Date: Sun, 19 Oct 1997 16:03:33 +0100
To: canali@planet.it (Mario Canali)
From: Tommaso Tozzi <T.Tozzi@ecn.org>
Subject: Re: Tozzi e Museo Gallarate
Cc:
Bcc:
X-Attachments:
Ciao Mario Canali,
>Pensavo che la distinzione tra mente e corpo fosse superata, e invece salta sempre fuori.
>E ancora, non crediamo forse al paradigma della complessità, e allora perchè queste semplificazioni esclusive ed escludenti.
Mi sembra che ci sia un equivoco interpretativo. Io ho fatto una distinzione tra 'pratica' (nella sua complessità e coevoluzione di idee, oggetti, carne, macchine, eventi) e rappresentazione simbolica della pratica nell'oggetto/evento espositivo. Così come si rende evidente 'anche' dalle ultime riflessioni nel campo delle scienze cognitive e dell'intelligenza artificiale, la costruzione di entità 'consapevoli' attraverso computi e metodi di tipo simbolico (vedi l'approccio primario dell'intelligenza artificiale) è fallace. E' fallace (ad esempio secondo Penrose) anche nel caso in cui si simuli 'comportamenti' e 'modelli' (vedi ad esempio reti neurali e vita artificiale) se ciò viene fatto seguendo procedure di tipo esclusivamente matematico e deterministico. Francamente non mi intressa portare il piano della discussione in ambiti disciplinari di tipo scientifico, ma mi è servito per muovere da tali ambiti una critica a una semplificazione di tipo simbolico di una 'pratica'. Di fatto, tornando all'inizio del mio discorso, esiste nelle modalità operative estetiche dominanti una consuetudine a 'semplificare' le pratiche attraverso l'uso di simboli e allegorie che anziché il rendere diretto e esplicito il senso (e se vogliamo il modello coevolutivo che sta alla base di tali pratiche) di tali pratiche, lo impoverisce. Lo impoverisce in quanto tale semplificazione è dettata più da necessità di tipo economico (leggi necessità espositive, conservative e di vendita) che non comunicative. Io credo fermamente nella necessità di approfondire le ricerche nel campo della complessità, ma ritengo che tali ricerche avvengano prevalentemente in 'altre' zone che non quelle estetiche. Non intendo con ciò considerare "non artistiche" le operazioni che si muovono in ambiti differenti da quelli 'riconoscibili' come tali, ma credo, come afferma Perniola, che i migliori sviluppi delle riflessioni estetiche degli ultimi due secoli siano da andare a cercare nelle idee di quei pensatori del novecento il cui pensiero si è mosso su direzioni fondamentalmente 'anti-estetiche'. Creare un equivoco su una presunta mia preferenza del piano immateriale su quello materiale sarebbe mistificante. Io sto distinguendo sul 'senso' delle pratiche messe in atto da 'artisti' (categoria in cui io faccio rientrare scienziati, pensatori, artigiani, operai, pittori, nullafacenti...), tra il modo in cui tali pratiche vengono svolte nel 'quotidiano' e il modo in cui tali pratiche vengono presentate in ambiti artistici istituzionali. E' proprio in tali ambiti che si perde la 'corporeità' della pratica. Il corpo di una pratica non è 'solo' carne, ma è anche cultura, comportamento, ... Nel quotidiano le pratiche si fondono sulla coevoluzione di ciccia, cultura, comportamenti, simboli, ..., su un piano di livellazione ed equilibrio relativo al 'senso' di tale pratica. Quando la 'pratica' viene trasposta in ambiti artistici istituzionali ogni equilibrio salta e tutto viene finalizzato a priorità che si muovono su necessità differenti da quelle del senso della pratica, bensì relative, come ho detto prima, al piano espositivo (quindi si devono 'adeguare' a un contesto a loro innaturale), conservativo (devono assumere una ben specifica forma materiale, tra le tante possibili nella pratica, che ne 'congeli' lo statuto materiale attuale e in tal senso ribadisco che non sto affermando che le pratiche non prevedono aspetti materiali) e di vendita (devono adeguarsi alla forma richiesta dall'acquirente). Le idee delle pratiche artistiche e tutta la complessa rete di contributi cui queste idee devono mostrare riconoscenza e senza di cui non sarebbero esistite, così come le forme 'materiali' dei rapporti tra oggetti e persone che hanno reso possibile la realizzazione di un determinato oggetto, vengono puntualmente trascurate. Si dichiara 'opera' quella che per un corpo è la merda finale prodotta, la pelle secca che si stacca da tale corpo, i suoni emessi da tale corpo e costantemente si trascura il corpo reale, le sue dinamiche vitali; di fatto si espone l'aspetto 'inorganico' dell'opera. Nel fare ciò ribadisco, si predilige una serie di aspetti che si sono costruiti e strutturati in ben specifiche modalità operative nel tempo per garantire un uso dell'ambito estetico per motivi o di profitto o di 'controllo' sociale.
>Per questo mi va bene esporle dovunque. Le ho portate dappertutto, perchè no anche in un museo, specialmente se fa lo sforzo di aprirsi a qualche cosa di diverso.
E' come la Chiesa. In Chiesa accettano tutti, ladri e onesti, galantuomini e traditori, ma chiedono un atto di redenzione, un atto di fede in Cristo. Anche il solo andare in chiesa è un atto di fede. E' grazie a quest'atto di fede che la chiesa è attualmente quello che è ed ha la forza di imporre globalmente ciò che impone. Alla chiesa non importa se poi i suoi fedeli sono mascalzoni e delinquenti, a lei importa poter affermare che globalmente la maggioranza delle persone sono suoi fedeli. Alla chiesa dunque non interessa se di fatto la maggioranza dei suoi fedeli poi 'pratica' in modo diverso da ciò che sono gli ideali cristiani. E nel fare ciò impone gli ideali cristiani. Allo stesso modo il museo prende pittori e video-artisti, l'importante è che si dichiarino 'fedeli' all'estetica. Io voglio entrare in un museo ma per dichiarare di fronte a tutti che non ne sono un fedele.
>E ancora, essendo anche uno sciamano, mi va di costruire feticci, l'unica cosa che vorrei è che fossero abbastanza potenti da permettere ad ognuno l'incontro con stati di coscienza che non sapeva di possedere.
Esistono i feticci della coscienza e i feticci del mercato. All'interno di un luogo espositivo istituzionale 'normalmente' il secondo aspetto 'soffoca' le buone intenzioni del primo.
>Ho accettato il premio del museo, mi sono solo lamentato del fatto che non fosse abbastanza remunerativo.
>Quanto alla celebrazione, se questa soddisfa il mio insaziabile narciso, e se mi permette di allargare il mio campo d'azione, ben venga! Quanto poi alle logiche di esposizione, all'eslusione di alcuni/e, al solito ripetersi degli eterni meccanismi del mondo dell'arte, qui sì c'è da discutere. Ma per favore, scindiamo quello che è meccanismo del mondo dell'arte e quello che è fare arte.
Vedi e' esattamente cio' che faccio io. Scindo il fare arte dai 'canoni' estetici e operativi del mondo dell'arte. Chiedo che in ogni operazione 'artistica' si potenzino gli aspetti della prima parte e si estinguano quelli della seconda. Se poi il fare arte (come pratica) ha bisogno di investimenti, finanziamenti, di 'riconoscibilità' da parte degli enti che vi partecipano, tutto ciò ben venga. Ben venga fin quando il fare arte non sia trasformato in qualcos'altro che di fatto finanzia e assegna privilegi a pochi per rendere semplici spettatori gli altri.
>Chiedo a Tommaso di ripensare la sua posizione. O meglio, ripensala in modo più corretto Se poi la sua azione è un modo diverso di esporre la sua opera, allora va bene così, si può esporre in un museo anche rifiutando di esporre.
Anche qui, si compie un equivoco nel banalizzare. La mia azione cerca di spostare il piano espositivo su un livello 'anti-estetico', anti-retorico e anti-celebrativo che ne elimini le modalità finalizzate al mercato e al mantenimento di uno status-quo di divario per recuperarne quelle che dovrebbero essere le sue finalità reali. In tal senso 'credo' e ho 'fede' nel progetto di 'esposizione' dei lavori attraverso il costituente progetto di archivio della Galleria. Credo e ho fede nelle macchine 'creative' quando sono rese disponibili a tutti nel quotidiano e non quando sono oggetti estetici caricati di un valore a loro estraneo, a cui si partecipa in funzione di cavie anziché di operatori. Credo e ho fede del fatto che tali macchine creative saranno considerate 'artistiche' da coloro che nel quotidiano ne fanno uso e non dalle istituzioni che le 'espongono'.
Con stima
Tommaso