forme consuete, consacrate da una più che secolare tradizione, è definitivamente crollata insieme al metafisico teatrino del Politico moderno. La Società Civile è un ricordo tenue, vivo solo nel racconto necrofilo della sinistra istituzionale.

La nuova soggettività di massa, rimane ancora per noi un’incognita, ma un carattere indiscutibile che essa presenta ovunque è la radicale ‘disaffezione’ ai luoghi istituzionali della rappresentanza degli interessi, dal partito al sindacato, ecc. Si può naturalmente discutere sulla legittimità teorica dell’ "Esodo", quale ci è stato proposto da qualcuno in questi anni; indiscutibile è però la realtà di quell’esodo di massa dai ‘luoghi del potere’, che ha costituito il dato forse più significativo di questi anni, indicando così una linea di tendenza probabilmente molto duratura.

Questa è la nuova realtà e ciò non significa evidentemente che in essa non si diano possibilità radicalmente opposte.

Significa solo che questo è il nuovo contesto in cui si svolge il conflitto e che con esso dobbiamo confrontarci.

3. La ‘nuova soggettività’, oltre alla propria "impoliticità" (questa categoria può esserci utile solo come prima approssimazione ‘sociologica’, non certo come strumento unico nella fenomenologia del bisogno proletario), porta con sé gli esiti, per così dire cristallizzati nella propria composizione di classe, della lotta contro il lavoro. Ciò evidentemente non nel senso che oggi il rifiuto del lavoro sia oggi un elemento di rivendicazione sviluppato a livello di massa, ma nel senso ben diverso che la soggettività de massa, come combinato disposto di lotte operaie e ristrutturazione capitalistica, si muove e si sviluppa ormai al di fuori del rapporto di lavoro. Ciò non significa che il Dominio non esista più, che il Lavoro sia una dimensione residuale della nostra quotidianità e che la sua ‘assenza’ non venga ad essere un agente drammatico di distruzione della convivenza sociale. Significa soltanto che le lotte operaie e proletarie degli anni Sessanta e Settanta, con la loro carica antistatuale ed antilavorista, hanno determinato una ristrutturazione globale che, tenendo conto di quella realtà, ricostruiva i margini di efficacia del proprio dominio su un livello più elevato.

La socializzazione di quote crescenti di persone avviene ora completamente al di fuori della dimensione lavorativa. La società del lavoro vive realmente una crisi epocale, insieme alle istituzioni con essa consolidatesi; ciò è insieme risultato e causa di una reale ‘mutazione antropologica’ che, con sommo scorno dei profeti di sventura di uno pseudo-umanesimo di provincia, contiene inevitabilmente potenzialità straordinarie, oltre che pericoli ovvi.

Il primo passo è la presa d’atto del mutamento.

4. Come detto, la crisi della Società del Lavoro non viene a segnare la fine della centralità del salario come strumento di controllo sociale, né significa che il capitale venga ad essere un ‘fantasma’ vivo per qualche misterioso fenomeno della storia. Il controllo sociale non può ora svolgersi primariamente nelle articolazioni classiche della Società Civile, ormai abbandonate, ma deve rincorrere la soggettività di massa sul suo stesso terreno, travalicando gli ambiti classici della Politica.

Proprio per questo carattere ‘inedito’ delle dimensioni del conflitto, non riusciamo a comprendere correttamente le modalità nuove dello scontro di classe, attribuendo rilevanza spesso eccessiva a ciò che invece è solo fenomeno di contorno. Oggi tutte le varie dinamiche ‘parlamentari’ non sono minimamente rilevanti, non tanto perché ‘ogni partito è uguale all’altro’ (come d’altronde è), ma perché il meccanismo del dominio corre attraverso altri canali: lo Stato-Nazione e le immagini della Sovranità su di esso costruite non hanno più nulla a che veder con le dinamiche della Politica, dello scontro di classe, dell’insorgenza antagonista e del suo controllo. La Politica non la si trova più nel grazioso teatrino edificato dal pensiero politico moderno, e ciò non come risultato di qualche ‘degenerazione morale’, ma come esito della realtà della potenzialità antagonista.

5. Si può discutere della più o meno ampia capacità descrittiva del concetto di "sussunzione reale", certo è che esso rimane uno dei validi tentativi di spiegare la realtà odierna del conflitto di classe; il dato realmente significativo, che sfugge alla ‘scienza economica’, per una propria oggettiva impossibilità’, è il conchiudersi sempre più stretto del circolo produzione-distribuzione-scambio-consumo, materializzato nella contrazione temporale della fase della circolazione. Ciò significa necessariamente che i momenti della produzione e della riproduzione vengono sempre più a rovesciarsi l’uno nell’altro, ed in questo senso la fabbrica-sociale da astrazione ed immagine teorica diventa descrizione perfetta della nostra realtà, in cui, veramente, il rapporto sociale diventa ‘rapporto di produzione’.

La sempre maggiore rilevanza della riproduzione per la dinamica di valorizzazione, si traduce nell’esigenza capitalistica di introdurre nuovi meccanismi di controllo della forza-lavoro deterritorializzata. Questi meccanismi non sono più quelli propri della disciplina di fabbrica, né quelli delle istituzioni tradizionali della Società Civile. Essi agiscono al di là del luogo fisico del lavoro e del territorio, inseguendo gli individui nel corso della loro esistenza.

Perciò le formule organizzative che ancora tentino di far presa in questi ambiti, rimangono spiazzate, prima ancora che dall’azione del dominio, dalla stessa qualità della soggettività di massa.

6. L’imperativo teorico-pratico principale è quello di superare la dimensione dell’"impolitico", non negando l’oggettiva realtà dei comportamenti, ma puntando sulla qualità del rifiuto che essi paiono sottintendere.

Pensare di restaurare la ‘polis’ è utopico e fuorviante. Pensare di svolgere una funzione di ‘opposizione’, un ruolo di ‘supplenza’ di una sinistra ‘degenerata’, è un errore sostanziale, perché così si continua ad impostare la questione trascurando la realtà e la qualità dei nuovi conflitti. La necessità è di porsi al nuovo livello, non perché qui sia automatica la ripresa delle lotte, ma perché questo è il terreno che, nel bene e nel male, consci delle contraddizioni che si pongono, dobbiamo affrontare.

Solo qui si può porre seriamente il problema dell’organizzazione. Solo al livello della soggettività di massa deterritorializzata (e non semplicemente ‘dispersa’).

7. Il problema dell’organizzazione non è ovviamente risolvibile per via teorica. Individuata l’esigenza del superamento dello scadenzismo e di tentazioni ‘sindacali’, non si può fare altro che chiarire ciò che l’organizzazione non può essere: essa non può proporsi, neppure implicitamente, come ‘sintesi’ ricomprendente al proprio interno la finalità ‘ultima’ del movimento. Essa, ancora una volta, non può essere altro che ‘tattica’, altro che materiale organo di comunicazione della lotte. Essa trova il suo unico punto di forza nella ‘composizione di classe’, nella rispondenza ‘soggettiva’ dell’azione organizzativa alla soggettività di massa.

Inutile sarebbe dilungarsi ulteriormente su ciò che non esiste, perché alla convinzione della possibilità di superare la dimensione organizzativa fino ad oggi consolidatasi, più o meno stabilmente, lungo i tortuosi ed oscuri sentieri degli anni Ottanta, si può rispondere soltanto con l’attività materiale dei prossimi anni.

8. Pensiamo che questi dati, seppure in parte ancora discutibili ed approssimativi, rappresentino comunque un punto di partenza imprescindibile, contro il quale cozzano in modo miserabile le varie tentazioni ‘organizzativistiche’ che pare oggi vengano formulate (con accenti peraltro talvolta sgradevoli) da una parte del ceto politico residuo del passato ciclo di lotte.

Condividendo però l’esigenza della ripresa del dibattito e dell’iniziativa politica, consideriamo essenziale proseguire un reale scambio di informazioni ed esperienze, e proponiamo a tal fine la formazione di reti seminariali permanenti in grado di socializzare nel modo più ampio possibile la produzione di sapere antagonista.