CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Abbiamo elencato i punti
di contatto che si possono fissare, sulla scorta dei nostri atti, tra Licio
Gelli, la Loggia P2 e gli ambienti della destra eversiva: quelle fasce al margine,
o meglio al di fuori del sistema politico legale, raggruppate sotto una variegata
quantità di formule, la cui azione caratterizza la prima metà
degli anni Settanta, con iniziative di portata traumatica in ordine alle quali
dobbiamo purtroppo constatare come ben poche siano le certezze acquisite. I
processi che su questi eventi si sono celebrati, o non sono ancora conclusi,
pure a distanza di tempo, o hanno portato a sentenze che non consentono di arricchire
sostanzialmente il quadro conoscitivo di dati certi dai quali muovere. Il nostro
compito è quindi quello di portare al dibattito su questi fenomeni il
contributo delle nostre conoscenze specifiche, cercando il possibile collegamento
con quanto risulta noto, al fine di verificare la validità delle nostre
tesi.
La prima constatazione riguarda la coincidenza riscontrabile tra il periodo
politico così contraddistinto e la prima fase politica e organizzativa
della Loggia P2. Risalta alla nostra attenzione, con evidente parallelismo,
che il tono dei discorsi che si tengono nella loggia è in armonia, per
quanto ci viene dai documenti, con questo contesto politico esterno di propositi
ed azioni. Ancor più rilevante, ai nostri fini, è poi constatare,
che quando nella seconda metà degli anni settanta il pericolo dell'eversione
nera si avvia a scemare d'intensità, muta in parallelo il livello organizzativo
e la composizione personale della loggia, considerata sotto il profilo
qualitativo delle adesioni.
La loggia in doppio petto degli Ortolani e dei Calvi, caratteristica della seconda
fase, ben si accompagna da un lato con la sostanziale attenuazione del pericolo
nero e dall'altro con la fase politica che interviene in Italia dopo il 1976,
secondo la ricostruzione che proporremo nel capitolo seguente. Riportandoci
all'analisi della storia organizzativa della Loggia P2 ci è dato riscontrare
che quelle che abbiamo delineato come due fasi organizzative di spiccata caratterizzazione,
coincidono sostanzialmente con due periodi della vita nazionale da un punto
di vista politico sufficientemente individuati ed il cui discrimine si pone
a cavallo della metà degli anni Settanta: nel 1974 viene raggiunto infatti
l'apice della strategia della tensione, nel 1976 si registra il risultato elettorale
che inaugura le stagioni politiche della solidarietà nazionale. Ponendo
mente a queste coordinate di riferimento dobbiamo allora sottolineare che il
1974 è un anno fondamentale non solo nella vita del Paese, ma anche nella
vicenda organizzativa della Loggia Propaganda, poiché è questo
l'anno che si chiude con il voto della Gran Loggia di Napoli, nella quale viene
sancita la demolizione della Loggia P2. Il punto che in proposito deve sollecitare
l'attenzione dell'interprete è che tale deliberazione non segue ad alcuna
particolare attività nota all'interno della famiglia massonica; al contrario
la relazione annuale del Grande Oratore Ermenegildo Benedetti, appartenente
al gruppo dei cosiddetti "massoni democratici") svolta nel 1973, nel
corso della quale erano state pesantemente denunciate le deviazioni politiche
della Loggia P2, era praticamente caduta nel vuoto non provocando alcuna reazione
nella comunione giustinianea.
Non è dunque ad essa che dobbiamo riportarci per trovare la causa scatenante
delle decisioni assunte nella Gran Loggia di Napoli che interviene invece, non
preceduta direttamente da alcun evento interno, l'anno successivo, ovvero l'anno
che registra nel maggio la strage di Piazza della Loggia e nell'agosto la strage
dell'Italicus.
Quell'anno Licío Gelli aveva inviato ai suoi affiliati una lettera su
carta intestata "Centro Studi di Storia Contemporanea", nella quale,
secondo la ben nota tecnica gelliana più volte documentata, è
dato individuare, calato nelle abituali banalità, un messaggio politico
ben preciso, accompagnato da una affermazione che non può non destare
l'attenzione dell'osservatore: "Con il nostro buon senso, con la nostra
vocazione alla libertà, dobbiamo sperare che le opposte tendenze, tutte
per altro incluse nell'arco democratico-costituzionale, trovino finalmente un
terreno di intesa e di incontro al fine di dare l'avvio alla esecuzione e alla
programmazione di una azione intesa a conseguire una vera pace sociale, ad un
autentico atto di pacificazione politica".
"Non è allarmisticamente che si prevede una estate veramente calda,
direi scottante per una notevole quantità di problemi estremamente impegnativi".
Questa affermazione letta alla luce delle conoscenze in nostro possesso, ovvero
alla riscontrata specularità tra vicende politiche e fasi organizzative
della Loggia P2, al ricordato risveglio di interesse di apparati investigativi
nei confronti di Licio Gelli che cade proprio nel 19741, alla citata "demolizione"
votata dalla Gran Loggia di Napoli, viene ad acquisire un significato ben diverso
da quello di innocue lamentazioni sulle disfunzioni del sistema come a prima
vista potrebbe apparire. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un concordante quadro
di elementi conoscitivi che tutti si armonizzano tra loro in univoco senso:
quello di denunciare un legame tra quelle attività eversive e Licio Gelli,
poiché se una coincidenza è non solo possibile ma probabile, una
serie dì coincidenze, come quella denunciata, è piuttosto indicativa
di un rapporto di connessione e di causalità. Ed è di conforto
alla nostra ipotesi constatare che tale collegamento venne individuato o comunque
presentito sia all'interno che all'esterno della comunione massonica e che la
sua individuazione non fu poi senza conseguenze, poiché all'interno della
massoneria si avviò da quel momento quel processo di ristrutturazione
che valse a rendere definitivamente ancor più segreta la Loggia e ad
espellere dalla comunione i cosiddetti "massoni democratici".
Quanto agli ambienti esterni abbiamo ricordato il destino non favorevole nel
quale incorsero gli ufficiali della Guardia di Finanza che avevano lavorato
alle informative, ed abbiamo anche alzato un velo di dubbio sugli esiti della
carriera dell'ispettore Santillo che, adesso sappiamo, era responsabile agli
occhi di Gelli non solo delle tre note già commentate, ma dell'accanimento
con il quale aveva seguito la pista individuata, tramite l'ispettore De Francesco.
Notiamo che terza autorità costituita ad individuare un collegamento
Gelli-eversione nera, sarebbe stato il giudice Occorsio che comunque andò
incontro ad un tragico destino: una coincidenza questa, e non certo la prima
nella nostra storia, che riteniamo comunque doveroso, con piena autonomia di
giudizio,
sottolineare.
Quello che ci chiediamo allora è se Licio Gelli e la sua loggia siano
in tutto identificabili con situazioni che si ponevano decisamente al di fuori
del sistema democratico e comunque quale tipo di rapporto avessero stabilito
con tali realtà. Certo è che la connotazione nera di Gelli e della
sua loggia è quella consegnata all'iconografia ufficiale, per la quale
non si è mai mancato di insistere sui trascorsi fascisti e repubblichini
del Venerabile: questa almeno era l'immagine che di lui ampiamente pubblicizzava
la stampa durante quegli anni, prima che Gelli e la sua organizzazione provvedessero
a costituirsi quella radicale mimetizzazione che abbiamo studiato nel primo
capitolo.
Ma che questa non sia la vera o per lo meno l'unica chiave di lettura del fenomeno
ci viene offerto dall'osservare la trasformazione intervenuta nella seconda
fase della Loggia P2, che alla luce di un attento studio del fenomeno verrà
a dimostrarsi in realtà come una accorta operazione di adeguamento, all'insegna
della continuità, alla situazione politica mutata.
Vedremo infatti come Licio Gelli non abbia difficoltà a dismettere i
panni del fascista quando di essi non avverte più la necessità
in ragione del cambiamento dei tempi e del succeddersi delle fasi politiche.
Il Gelli che si muove all'insegna del piano di rinascita democratica e che in
quel contesto controlla il Corriere della Sera non interferendo con la
linea d'appoggio alla politica di solidarietà nazionale - è pur
sempre lo stesso Gelli che nel verbale di riunione di loggia del 1971 identificava
il nemico da battere in un'area di forze definite "clerico-comunismo".
In quella riunione nella quale era stata "messa al bando la filosofia",
si erano tenuti discorsi che, se per molti versi anticipano nel contenuto il
piano di rinascita democratica, peraltro si situano in un contesto politico
marcatamente diverso da quello nel quale il piano verrà a collocarsi.
Ma per comprendere allora se e quale interpretazione unitaria si possa dare
a questi dati è forse opportuno entrare, sia pure per un istante, nella
logica del sistema di potere gelliano e, "messa al bando la filosofia",
cercare di vedere i fatti e gli avvenimenti, al di là del loro primo
apparente significato.
A tal fine riprendiamo lo spunto relativo al golpe Borghese per notare come
il colpo di Stato al quale il principe nero tramava, non manca di presentare
alcuni aspetti di sorprendente anacronismo.
Vogliamo cioè fare riferimento a quel che di vagamente ottocentesco che
il piano nel suo insieme lascia trasparire nella sua ideazione, fondata come
è su un'analisi politica a dir poco approssimativa, come quando ignora
il peso che nel sistema hanno partiti e sindacati e trascura la loro capacità
di mobilitazione in tempo reale di vaste masse di cittadini. Pensare di fronteggiare
una situazione quale di certo sarebbe ipotizzabile in una simile deprecata evenienza
con un proclama letto alla radio, sembra a dir poco superficiale. Come altresì
si mostra superficiale il piano nei suoi risvolti attuativi, tra i quali gioca
un ruolo decisivo il famoso contrordine, sulla cui paternità sappiamo
quali dubbi esistano e quali possibili riferimenti ci conducano a Licio Gelli
o a persone a lui vicine. Questo contrordine rappresenta per noi molto più
che un banale disguido attuativo, quale sembra a prima vista, perché
in realtà si cela in esso la chiave di lettura politica di tutta l'operazione.
Una operazione che nella mente di chi stava dietro le quinte mirava più
all'effetto politico che il golpe tentato poteva provocare in termini di reazione
presso l'opinione pubblica e la classe politica, che non al reale conseguimento
di una conquista del potere, che il piano poteva garantire solo ai pochi e non
molto provveduti congiurati che si esposero in prima persona. Per contro, quando
si pensi al giustificato clamore che l'evento suscitò all'epoca - e che
solo adesso, nella prospettiva storica, è possibile ridimensionare -
non sembra un forzare l'interpretazione affermare che il colpo di Stato tentato
e non consumato, esperì comunque i suoi sperati effetti politici alternativi:
in altri termini se il piano operativamente fallì, politicamente per
qualcuno fu un successo perché pose sul tappeto come possibile realtà
l'ipotesi che in Italia esistevano forze ed ambienti pronti ad un simile passo.
Ponendoci allora ad un livello di analisi meno approssimativo, non possiamo
non rilevare che la consistenza concreta, in termini politici, del golpe Borghese
appare di poco maggiore, secondo una evidente analogia, di quella del governo
sostenuto dai militari e presieduto da Carmelo Spagnuolo, del quale si discusse
nella riunione a Villa Wanda del 1973.
Le considerazioni sulle quali ci siamo dilungati ci pongono il problema se dai
rilievi proposti emergano elementi tali che consentano di suffragare uninterpretazione
dei fenomeni allo studio che rivesta connotati di verosimiglianza politica.
E chiaro per altro, che il problema viene adesso a centrarsi, prendendo
le mosse dai due episodi citati, sulla cosiddetta strategia della tensione e
sul suo reale significato, ed è problema che correttamente si pone nei
termini di accertare quale sia stato il disegno politico sotteso agli eventi.
Si tratta, come si vede, di argomento di vasta portata che trascende l'indagine
specifica assegnata alla Commissione, la quale peraltro è in grado di
contribuire al relativo dibattito in sede politica e storica, ad esso prestando
il patrimonio di dati e di conoscenze che le è proprio.
Possiamo allora rilevare che gli elementi conoscitivi in nostro possesso inducono
a ritenere improbabile che Licio Gelli e gli uomini e gli ambienti dei quali
egli era espressione si ponessero realisticamente l'obiettivo politico del ribaltamento
del sistema, mentre assai più verosimile appare attribuire loro il progetto
politico di un orientamento verso forme conservatrici di più spiccata
tendenza.
Comprova questa interpretazione non solo l'esame delle testimonianze e dei documenti,
sinora ampiamente citati e che si pongono in una non interrotta linea di continuità,
ma soprattutto, ed è questo patrimonio conoscitivo proprio della Commissione,
lo studio di come gli stessi uomini si muovono in fasi politiche successive,
di segno totalmente diverso: di come cioè adeguino tattiche e forme di
intervento al mutare degli eventi. E la stessa diversità tra le
due fasi della Loggia P2 che, correndo in parallelo, secondo la ricostruzione
che la Commissione è in grado di fornire, alla diversità di periodo
storico, ci testimonia la identità del fenomeno e la sua sostanziale
continuità.
Se tutto ciò è vero - tutto infatti ci conduce a questa analisi
- non è azzardato allineare, accanto all'interpretazione più evidente
dei fatti, un'altra ipotesi ricostruttiva di pari possibile accoglimento, che
la prima non esclude: quella cioè che la politica di destabilizzazione
- nella quale il Gelli ed i suoi accoliti si inserivano - mirava piuttosto,
con paradossale ma coerente lucidità, alla stabilizzazione del sistema,
su situazioni naturalmente di segno politico ben determinato.
Di fatto la realtà politica che si delinea alla nostra attenzione è
che se certamente vi furono in quel periodo forze e gruppi che in modo autonomo
si prefiggevano il ribaltamento del sistema democratico attraverso l'impiego
di mezzi violenti, questa situazione di indubbia autonoma matrice da non sottovalutare,
come ha sottolineato il Commissario Covatta, venne utilizzata da altre forze,
secondo un più sottile disegno politico.
Partendo dalla premessa del Commissario Battaglia che vi furono cioè
certamente in quel periodo forze che aspiravano a destabilizzare per destabilizzare,
la dialettica di rapporti che ci è dato individuare all'interno di questa
articolata situazione consente la posizione di due affermazioni: la prima è
che la Loggia P2 non è identificabile toto modo con gli ambienti eversivi,
la seconda è che, proprio in ragione di tale distinzione, la diversa
autonomia politica di questi ambienti ci consente di individuare un rapporto
di strumentalizzazione che intercorre tra chi il sistema voleva soltanto condizionare
e chi invece aspirava a rovesciare.
In questa prospettiva il Commissario Covatta ha sottolineato come costituisca
un paradosso della politica clandestina la possibilità di essere, più
o meno consapevolmente utilizzata da altre strutture clandestine. Un collegamento
questo tra quello che fu chiamato il "partito armato" e quello che
l'onorevole Rodotà ha definito il "partito occulto" che sembra
saldarsi all'insegna della necessità, secondo il pensiero del filosofo
Norberto Bobbio (citato nel corso del dibattito) quando afferma: "dove
c'è il potere segreto, c'è quasi come suo prodotto naturale, l'antipotere
altrettanto segreto sotto forma di congiure e complotti, di cospirazioni. Accanto
alla storia degli arcana dominationis si potrebbe scrivere con la stessa abbondanza
di particolari, la storia degli arcana seditionis".
Si comprende anche in questa linea come tracce di gellismo siano rintracciabili
in eventi ben più drammatici che non il golpe Borghese: la strage dell'Italicus;
anche in questo caso la cronologia ci viene in aiuto perché ci consente
di constatare come le bombe della cellula eversiva toscana (è il 1974)
segnino un sostanziale passaggio alle maniere forti. Un mutamento di tattica
e di mezzi che possiamo comprendere quando si valuti come il paese e la classe
politica avevano dimostrato, al di là di ogni residua illusione, di non
cedere ai facili isterismi: chi voleva farli approdare verso lidi di più
sicura conservazione doveva evidentemente rassegnarsi a ricorrere non a qualche
spinta di orientamento, ma a ben più robuste spallate.
Seguendo allora il solco della traccia argomentativa proposta sinora e dando
come dato acquisito la compenetrazione ma non l'identificazione tra Loggia P2
ed ambienti eversivi, riusciamo a far combaciare con esatta simmetria le due
facce della Loggia P2, perché la seconda trova origine nella prima e
ad essa si collega con tutta coerenza. E una constatazione questa che
appare politicamente accettabile quando si tenga conto che il quadro di riferimento
generale, nel quale la logica della strategia della tensione si era inserita,
aveva segnato uno sviluppo dal quale era uscita una risposta politica del tutto
inaspettata: quella delle elezioni del 1975-1976. Si era così registrata
una spinta a sinistra del quadro politico ed era maturata una situazione affatto
nuova, tale da obbligare gli ambienti che gravitavano intorno alla loggia ad
elaborare nuove e più sofisticate strategie.
Il Commissario Crucianelli ha sottolineato con dovizia di argomentazioni il
valore politico cruciale degli eventi del 1974, già indicato precedentemente,
rilevando che è proprio questo l'anno nel quale, oltre agli eventi citati,
si registra lo scioglimento presso il ministero dell'Interno dell'Ufficio affari
riservati, diretto dal prefetto D'Amato, presente negli elenchi della Loggia,
l'avvio delle inchieste giudiziarie su Ordine Nuovo e su Avanguardia Nazionale,
nonché il declino delle posizioni dei generali Miceli e Maletti. Non
è dato sapere con certezza se questo succedersi di eventi contrassegnò
un momento di disgrazia delle sorti di Licio Gelli, ma se anche così
fosse, certo è che, come abbiamo visto studiando la ristrutturazione
della Loggia P2, a partire dal 1976 il Venerabile aretino appare saldamente
sulla cresta dell'onda alla guida di una rinnovata organizzazione, strumento
idoneo al formidabile sviluppo della seconda fase.