INTRODUZIONE
O DEL PERCHÈ L'ABBIAMO FATTO.

 

"La nostra lotta è anche una lotta per la memoria contro l'oblio...una politicizzazione della memoria che distingue la nostalgia, che vorrebbe che qualcosa fosse come era, un tipo di atto senza utilità, da quel ricordare che serve ad illuminare e trasformare il presente" (bell hooks, Yearning: race, gender and cultural politics, Turnaround, London, 1991)

 

VENT'ANNI DOPO. Prendere la parola

Il Circolo del proletariato giovanile Cangaçeiros, occupato a S.Rita, Torino, il 19 marzo 1977, faceva parte del movimento del 1977.

Ci siamo ritrovati dopo vent'anni: ex appartenenti a quel circolo infastiditi dai paginoni apparsi quest'anno sui quotidiani mai capaci di descrivere la nostra presenza politica di allora, e colpiti dal fatto che l'edificio che avevamo occupato nel 1977 in corso Orbassano a Torino, sede dei vigili urbani per molti anni, ora è ancora una volta vuoto ed inutilizzato.

In quel movimento molti di noi hanno definito una parte della propria identità, hanno imparato a mettere in discussione e praticare modi di stare insieme, di socializzare e di fare politica.

Ci siamo riuniti in una cinquantina, scontando il limite di riuscire a coinvolgere solo le persone che in questi 20 anni sono sempre rimaste in rapporto e quelle rintracciabili con il tam tam: una netta minoranza, dobbiamo dirlo, rispetto ai frequentatori del circolo Cangaçeiros.

Abbiamo deciso di prendere la parola, di ribadire il valore di quella esperienza e di affermare noi, nei nostri modi, quello che eravamo allora, quello che avremmo voluto fare e ci è stato impedito dallo scontro con i limiti nostri e con il contesto, stato e lotta armata. L'obiettivo non è affermare "quanto eravamo buoni" e lontani dall'immagine del covo dei terroristi con cui è stata motivata la chiusura del circolo Cangaçeiros nel novembre 77, in concomitanza con quella di via dei Volsci, storica sede dell'autonomia romana. I propositi di chi vuole sconvolgere i rapporti di potere fra le classi e fra i generi, di chi vuole modificare l'organizzazione della società nella fabbrica e nella famiglia, nel lavoro e nel quotidiano, nel tempo libero e nella produzione di cultura è di fatto antagonista al potere costituito, anche quando non usa la violenza e soprattutto quando agisce come movimento in grado di unire componenti e culture estremamente diverse, che fino ad allora non erano state in grado di lavorare insieme. La radicalità del movimento del 1977 era insita nei suoi propositi e nella sua capacità di aggregazione e non nell'uso della violenza.

Politici e creativi, femministe ed operaisti uniti, anche se in un labile equilibrio, per modificare da subito parti delle loro vite, per sperimentare, per quanto possibile, la costruzione di una società alternativa; con l'obiettivo di non affidarsi solo all'orizzonte lontano della rivoluzione ma di realizzare da subito modi di vivere che rispondessero ai nostri bisogni.

Abbiamo discusso durante sei riunioni tenute fra febbraio e marzo, di organizzare una manifestazione in occasione della ricorrenza della occupazione del circolo avvenuta il 19 marzo 1977, per affermare la nostra presenza, malgrado il tempo trascorso, e un nostro punto di vista. Da subito ci siamo accorti che oggi, come allora, non c'era un solo punto di vista. Non siamo riusciti neppure ad accordarci su cosa volevamo esprimere con questa iniziativa: chi voleva ricostruire un luogo di aggregazione per tre giorni o a tempo indeterminato, chi fare una festa di reduci ed amici, chi ridiscutere di politica insieme e capire come le nostre parole d'ordine sul lavoro ed il personale si fossero confrontate con i profondi cambiamenti nella produzione avvenuti alla fine anni 70 e che senso assumono nel contesto odierno. Il percorso delle discussioni è oscillato fra: la costruzione di senso e l'attualizzazione del passato attraverso un dibattito collettivo; l'affermazione dei bisogni odierni di luoghi di incontro nostri, in cui essere di nuovo protagonisti e non solo osservatori; la voglia di far parlare ancora di noi riproponendo il nostro modo di fare politica, ironico, irridente e socializzante.

Alla fine ci siamo limitati ad appendere sulla ex villa occupata, un enorme striscione con scritto sopra "Cangaçeiros", senza saperci accordare su come descrivere chi eravamo e che senso aveva essere li. Nè un volantino, nè un comunicato stampa, nè una festa fra amici.

DISCUTERE ANCORA.

Abbiamo deciso di continuare a trovarci per organizzare le numerose iniziative proposte durante le riunioni tenutesi fino al 19 marzo: una nostra ricostruzione storica sul circolo; una discussione politica sul senso attuale dei temi posti allora dal movimento; un libro fotografico; una pubblicazione con interviste e riflessioni; una mostra di foto, libri e volantini; un incontro con altre componenti del movimento del 77 a Torino; un convegno-festa immaginato con una certa ironia come il "Primo festival del circolo del proletariato giovanile cangaçeiros".

Abbiamo deciso di

niziare dalla ricostruzione storica e di registrare le riunioni che avremmo fatto in modo che potessero diventare un patrimonio di memoria del movimento. Oltre alle discussioni abbiamo preparato un questionario al quale abbiamo risposto in diciotto.

Però alcuni degli ex canga sebbene contattati non si sono dimostrati interessati a partecipare agli incontri e altri dopo una volta non si sono più visti: infastiditi dall'incapacità di sciogliere i nodi e i conflitti già brucianti allora e dall'idea di intrigarsi in rapporti e dinamiche di gruppo, scontenti di scontrarsi con ruoli del passato che qualcuno tenta di riproporre e con l'incapacità di confrontarsi collettivamente con le nostre soggettività di oggi, cambiate ovviamente rispetto a quelle di ben venti anni fa.

Così solo una parte della cinquantina di persone che si sono ritrovate alle prime riunioni per discutere una iniziativa in occasione della ricorrenza dell'occupazione, ha avuto voglia di partecipare alla ricostruzione che abbiamo elaborato durante sette riunioni a cui hanno partecipato dalle quindici alle venti persone e che insieme alle risposte ai questionari ha dato origine a questa pubblicazione.

E poi le finalità della ricostruzione e i metodi da seguire per realizzarla non erano gli stessi per tutti. Per alcuni la ricostruzione e comprensione storica era importante per la crescita individuale e valida in sè stessa; per altri doveva anche essere trasmessa all'esterno e assumere il significato politico di contrastare la lettura dominante sulle vicende di allora completando per lo meno il quadro con il nostro punto di vista; qualcuno aveva anche voglia di discutere di nuovo di politica insieme e di valutare il senso che le proposte di allora ricoprono oggi, facendo dialogare il passato ed il presente. Per altri la sola discussione, non è interessante e non basta perchè "sono solo chiacchiere", nella convinzione che è sul fare che si cresce.

 

Le sette riunioni:

Molti hanno parlato di cosa sono diventati oggi e di come il circolo ha influito sulle loro scelte successive. Abbiamo verificato delle similitudini fra noi che sembrano proprio derivare da quella comune esperienza: l'aver cercato un rifugio, un anfratto, che ci consentisse di esprimere e di conservare la nostra alterità rispetto all'organizzazione sociale, nell'ambiente ostile degli anni '80 e dell'imperante pensiero unico di destra; il tentativo di comportarci in modo coerente con le nostre convinzioni in tutti i contesti in cui ci siano trovati ad agire, che ha indotto alcuni di noi a fare lavoro sociale, o con significato politico, e che non ci ha fatto fare carriera nei partiti. Abbiamo conservato una identità antagonista rispetto all'esistente che non trova però espressione sul terreno politico.

Non tutti sono soddisfatti di come le discussioni si sono sviluppate. Nel dibattito è mancato l'approfondimento di alcuni temi, perchè scontiamo i limiti della nostra capacità e penetrazione analitica. E poi la nostra è stata una rilettura parziale, di quelli che vedono in quella esperienza del circolo qualcosa di caldo e importante.

Ma altri confronti sono possibili ed organizzabili. Questo è solo un contributo alla discussione e alla memoria.

COME FARLO

Per trasmettere il nostro punto di vista piuttosto che ad un convegno abbiamo pensato a questo opuscolo-libro, in cui dare voce a tutti noi. A differenza di altre iniziative di quest'anno per ricordare il movimento del 77, noi non intervistiamo i leaders, ma diamo voce a tutti quanti ci è stato possibile raggiungere ed hanno dimostrato disponibilità. Per scrivere la nostra storia collettiva abbiamo deciso di usare la memoria di allora come una delle fonti; è una attualizzazione e meditazione collettiva che vuole avere anche un significato politico.

Ci sono tre gradi nell'esposizione:

 

L'esposizione della seconda parte del libro che dà conto della nostra ricostruzione, è un collage di frasi tratte dalle sette riunioni e dai diciotto questionari, un canto corale, di movimento, dove le distinzioni fra chi ha detto cosa non contano, non perchè non ci siano differenze e responsabilità per quello che si dice individualmente, ma perchè nella discussione la produzione del pensiero è collettiva, e quello che io dico, che io imparo dipende da quello che dicono ed esprimono gli altri. Il movimento è più della somma dei singoli partecipanti, è una intelligenza collettiva. Per questo abbiamo deciso di non indicare i nomi sotto gli interventi.

Nella seconda parte del libro c'è un intreccio fra rilettura del passato, idee di oggi, reale storia: è un rimeditare il passato, attualizzarlo, trarne insegnamenti. Non individualmente come è stato fatto fino ad ora, ma collettivamente.

Diverso sarebbe stato uno studio storico sul circolo in cui un professionista intervista i partecipanti in base ad una sua tesi e poi scrive ed interpreta i racconti. C'è bisogno di scrivere quella storia ma la nostra scelta è stata un'altra. È stato un tentativo di scrivere tutti insieme la nostra storia, il significato di questo lavoro non è solo storico ma politico. Il metodo che si sceglie contribuisce a definirne senso e direzione: il modo in cui è fatto questo opuscolo porta il segno di cosa siamo stati e siamo.

CHI RAPPRESENTA CHI E PER CHI

Un movimento è composto dalle vite di tutti quelli che ha coinvolto. Persone caratterizzate da differenti capacità di visibilità, che hanno dato forma e si sono riconosciute nei suoi obiettivi in modi differenziati per grado di intensità e di durata nel tempo, che sono cresciute al suo interno e hanno definito in esso una parte della loro identità.

Nella seconda parte del libro, quella sulla memoria, sono rappresentate le persone che abbiamo raggiunto e avevano voglia di discutere, certo una minoranza della minoranza, se si pensa a tutti quelli che hanno avuto il circolo come punto di riferimento. Chi non ha partecipato alla seconda parte del libro è presente comunque nei documenti del circolo e nella cronaca di movimento: nei volantini, nelle foto, nella peridiodizzazione, ci sono tutti i compagni di allora.

Questo opuscolo è un bacio sulla bocca, come usavamo fare fra tutti noi, ed un abbraccio per tutti quelli che hanno partecipato a quella comunanza durata poco ma così carica di radicalità politica, voglia di trasformare l'esistente imponendo il proprio punto di vista, rendendosi protagonisti, presenti come persone a tutto tondo con bisogni, affetti, amori, amicizie. Ma è dedicato anche a tutti quelli che hanno qualcosa in comune con la nostra esperienza del circolo e con quello che eravamo e siamo oggi.

Molte cose che abbiamo imparato allora ci hanno formati, hanno lasciato il segno. E insieme a molto altro, a volte difficile da definire e raccontare, non dimentichiamo:

"il nostro diritto alla SIESTA, alla tequila ed alle Tortillas, alle Pesetas e ad un lavoro stabile e sicuro e non schifoso" (dal volantino redatto in occasione dell'occupazione).

 

Marvi Maggio