INTERVISTA AI TECNOGOD

a cura della Redazione Musicale

di RadioSherwood

 

D. Ultimamente avete fatto una tournee con i Meat Beat, e con i Consolidated. Come avete vissuto questa esperienza?

R. Abbiamo fatto quasi due terzi della tourne’e europea con i Consolidated; e’ stata una buona esperienza sotto tutti i punti di vista, sia umano che di lavoro. Il gruppo spalla di solito e’ un lavoro ingrato. Bisogna "scaldare il pubblico", e noi lo abbiamo fatto molto bene, tanto che alla fine del concerto ci chiedevano anche il bis. Abbiamo avuto la fortuna di suonare con un gruppo come i Consolidated che ci davano il rispetto dovuto come gruppo, come persone, ci facevano suonare addirittura per 45 minuti, il che e’ anormale per il gruppo spalla e abbiamo fatto delle jam. Abbiamo fatto la tourne’e francese con i Meat Beat ed anche quella e’ andata abbastanza bene. C’era meno pubblico, anche perche’ non cantavamo in francese e un po’ perche’ in Francia c’e’ una situazione analoga a quella italiana: il mercato francese e’ invaso dal rap e raggamuffin in francese. Cio’ non e’ male ma rischia di diventare una specie di cortile nel quale ci si crogiola avendo una scena locale pulsante e vivace, dove pero’ quello che esce da questi canoni non riceve alcun tipo di attenzioni. Con i Consolidated siamo stati in Germania, Olanda Inghilterra e Scozia.

D. Per voi che significato ha la tendenza di usare la tecnologia sul palco?

R.-Facendo un paragone semplice per tutte le casalinghe in ascolto usare tecno logia nella musica e’ un po’ come usare l’aspirapolvere: va usato quando c’e’ un problema grosso di sporcizia perdurante ma se cade la briciola di pane si fa molto prima con la scopa e la paletta. Ovvero e’ assurdo strausare tecnologia e farne un discorso ideologico o meglio non fa parte del nostro atteggiamento nei confronti della vita. Il nostro uso della tecnologia e’ abbastanza giocoso, non ci facciamo usare mai dalla tecnologia, cerchiamo sempre di mantenere una certa distanza fra noi e la macchina. Non ne parliamo troppo anche quando siamo tra di noi, non diventiamo computer-campionatore-dipendenti e poi chi di tecnologia ne mastica nel gruppo siamo in due. Noi abbiamo usato dalle chitarre acustiche a strumenti vari, magari passati attraverso le macchine, ma non facciamo una bandiera dell’essere un gruppo tecnologico. Anzi soprattutto dal vivo cerchiamo di esserlo il meno possibile, cerchiamo di fare violenza su noi stessi e sulle macchine che abbiamo davanti come fossero bidoni da battere. Rispetto a come sta cambiando la musica attualmente penso che lo strauso delle macchine rischia di impoverirla, perche’ non c’e’ il batterista o il bassista, tutto e’ campionato, come accade nell’hip hop.

D. Voi che scelta avete fatto per quanto riguarda la produzione e la distribu zione del vostro materiale?

R.-Per come la penso io, fondamentalmente bisogna fare una certa distinzione perche’ c’e’ un po’ di confusione. Ci sono le etichette indipendenti, ci sono le multinazionali e ci sono le autoproduzioni. Un’etichetta indipendente e’ fonda mentalmente una etichetta discografica che fa solamente dischi. Una multinazio nale e’ un’etichetta discografica che oltre a fare i dischi, fa gli apparecchi con cui tu ascolti i dischi, le penne BIC, le automobili etc.. Un’etichetta indipendente fa solamente dischi, ma non e’ che abbia questa grande differenza gestionale a parte il potere economico e sui media. Diciamo che all’interno di un’etichetta indipendente puoi avere a che fare con persone piu’ o meno simpatiche e sveglie. Un’etichetta indipendente, dato che non ha soldi, deve avere le orecchie sveglie e capire quali sono i nuovi gruppi promettenti. Io grandi distinzioni tra queste due situazioni non le faccio, credo sia molto importante il rapporto che tu hai con le persone all’interno di queste etichette. Ovviamente avere a che fare con un colosso come la EMI e’ spersona lizzante perche’ non sai mai con chi parli, non sai con chi hai a che fare. Nell’etichetta che usiamo, la Contempo, noi abbiamo dei rapporti con alcune persone che conosciamo e con cui riusciamo a dialogare. Questo e’ stato uno dei motivi per firmare il contratto. Noi abbiamo avuto un rapporto personale con la persona che fa le scelte artistiche per Contempo che ci ha proposto il contratto ancor prima, quando facevamo i dischi per un’etichetta inglese di nome Nation, un’etichetta ultraindipendente che produce dischi di gruppi pakistani rap, fa parte di organizzazioni antinaziste etc.. Dopodiche’ il nostro disco e’ stato distribuito dalla Emi perche’ la Contempo ha firmato un accordo di distribuzione con la EMI, che si occupa di portare i dischi della CONTEMPO nei negozi con il servizio novita’. Il problema fonda- mentale delle etichette indipendenti e’ quello di raggiungere nel territorio il proprio pubblico. Spesso e volentieri tu leggi e senti parlare di gruppi e quando cerchi il disco non lo trovi. Ci sono gruppi che vendono 1000 dischi ma ai concerti ci vanno 3000 persone, questo per un problema di reperibilita’. Il rapporto con una major ti permette la reperibilita’ sul territorio. La major si fa pagare anche parecchio in percentuale sui dischi. Noi con la EMI non abbiamo nessun rapporto, abbiamo parlato una volta sola con una ragazza che ci ha consegnato dei nostri dischi in un magazzino perso nella campagna intorno a Milano. Un altro discorso e’ quello delle autoproduzioni. Un discorso che tutti noi abbiamo affrontato con i gruppi precedenti, quando ancora in Italia la situazione era pioneristica e non si sapeva neanche dove stampare dischi. Non ci siamo mai posti il problema di arrivare all’autoproduzione con questo gruppo, fondamentalmente perche’ non abbiamo il tempo per seguire la prassi e il lavoro che c’e’ dietro ad una seria autoproduzione. Fare una autoproduzione per fare 1000 dischi che poi non riesci a distribuire, te li tieni in camera da letto sinceramente non mi interessa, lo ho gia’ fatto. C’e’ un circuito di distribuzione che attraverso i Centri Sociali, radio come questa si e’ attivato ma bisogna lavorarci ancora duramente per farlo funzionare. Noi abbiamo cercato di non essere approssimativi, visto che suoniamo tutti i giorni e sinceramente il tempo e la forza per portare avanti anche questo discorso non ce lo abbiamo. Se avessimo attorno a noi un gruppo di amici che fossero capaci, avessero voglia di gestire questa cosa, lo faremmo molto volentieri. Cerchiamo di gestire tutto quello che riguarda il gruppo direttamente, come la scelta di vendere i nostri dischi ai concerti ad un prezzo molto piu’ basso. La situazione italiana e’ diversa dalle altre europee. Per esempio il fenomeno dell’house in Inghilterra e’ stato quasi un fenomeno indipendente, di "autopro duzioni", distribuzione capillare che ha scardinato quella che era la logica di potere delle grosse case discografiche in un modo banalissimo e semplicissimo, ma anche questo poi e’ stato assorbito dalle majors.

D.Visto che avete girato per l’Europa cone funziona il mercato discografico, anche quello autoprodotto?

R.-La musica house e techno e’ solo indipendente dal punto di vista che te la puoi fare in casa, ma capiamoci questo genere di musica ha portato soldi a una serie di etichette che ora sono diventate quasi delle major. Per quanto riguarda l’Italia, c’e’ un problema generale: o fai un disco rap o non riesci a farlo. Se fai altri generi non riesci a vendere. Gli Assalti Frontali o gruppi simili, per esempio, vendono anche perche’ se ne e’ parlato tanto sulla stampa nazionale e hanno un loro circuito. Se gli Assalti facevano punk-folk non avrebbero venduto tutti questi dischi. Questo per far capire il limite oggi delle autoproduzioni. Si tratta infatti di una scelta di vita, perche’ se vuoi mangiare e vivere e fai le autoproduzioni allora fai il panettiere perche’ non e’ che ci guadagni. Se abbiamo firmato con la CONTEMPO era perche’ ci eravamo posti in un dato modo. Per esempio fare il tour con Consolitated ci e’ costato 9 milioni, a noi andava bene cosi’, era una tournee autoprodotta... la stessa cosa con i Meat Beat, anche li’ prendevamo duecentomilalire a sera .. Se tu vai a fare questi giri e’ perche’ sai che e’ una questione promozionale, per farti conoscere. L’autoproduzione diventa quasi un lusso che non ti puoi permettere. Per cui il discorso delle autoproduzioni per esempio in Inghilterra funziona perche’ gli studi di registrazione costano niente, non devi pagare la SIAE etc.. alla fine con poco te la cavi.

D. Tu escludi che si possa fare un discorso di autoproduzione e anche vivere?

R.-Il problema che ti si presenta se dalle autoproduzioni vuoi economicamente vivere e’ quello che ti trovi davanti drammaticamente a una azienda. Per cui e’ difficile parlare di autoproduzioni contro il "mercato" alla fine ti stai creando un mercato, un azienda, un fatturato, che tu lo sia o no legalmente. Gli esempi finora hanno dimostrato che appena uno ha dei riscontri si vende al migliore offerente: dalla Crems negli anni settanta all’Italian Record, la stessa IRA era un etichetta indipendente e’ adesso sono diventati i LITFIBA, un azienda che sta dietro ai Litfiba etc.. . Questo e’ un problema generalizza to. Indipendente non significa antagonista ma il piu’ delle volte solo gestione familiare ne’ piu’ ne’ meno, non significa in maniera automatica niente di politicamente o commercialmente scomodo. Io non voglio entrare in polemica, ma in Italia c’e’ tutta una genia di "intellettuali di sinistra" che si e’ buttata sul fenomeno dell’hip hop per esempio. Io ho stima degli Assalti, degli AK47, dei Sound System ma giustamen te condivido anche quello che dicono i Mau Mau, legati tra l’altro alla EMI, che sottolineavano come e’ incredibile che per esempio in trasmissioni come Avanzi passi solo il rap. E’ assurdo e significa ignorare l’attuale scena musicale italiana.