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LA DETENZIONE DI MINE ANTICARRO DA PARTE DELLA CELLULA DI ORDINE NUOVO DI VENEZIA
L'episodio, costituito dalla disponibilità da parte del dr. MAGGI di mine anticarro, è uno dei primi di cui Carlo DIGILIO ha parlato nei suoi interrogatori in una fase di collaborazione non ancora completa e caratterizzata da una disponibilità ancora incerta, ma progressiva a fare chiarezza e dalla scelta di aggiungere e mettere man mano a fuoco particolari in merito a ciascun fatto cui aveva partecipato o assistito.
La vicenda delle mine anticarro, appunto uno dei primi episodi progressivamente messi a fuoco, è un episodio molto importante perché Carlo DIGILIO, riferendolo sin dall'autunno 1993, ha aperto con esso un primo spiraglio per far comprendere la pericolosità e la potenzialità militare del gruppo mestrino/veneziano che sino a quel momento nessuna indagine sull'eversione di destra aveva avuto la possibilità di inquadrare nella sua vera portata.
Vediamo sul punto le dichiarazioni di Carlo DIGILIO in ordine cronologico:
"....Nei
primi anni '70, potrebbe essere il 1971 o 1972, il dottor MAGGI mi chiese un
favore a cui non potevo acconsentire e che comunque non ero in grado di fargli.
Infatti egli mi disse che il suo gruppo aveva recuperato delle mine anticarro,
probabilmente residuati del periodo dell'ultima guerra, e che voleva avere un
aiuto tecnico per smontarle e cioè aprirne l'involucro di metallo e disinnescarle.
Io gli dissi che mi intendevo certamente di armi, ma che non mi intendevo di
esplosivi e non volevo comunque collaborare ad una operazione del genere.
MAGGI mi disse che avrebbe cercato altrove.
Qualche tempo dopo, penso proprio accompagnato dal MAGGI, ebbi occasione di
vedere a Mestre una di queste mine già smontata; l'involucro di metallo era
già stato tolto ed era rimasta la ciambella di esplosivo di colore giallino
che ritengo fosse T4.
Non sono assolutamente in grado di ricordare in quale luogo mi fu mostrata questa
forma di esplosivo.
Ho tuttavia il ricordo di un garage pertinente a qualche abitazione.
MAGGI mi disse che questo esplosivo era stato ripescato dall'acqua ove non si
deteriorava mai ed accennò al recupero anche di altre mine del genere in "laghetti"
e in parte in mare vicino a Venezia.
Mi accennò a subacquei che avevano effettuato tali recuperi...."
(int. 9.10.1993).
"....Riprendendo il discorso dell'esplosivo già estratto dal suo contenitore metallico e che mi fu mostrato a Mestre, mi è venuto in mente che questa sorta di corona circolare con un piccolo foro nel mezzo, come una grossa forma di formaggio, si trovava nel portabagagli di un'autovettura, in un box, appunto a Mestre.... La forma di esplosivo era alta una diecina di centimetri e del diametro di circa quaranta ed era di colore giallino...." (int.30.10.1993).
Nel corso di un successivo interrogatorio (27.11.1993), Carlo DIGILIO ha precisato che le mine anticarro residuate dalla seconda guerra mondiale provenivano, così come alcune armi, da recuperi effettuati nei laghetti che circondano Mantova, nei quali il materiale era stato gettato dalle truppe tedesche in ritirata sotto l'incalzare, nella primavera del 1945, delle forse angloamericane.
Il recupero era stato effettuato da un subacqueo facente parte del gruppo mantovano/veronese di Marcello SOFFIATI e Roberto BESUTTI.
La richiesta del dr. MAGGI a Carlo DIGILIO non è rimasta comunque isolata, ma ad essa si era aggiunta una richiesta analoga in tema di inneschi per esplosivi:
"....Mi sono anche ricordato che qualche tempo dopo la richiesta di Maggi da me rifiutata di aiutarlo nello smontaggio di mine anticarro, egli mi chiese se conoscevo qualcuno che potesse aiutarlo in un'attività di smontaggio di bombe a mano SRCM al fine di recuperare le capsule detonanti al fulminato di mercurio che, riunite in un certo numero, potevano servire come secondo detonatore da usarsi per esplosivi sordi...." (int. 27.11.1993).
In occasione di uno dei due incontri, insieme al dr. MAGGI era presente anche Delfo ZORZI, elemento spiccatamente operativo del gruppo, anche se DIGILIO non era in grado di ricordare se ZORZI fosse stato presente in occasione dell'esame delle mine anticarro o del discorso in merito alle SRCM da smontare per usarne i detonatori (interr. 16.4.1994).
Infine, DIGILIO ha ricordato la presenza di un altro militante allorché aveva potuto vedere una mina anticarro già smontata:
"....Ritornando
all'episodio delle mine anticarro mostratemi da MAGGI, posso aggiungere che,
accanto alla vettura all'interno della quale si trovavano le mine già smontate,
c'era proprio il MONTAVOCI e la vettura, come ora sono riuscito a focalizzare,
non di trovava in un garage ma in un sottoportico semichiuso di una viuzza laterale
di Corso del Popolo, a Mestre, non lontano da Piazza Barche.
MONTAVOCI mi disse trionfante "hai visto che lavoro siamo riusciti a fare?",
accennando alle mine smontate da cui era stato tratto l'esplosivo giallino...."
(interr.6.11.1995).
Giampiero MONTAVOCI era un giovane componente del gruppo veneziano di Ordine Nuovo, molto legato a MAGGI cui faceva spesso da guardaspalle.
Si osservi che Carlo DIGILIO, in un successivo interrogatorio (5.5.1996), ha indicato in Giampiero MONTAVOCI l'autore materiale dell'attentato avvenuto nel febbraio 1978 in danno della sede de Il Gazzettino di Venezia che si era concluso tragicamente con la morte della guardia giurata Franco BATTAGLIARIN che prestava servizio dinanzi al palazzo.
Non è stato possibile interrogare MONTAVOCI in merito a queste vicende in quanto egli è deceduto nel 1982 in un incidente stradale.
La disponibilità delle mine anticarro da parte del dr. MAGGI è una circostanza tutt'altro che secondaria nel quadro della ricostruzione della struttura operativa di Ordine Nuovo e della continuità della stessa a partire dalla seconda metà degli anni '60 quantomeno sino agli inizi degli anni '80.
Infatti mine anticarro del tutto identiche si trovavano nel casolare di Paese, base clandestina e operativa del gruppo (interr. DIGILIO, 19.2.1994, f.3).
Inoltre altri particolari forniti da DIGILIO (in parte anche confermati da Martino SICILIANO; int.7.10.1995 f.3) e cioè il recupero da "laghetti (individuati in quelli che circondano Mantova) dell'esplosivo militare non soggetto ad alterazioni in acqua; la disponibilità di esplosivo "sordo" e cioè non facile ad attivarsi come è appunto sovente quello militare; la necessità quindi di recuperare le capsule detonanti delle SRCM da utilizzarsi come detonatore secondario, costituiscono elementi di piena e concreta continuità con quanto è emerso in altri procedimenti in relazione alla dotazione della struttura occulta di Ordine Nuovo del Veneto e alla sua operatività sino al 1979/1980.
Infatti sia l'ordinanza di rinvio a giudizio relativa al procedimento principale concernente la strage di Bologna sia la requisitoria relativa all'istruttoria-bis concernente la medesima strage, depositata nell'estate del 1994, dedicano ampio spazio alle dichiarazioni di alcuni collaboratori già appartenenti all'area di Ordine Nuovo (Sergio CALORE, Paolo ALEANDRI, Gianluigi NAPOLI e Presilio VETTORE), secondo le quali la struttura veneta, facente capo fra gli altri a Massimiliano FACHINI, disponeva appunto da sempre di esplosivo militare sordo, recuperato da laghetti all'epoca non individuati e che aveva bisogno di un detonatore secondario per poter esplodere in quanto offriva maggiore resistenza rispetto ad altri esplosivi come quelli da cava per uso civile.
Tale esplosivo (prevalentemente tritolo), secondo le dichiarazioni di tali collaboratori "storici", quantomeno sino alla fine degli anni '70 veniva acquisito dai militanti veneti e poi passato ai componenti della struttura romana che allora operava sotto la sigla "Costruiamo l'Azione" e altre sigle che avevano superato la dizione tradizionale "Ordine Nuovo".
L'esplosivo proveniente dal Veneto era stato poi utilizzato a Roma per i grandi attentati della campagna terroristica della primavera del 1979 (quelli contro il Campidoglio, il carcere di Regina Coeli, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero degli Affari Esteri), alcuni dei quali solo per fortunate coincidenze non avevano provocato un gran numero di vittime.
Si aggiunga che nella fase conclusiva dell’istruttoria gli accertamenti effettuati dalla Digos di Mantova e l’audizione di Davide BOTTURA, responsabile della CO.VE.SMI., ditta specializzata nel recupero e nella disattivazione di esplosivi, hanno consentito di accertare che effettivamente nei laghetti, formati dal fiume Mincio, che circondano la città si trovano e sono state anche recentemente recuperate mine anticarro e altri residuati bellici, abbandonati dalle forze tedesche e repubblichine alla fine del secondo conflitto mondiale (cfr. nota della Digos di Mantova in data 25.6.1997 e dep. Davide BOTTURA, 21.6.1997, vol7, fasc.8).
Può quindi affermarsi che il racconto di Carlo DIGILIO, seppur giunto troppo tardi per essere utilizzato nel procedimento relativo a tali gravissimi episodi, si salda perfettamente con quanto, in forma più indiretta, era emerso dalle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia, confermando il ruolo del gruppo veneto quale stabile centro di preparazione e di smistamento del materiale esplosivo.
Ed in effetti il racconto di Carlo DIGILIO, che coinvolge a livello operativo e direttivo il dr. Carlo Maria MAGGI, non si è fermato all'episodio delle mine anticarro esaminate agli inizi degli anni '70 a Mestre.
Nel corso dei successivi interrogatori, effettuati nel 1996 in una fase di collaborazione ormai priva delle reticenze iniziali, Carlo DIGILIO ha infatti parlato di una serie ripetuta di cessioni, autorizzate dal dr. MAGGI, di notevoli quantità di esplosivo (prima acido picrico, molto simile al tritolo, e poi tritolo) a Roberto RAHO il quale doveva poi convogliarlo, insieme ad alcuni M.A.B. e altre armi, alla struttura romana.
Appare opportuno riportare integralmente tali interrogatori:
"....
Vi fu una.... cessione di esplosivo a Roberto RAHO che si colloca intorno al
1978/1979.
In occasione di alcune miei escursioni a San Martino di Castrozza io avevo recuperato,
in un ghiaione, una granata a mano austriaca residuato della I guerra mondiale.
Era una di quelle del tipo difensivo, con il corpo rotondo e con un manico metallico
piegato che serve appunto per lanciarle.
Il contenuto di tale granata era circa mezzo chilo di acido picrico, un esplosivo
di colore giallognolo che somiglia un po' al tritolo.
Io la svuotai e conservai in casa l'esplosivo, che aveva la forma cilindrica,
dopo averlo tagliato a cubetti.
Qualche mese dopo questo recupero, che avvenne un'estate che può essere del
1978 o del 1979, Roberto RAHO si presentò senza preavviso a casa mia e mi chiese
nuovamente se avevo dell'esplosivo.
Anche questa volta fu molto insistente e mi disse che doveva portarlo a Roma,
come aveva già fatto con i candelotti che gli avevo ceduto nel 1974.
Gli dissi che avevo solo quell'acido picrico ed egli mi rispose che andava benissimo.
Anche questa volta, prima ancora che io glielo chiedessi, mi fece subito presente
che c'era l'autorizzazione del dr. MAGGI.
Consegnandogli l'esplosivo, segnalai a RAHO che doveva stare attento a non avvicinarlo
a fonti di calore.
Ricordo che in seguito il dr. MAGGI mi confermò di avere dato l'autorizzazione
e mi disse che ogniqualvolta venisse qualcuno
a suo nome, anche senza disturbarlo, avrei dovuto cercare di fare quello che
mi veniva richiesto...." (DIGILIO,
7.8.1996, f.3)
Tale episodio è stato solo il primo di una lunga serie:
"....Oltre
agli episodi di cui ho parlato nell'interrogatorio in data 7.8.1996, ricordo
un altro episodio di cessione di esplosivo a Roberto RAHO che si colloca anch'esso
nel 1978/1979 e cioè quando gli cedetti il mezzo chilo di acido picrico.
SOFFIATI mi portò una mina anticarro tedesca, a forma di tubo, lunga circa 70
centimetri che conteneva un paio di chili di TNT cioè tritolo.
Si trattava di mine che venivano usate per far saltare i cingoli dei carri nemici
e ricordavano i bangaloore americani.
Venivano collocate a mano dai soldati tedeschi.
Io aprii questo involucro di metallo traendone l'esplosivo che era di colore
giallino e in gergo chiamavamo "formaggio".
Io lo divisi a cilindretti utilizzando un seghetto per il legno compensato.
Venne Roberto RAHO a casa mia a ritirarlo e mi disse che doveva mandarlo ai
camerati di Roma.
SOFFIATI mi disse che questa mina era stata recuperata dai laghetti di Mantova
tramite il gruppo di BESUTTI il quale non l'aveva recuperata personalmente,
ma aveva utilizzato un suo sommozzatore.
Si trattava degli stessi laghetti da cui, come ho già ricordato nei primi interrogatori,
era stato recuperato il moschetto tedesco.
Nel giro di poco tempo SOFFIATI mi portò, in diverse occasioni, altri quattro
o cinque di questi ordigni e li teneva in una vecchia borsa di vilpelle tipo
quelle dei rappresentanti.
Veniva a Venezia in treno come suo solito.
Io, per precauzione, li tenevo in acqua tiepida nella vasca da bagno.
Io toglievo i tappi, alcuni dei quali erano a volte corrosi e facili da togliere,
e poi spingevo fuori l'esplosivo utilizzando uno di quei tubi di cartone che
si usano per contenere i fogli da disegno.
Questo materiale fu ritirato da RAHO il quale, come sempre, diceva che doveva
mandarlo a Roma.
RAHO veniva a casa mia tranquillamente abbigliato come un normale turista.
Come ho già accennato, MAGGI mi aveva dato l'autorizzazione a fare questo lavoro
e a consegnare tutto a RAHO...." (DIGILIO,
6.3.1997).
Roberto RAHO di Treviso, autorizzato dal dr. MAGGI a ricevere l'esplosivo da Carlo DIGILIO una volta opportunamente sistemato e reso non pericoloso al trasporto, era un componente della struttura veneta, molto legato a FACHINI e a CAVALLINI, ed era fra i non molti militanti liberi di muoversi dopo gli arresti che avevano falcidiato, all'inizio degli anni '70, le cellule milanese e padovana costringendo altri militanti scampati all'arresto, come ROGNONI e POZZAN, alla latitanza in Spagna.
Proprio Roberto RAHO era stato indicato da Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI, nel procedimento svoltosi a Roma, come colui che aveva il compito di raccordare la struttura veneta con la struttura romana e aveva materialmente consegnato al gruppo di ALEANDRI una decina di chili di esplosivo fra il 1978 e il 1979.
Non a caso proprio nell'abitazione di Roberto RAHO, a Treviso, si è svolta nel settembre 1995 la conversazione con Piero BATTISTON, appena giunto dal Venezuela, intercettata dagli inquirenti veneziani e risultata di estrema utilità per confermare e stimolare il racconto di Carlo DIGILIO in merito agli avvenimenti che avevano coinvolto negli anni '70, a vario titolo, tutti i componenti del gruppo veneto e del gruppo milanese.
Sentito in data 4.10.1995 dal P.M. di Milano nell'immediatezza di tale intercettazione ambientale, Roberto RAHO ha avuto peraltro, nonostante i saldi vincoli che tuttora lo legano a coloro con cui aveva condiviso la militanza politica, un momento di "cedimento" incalzato dal P.M., ammettendo di avere trasportato a Roma vari borsoni con armi, fra cui M.A.B., ed esplosivo a suo dire consegnatigli direttamente da DIGILIO nell'appartamento di Sant'Elena e portati dallo stesso RAHO a Roma per la consegna ad ALEANDRI.
L'aspetto dell'esplosivo era quello di cubetti giallini simili al formaggio grana e cioè esattamente l'aspetto che ha il tritolo.
RAHO ha poi affermato di avere saputo, anche se successivamente ai fatti, che tale esplosivo era stato usato per gli attentati dinanzi alla sala consiliare del Campidoglio, dinanzi al carcere di Regina Coeli e dinanzi al palazzo del Consiglio Superiore della Magistratura.
Roberto RAHO non ha voluto dire su indicazione di quale "superiore" e in quale contesto associativo avesse effettuato tali operazioni di trasporto di esplosivo, ma comunque il complessivo quadro probatorio formatosi, omogeneo anche alle risultanze dei precedenti processi concernenti le attività di Ordine Nuovo, consente di affermare l'esistenza a carico del dr. Carlo Maria MAGGI di gravi indizi in merito alla direzione e supervisione da parte sua, nella qualità di "Reggente" di Ordine Nuovo per il Triveneto, fra l'inizio degli anni '70 e quantomeno il 1979/1980 del traffico di esplosivo in dotazione alla struttura occulta.