Resent-Date: Sat, 15 Nov 1997 13:32:20 +0100 Date: Sat, 15 Nov 1997 13:40:56 +0100

From: Antonio Caronia <gadda@iol.it>

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Subject: Ne' fiori, ne' opere

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Ciao a tutti.

 

Spero di non riportare indietro la discussione innescata dalla scelta di Tommaso a Gallarate e che si e' sviluppata ormai da oltre un mese, con risvolti ramificatissimi e tutti molto interessanti. Mi è dispiaciuto non essere riuscito a intervenire finora per gli usuali problemi di pessima organizzazione del mio lavoro e del mio tempo. Tuttavia, siccome la mia rubrica di dicembre su "Virtual" e' dedicata al tema del superamento dell' "opera" nell'arte, e contiene un accenno a questa discussione (oltrettutto l'articolo su Gallarate comparso su "Virtual" di novembre non fa cenno alla scelta di Tommaso), ho pensato che fosse utile farvela conoscere in anteprima. Anche perche' e' possibile che venga tagliata redazionalmente (e' un po' lunga per gli standard della rubrica), e non so quali pezzi salteranno. Tenete conto, naturalmente, dei limiti di spazio che avevo e del contesto a cui e' destinato l'articolo. Scrivere per una rivista non e' come scrivere su una mailing list, pero' l'essenziale di quello che penso c'e'. So che Mario Canali, p. es., ha qualche riserva sulle mie formulazioni, e se vuole può riperterle in questa sede. Grazie per l'attenzione, Ant

 

Il filosofo e la farfalla- 48

NELLA CITTÀ MULTIETNICA

 

 

 

Nonostante le dichiarazioni contrarie di molti addetti ai lavori (fra cui, purtroppo, devo annoverarmi anch'io), bisogna prendere atto che le nuove tecnologie digitali sembrano avere pochi e marginali effetti nel campo dell'arte. A novembre si è tenuta alla triennale di Milano una mostra dal titolo Generazione media, tappa di un lavoro ideato da Paolo Rosa (e realizzato grazie al Progetto giovani del Comune e all'Accademia di Brera) che si propone di "costituire un osservatorio a Milano sul rapporto fra tecnologie e percorsi artistici giovanili". L'indagine dei giovani allievi di Rosa, e l'esposizione che ne è scaturita, dimostra che i giovani artisti milanesi sanno usare il video con competenza e anche con qualche idea, che hanno cominciato a utilizzare i più diffusi programmi digitali di manipolazione delle immagini (tipo Photoshop), che alcuni di loro conoscono almeno in parte il dibattito estetico e filosofico sorto intorno al digitale. Ma di uso di vere e proprie "nuove tecnologie", per esempio di installazioni multimediali, interattive, o come dir si voglia, neanche l'ombra. Ci sono ragioni di tipo economico che spiegano questo fatto: le tecnologie necessarie per realizzare installazioni di quel tipo sono ancora relativamente costose, e quindi non alla portata dei giovani. Tuttavia, temo, ci sono altre ragioni attinenti all'immaginario e al sistema di convinzioni di chi opera nel campo dell'arte, ragioni che per me sono molto più preoccupanti. Quello che temo è che i giovani artisti non si siano sottratti (o, peggio, non abbiano alcuna voglia di sottrarsi) alla fascinazione dell'"opera d'arte" come esito supremo e desiderabile dell'attività artistica. Questo timore mi è confermato dall'andamento di una discussione che sta avvenendo nella mailing list "arty-party", relativa alla decisione di Tommaso Tozzi, artista fiorentino ed esponente di Strano Network, di non ritirare il premio "Città di Gallarate" 1997. Non ho lo spazio, in questa rubrica, per riassumere i pro e i contro di questa scelta di Tozzi, che considero comunque uno di quelli che più coerentemente e radicalmente hanno operato in Italia in questi anni per liberare l'attività artistica dall'esito mortifero e cristallizzante dell'opera, e per restituirle il carattere vitale e travolgente di un "processo", collettivo e produttore di senso. Quello che registro con preoccupazione è che alcuni partecipanti alla discussione hanno criticato quella scelta in nome appunto del fatto che l'arte dovrebbe continuare, anche con l'uso delle nuove tecnologie, a produrre "opere" da contemplare, esecrare, sezionare, amare, odiare, ma sempre "opere"; qualcuno, in un eccesso di masochismo, si è spinto al punto di proporre una riesumazione dell'estetica di Croce. Niente di male: questo è l'uso, direbbe Abruzzese, "riformistico" delle nuove tecnologie. Per chi, come me, è più interessato al loro uso "rivoluzionario", dovrebbe però essere chiaro che o le nuove tecnologie ci aiutano a riportare l'arte alla sua originaria funzione di produzione e di diffusione di "senso" sociale (non di "significati" dell'opera!), o non sono nulla. Per questo ho tanto maggiore rispetto e interesse per chi, venendo dal mondo dell'arte ufficiale, con la A maiuscola, e avendo conseguito in quel campo risultati lusinghieri, anche dal punto di vista del mercato, da vari anni persegue un progetto diverso, quello appunto di un'arte che proponga esperienze e non opere. Parlo di Piero Gilardi, che con Tozzi, Mario Canali, Giacomo Verde, i Giovanotti Mondani Meccanici, Flavia Alman e Sabine Reiff, Massimo Contrasto e pochi altri, rappresenta in Italia l'arte interattiva. Il suo ultimo lavoro, General intellect (già di per sé un titolo provocatorio, perché riprende una formula del pensiero operaista più radicale), propone al partecipante un'esperienza su di un argomento attuale e scottante, quello della città multietnica. Il partecipante è invitato a indossare, sulla base di diverse proposte musicali, uno fra sei dispositivi traccianti che lo identificano con una particolare cultura etnica (africana, araba, indocinese, latino americana, slava, europea). Una volta entrati nello spazio virtuale, il corpo così equipaggiato diventa un mouse che permette di viaggiare in una città e di essere associati, in base all'etnia scelta, a un palazzo che ha le caratteristiche architettoniche di quella cultura. Ma a questo punto ognuno ha la possibilità, toccando con il cursore che lo rappresenta i palazzi altrui, di "ibridare" il proprio palazzo, trasformandolo da simbolo di una specifica cultura in un artefatto misto, che rispecchia il grado di interazione e di combinazione fra le culture. La conclusione di questa esperienza ludica è una "nuova identità" etnico-culturale, rappresentata da un cono di luce che investe il corpo reale del partecipante e da una nuova musica. Nessuna "bellezza" da contemplare, nessuna "estasi estetica" da cui farsi attraversare, ma un gioco, un'esperienza coinvolgente, gradevole ma produttrice di spaesamento e di dubbio, un'installazione da collacare, propone Gilardi, non in un museo o in una galleria, ma in in luogo metropolitano anonimo come una fiera, uno shopping center, un'aeroporto.

 

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Antonio Caronia <gadda@iol.it>

Via Aselli 18 20133 Milano Tel/Fax 02-70105193 "I possibilisti vivono in una tessitura piu' sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi" (Robert Musil)

 

 

*** http://www.dada.it/arti-party ***