II CAPITOLO
Gli anarchici
Invece, della strage del 12 dicembre vengono incolpati gli
anarchici. L'accusa è immediata e esplicita I più zelanti a lanciarla sono, a Milano un
giudice istruttore del tribunale e un commissario politico della questura: Antonio Amati e
Luigi Calabresi. (1)
Da un articolo del Corriere della Sera: subito dopo l'esplosione il
giudice Amati telefona in questura per informarsi sull'accaduto. Gli rispondono che,
forse, è saltata la caldaia di una banca in piazza Fontana, che ci sono alcuni morti e
numerosi feriti: si avanza anche l'ipotesi di un attentato terroristico. "Sono
dell'idea che si tratti di un attentato", replica il magistrato, e consiglia di
iniziare subito le indagini negli ambienti anarchici".
Il commissario Calabresi non è meno chiaro. All'invito della.Stampa
di Torino, la sera degli attentati dichiara che i responsabili vanno cercati tra gli
estremisti di sinistra e, per non lasciare nessun dubbio, emette il suo verdetto: "E'
opera degli anarchici".
Anche il questore di Milano Marcello Guida (2) fa la
sua parte. A un giornalista che quella sera stessa gli chiede se vi è una connessione con
gli attentati alla Fiera Campionaria e alla Stazione centrale del 25 aprile dice di
"non escluderlo".
A questa sicumera di alcuni personaggi della polizia e della
magistratura milanesi fa invece riscontro un atteggiamento molto più cauto del potere
centrale. Il ministro degli Interni Restivo si limita a dichiarare: "Abbiamo iniziato
indagini in tutti i settori..."
Ma perché si scelgono proprio gli anarchici? Per
diversi motivi, alcuni dei quali possono essere così riassunti per il
momento. Innanzitutto gli anarchici rappresentano la parte più debole
dello schieramento di sinistra, perché priva di protezione, senza amici,
di fatto isolata politicamente. Inoltre sono pressoché privi di organizzazione,
e seguaci di una teoria politica articolata in varie tendenze, alcune delle
quali sono spesso indefinibili o mal definite: due caratteristiche che permettono
ogni tentativo di infiltrazione e di provocazione al loro interno. Esiste poi
la possibilità di utilizzare la loro firma, i loro simboli in tutta una
serie di attentati i cui obiettivi (chiese, banche, caserme, ecc.) non sarebbero
attribuibili a nessun'altra forza di sinistra, sia parlamentare che extraparlamentare.
Da non sottovalutare il valore simbolico negativo che essi incarnano agli occhi
della maggioranza dell'opinione pubblica, la più sprovveduta, facile
preda di ogni tentativo di manipolazione "culturale": per l'italiano
medio, gli anarchici rappresentano le forze scatenate e disgregatrici dello
Stato, il rifiuto delle istituzioni e di ogni valore borghese. senza idee o
alternative precise; "fanno paura", una paura generica e indefinibile,
che di conseguenza impone il ricorso a forze che siano in grado di ristabilire
l'ordine e l'autorità minacciati dal nichilismo.
Infine gli anarchici, abilmente "pubblicizzati" da una
massiccia campagna di informazione tendente a esagerare e a mitizzare questo loro ruolo
negativo, consentono anche una escalation della repressione che si attui in modo subdolo e
strisciante, che coinvolga lentamente, usando i tempi lunghi, le stesse forze della
sinistra più solide e organizzate (sindacati e PCI), senza provocare traumi né
nell'opinione pubblica moderata né nelle forze politiche costituzionali. (3)
Quanto succede in Italia in tutto l'anno 1969 è esemplificativo
di questa manovra. Ecco alcuni casi.
Tra aprile e maggio, a Palermo, vengono attuati numerosi
attentati: contro la chiesa Regina Pacis, le stazioni dei Carabinieri di Castellammare
e Pretoria, una caserma dell'esercito e il carcere dell'Ucciardone. La responsabilità
viene attribuita, con grande clamore di stampa, agli anarchici. E non conta
che poco più tardi il 15 maggio, siano rintracciati i veri colpevoli:
sette neofascisti della Giovane Italia i quali però, guarda caso, si erano
dimessi dall'organizzazione proprio alcuni giorni prima degli attentati.
Lo stesso avviene a Roma, nell'inverno 68-69, per i 12 attentati ai
distributori di benzina e nel dicembre '69 per quelli a una caserma dei C.C. e per
l'ordigno in una cassetta postale; a Reggio Calabria. in dicembre, per gli attentati
all'ufficio della SIP ad una chiesa ed alla Questura.
Fatti analoghi avvengono un po' dappertutto nelle città
italiane. Come a Legnano, dove due giovani fascisti compiono degli atti vandalici,
come firma una A cerchiata e la scritta "Viva Mao" a Reggio Emilia,
dove un altro fascista è autore di un attentato contro la Questura; a
Terni, dove i muri di alcune chiese vengono profanati con scritte blasfeme.
E si tenta di attribuire agli anarchici la responsabilità della catena
di attentati dinamitardi compiuti sui treni tra 1'8 e il 9 agosto, anche questi
di chiara marca fascista come verrà dimostrato poco dopo. (vedi
IV capitolo - Chi è Bruno Giorgi)
Per capire la complessità della manovra che si andava preparando sulle
spalle degli anarchici. serve rileggere, fra i tanti, questo brano di un articolo della Stampa
di Torino che esce in quei giorni. Sotto il titolo "Scomparsi gli anarchici per
evitare gli interrogatori", il quotidiano della Fiat scrive: "Fino a qualche
tempo fa gli anarchici a Milano erano pochi, privi di mezzi. per nulla organizzati. Ora
qualcuno ha pensato di sfruttare le loro utopie. Così gli anarchici sono stati
corteggiati e finanziati dall'estrema destra totalitaria e dall'estremismo di
sinistra". Come si vede, il pogrom antianarchico è già giustificato e programmato e
nello stesso tempo si è aperto quel discorso sugli opposti estremismi, di destra e di
sinistra, che al momento buono potrà servire alle forze moderate per invocare il
ripristino dell'"ordine" turbato.
Ma il caso più clamoroso resta quello degli attentati del 25 aprile
a Milano, i più gravi di questo mese che è il più "caldo" di tutti: 45
attentati sui 145 dell'anno l969.
Quel pomeriggio di festa, nel padiglione Fiat alla Fiera campionaria e
nell'ufficio cambi della Stazione centrale scoppiano due bombe che provocano alcuni feriti
(ma solo per una serie di fortunate coincidenze il bilancio delle vittime è rimasto
modesto: una strage poteva avvenire anche stavolta).
Vengono subito fermati una quindicina di anarchici, indicati come
colpevoli da una isterica campagna di stampa condotta da tutti i giornali dell'arco
borghese, da quelli dichiaratamente di destra a quelli considerati moderati. Altre
indagini in direzioni diverse non vengono nemmeno tentate. Eppure i fascisti a Milano non
scherzano nel maneggiare l'esplosivo: nelle settimane precedenti hanno lanciato bombe a
mano e incendiarie contro tre sedi del PCI, ordigni vari contro l'Unità, I'ANPI, un
circolo di sinistra e una galleria d'arte, hanno sparato contro una sezione comunista e,
il 12 aprile, hanno gettato due bottiglie Molotov contro l'ingresso dell'ex albergo
Commercio, occupato e trasformato in Casa dello studente e del lavoratore, colpendo due
ragazzi che hanno rischiato di morire bruciati vivi.
Degli anarchici arrestati, alcuni vengono rilasciati. Gli
altri - Paolo Braschi, Paolo Faccioli, l'architetto Giovanni Coordini e sua
moglie Elbane Vincileone - rimangono in galera. Si aspetta un mese per controllare
i loro alibi e interrogare i testimoni; cinque mesi prima di interrogare gli
stessi imputati. Il giudice istruttore è Antonio Amati, il funzionario
di polizia che più degli altri segue le indagini è Luigi Calabresi:
gli stessi accusatori del 12 dicembre. Non emergono né prove né
indizi eppure si respingono tutte le istanze presentate dagli avvocati dei coniugi
Corradini con delle ordinanze di rigetto abnormi proprio perché sprovviste
della lista degli indizi a carico. Il caso supera i confini nazionali, se ne
occupano i giornali stranieri, il tribunale per i Diritti dell'Uomo.
Ma gli anarchici rimangono in galera. (4)
E ai loro compagni che in quei mesi hanno dato vita a una serie di manifestazioni
di piazza e di scioperi della fame per richiamare l'attenzione dell'opinione
pubblica, si risponde con la violenza, le cariche di polizia e le incriminazioni.
Il 26 settembre cinque cittadini denunciano il questore di Milano Marcello Guida,
il vicequestore, i commissari Calabresi e Pagnozzi e alcuni agenti per attentato
ai diritti politici dei cittadini, abuso di ufficio (Calabresi ha inseguito
e malmenato un fotografo durante una manifestazione), omissione in atti di ufficio,
concorso in percosse e lesioni. Il quotidiano di destra La Notte (5)
apre tra i suoi numerosi lettori una sottoscrizione a favore"a polizia
soldi per i "tutori dell'ordine che di questi tempi hanno tanto da fare
e da rischiare e sono così mal pagati". Le bombe del 25 aprile sono
scoppiate tre giorni prima che alla Camera dei deputati iniziasse il dibattito
sul disarmo della polizia in funzione di ordine pubblico una proposta che fa
sorridere, con l'aria che tira. Ma se non sono gli anarchici, chi sono gli attentatori
del 25 aprile? Quando la stampa inglese pubblica il famoso e già citato
rapporto inviato dal ministero degli Esteri di Atene al proprio ambasciatore
a Roma, sulle possibilità di un colpo di stato di destra in Italia, tra
le altre cose vi si legge: "Le azioni la cui realizzazione era prevista
per epoca anteriore non hanno potuto essere realizzate prima del 20 aprile.
La modifica dei nostri piani è stata necessaria per il fatto che un contrattempo
ha reso difficile l'accesso al padiglione Fiat. Le due azioni hanno avuto un
notevole effetto".
A poche ore dagli attentati del 12 dicembre non solo si
è stabilito con grande sicurezza che la loro matrice politica è
anarchica ma si sta già cercando l'ideatore, l'organizzatore e l'autore
della strage di Milano: Pietro Valpreda, 37 anni, di professione ballerino,
disoccupato(6) E' milanese ma vive soprattutto a Roma dove
frequenta, come anarchico, il circolo 22 marzo in via del Governo Vecchio Viene
riconosciuto dal supertestimone Cornelio Rolandi come "l'uomo con la borsa
nera" che egli dice di aver trasportato, pochi minuti dopo le quattro di
quel pomeriggio di sangue, vicino alla banca di piazza Fontana.
Con Pietro Valpreda sono coinvolti, sotto l'imputazione di
associazione a delinquere e concorso in strage, (7) altri
cinque ragazzi del circolo 22 Marzo: Roberto Mander, 17 anni, studente di secondo
liceo, figlio di un direttore d'orchestra; Emilio Borghese, 18 anni, figlio
di un alto magistrato; Roberto Gargamelli, 19 anni, figlio di un cassiere della
Banca Nazionale del Lavoro dove è scoppiata una delle bombe; Emilio Bagnoli,
24 anni, studente d'architettura. Il sesto imputato è Mario Merlino,
classe 1944, laureato in filosofia, figlio di una famiglia della media borghesia
romana; il padre, avvocato, è impiegato all'organizzazione cattolica
Propaganda Fide.
Passata la confusione frenetica dei primi giorni d'inchiesta, quando si
comincia ad andare a guardare con calma la biografia politica degli imputati, la presenza
fra essi di Mario Merlino fa tirare un sospiro di sollievo ai cronisti dei giornali di
sinistra. Merlino è un ex fascista, si è recato recentemente in viaggio nella Grecia dei
colonnelli ed è il fondatore del 22 Marzo: ergo, invece che a deg!i anarchici, qui si è
di fronte a degli "anarco-fascisti", "più vicini a Goebbels che a
Bakunin", secondo quanto scrive frettolosamente il settimanale comunista Vie
Nuove. E già che c'è, per definire meglio l'ambiente, il giornalista ci aggiunge
anche il solito pizzico di droga.
I conti a questo punto, oltre che alla polizia e al pubblico
ministero, quasi tornano anche alla sinistra italiana: in fondo se le cose stanno
davvero così, se non si tratta nemmeno di anarchici ma di anarco-fascisti
perché Pietro Valpreda non potrebbe davvero essere l'autore della strage
di Milano? Salvo ad accorgersene subito dopo, quando i particolari si definiscono
meglio, che si è fatta una grande confusione, si è rischiato di
cadere nella trappola: neanche più quella dell'estremismo anarchico,
di sinistra, colpevole, ma l'altra trappola. ben più pericolosa, della
colpevolezza dei due opposti estremismi, di destra e di sinistra, anarchia e
fascismo, che ormai si sono compenetrati, e assieme hanno ucciso.
Perché non ci siano dubbi, per fare opera di chiarezza
assoluta, è necessario qui definire esattamente chi è Mario Merlino
e quale ruolo egli ha svolto nel piano di preparazione degli attentati.
Gli anni dal 1962 al 1968 vedono Mario Merlino militare
attivamente nei gruppi di estrema destra: Avanguardia Nazionale, Giovane Italia
e Ordine Nuovo. In prima fila nel corso di innumerevoli azioni squadristiche,
egli nutre tuttavia ambizioni intellettuali. (8) Passa ogni
anno l'estate in Germania, di preferenza a Monaco e Francoforte. Tra il '65
e il '66 vi rimane sei mesi; al suo ritorno racconterà di aver frequentato
un campo clandestino di addestramento organizzato dai neo nazisti tedeschi di
"Nazione Europea". (9) In questi anni stringe stretti
rapporti, tra gli altri, con Stefano Delle Chiaie, Pino Rauti e con il deputato
del MSI Giulio Caradonna.
Mario Merlino compare per la prima volta mescolato alle forze
di sinistra durante la battaglia di Valle Giulia che si combatte tra studenti
e polizia ai primi di febbraio 1968, davanti alla facoltà di Architettura.
Per Merlino, che è presente tra le fila di un gruppetto di picchiatori
fascisti di Avanguardia Nazionale, gli scontri di Valle Giulia sono due fronti:
i camerati cercano di bastonare in parti uguali poliziotti e studenti. l'importante
per loro è provocare il massimo degli incidenti. Il neofascismo romano
a quella data è infatti ancora incerto: con la esplosione dell'"anno
degli studenti" sono finiti i bei tempi in cui dominava incontrastato con
le sue squadre di manganellatori nell'università romana. Che fare quindi?
La nuova tattica della infiltrazione tra i gruppi di sinistra, il momento in
cui i "nazimaoisti" tenteranno di confondere le acque coi loro slogan
"Hitler e Mao uniti nella lotta" sono ancora lontani. D'altra parte
l'attacco frontale come una volta è ormai impossibile.
Ci riprovano, certo, e il 17 marzo un manipolo di duecento
picchiatori giunti da ogni parte d'Italia, gli onorevoli Almirante,Caradonna
e Turchi in testa, dà l'assalto alla facoltà di Lettere o ccupata
dagli studenti e provoca gravi incidenti (lo studente Oreste Scalzone ha la
colonna vertebrale fratturata). Anche in questa occasione Mario Merlino marcia
coi fascisti. Tuttavia questa fase sta per chiudersi: il viaggio in Grecia che
i giovani fascisti italiani compiono nell'aprile 1968 segna una svolta definitiva.
Il viaggio è promosso dall'ESESI, (vedi
IV capitolo - l'ESESI) la lega degli studenti greci fascisti in Italia,
ed è organizzato dal giornalista Pino Rauti del Tempo di Roma
e da Stefano Delle Chiaie i quali scelgono fra i militanti di Nuova Caravella,
Ordine Nuovo e dell'ex Avanguardia Nazionale una quarantina di giovani che si
sono particolarmente distinti nell'attività a favore del regime dei colonnelli.
Giunti a Atene, i fascisti romani si recano in delegazione all'ambasciata italiana
per presentare una nota di protesta "contro il modo in cui la RAI-TV diffama
il regime greco". Qualche giorno dopo appendono sul petto del ministro
Pattakos un distintivo di Nuova Caravella: nella foto ricordo della cerimonia
si vede anche Mario Merlino (Merlino quando sarà interrogato dal giudice
dichiarerà che "non vi furono conferenze e non fummo ricevuti da
personalità"). Ad Atene i giovani fascisti italiani prendono anche
contatti col movimento nazista greco "4 Agosto" diretto da Costantino
Plevris. Da quel momento, tornato a Roma, Mario Merlino cambia pelle. La cambia
fisicamente, perché comincia a vestire in modo dimesso e si fa crescere
i capelli, poi anche barba e baffi. E la cambia politicamente: non sono passati
quindici giorni dal rientro da Atene che ha già fondato il gruppo XXII
Marzo (da non confondersi con il 22 Marzo, che verrà molto più
tardi). Un volantino diffuso nella città universitaria rappresenta la
sua prima carta politica: il gruppo proclama di "rifarsi alle esperienze
del Maggio francese e, in particolare, alle sue punte più avanzate: Daniel
Cohn Bendit e gli arrabbiati di Nanterre". L'esordio in piazza avviene
qualche giorno dopo, nel corso di una manifestazione di protesta indetta dal
movimento studentesco romano davanti all'ambasciata francese. Dietro a Mario
Merlino, che sventola una grande bandiera nera con la scritta XXII Marzo, ci
sono gli esponenti più rappresentativi del gruppo, e del neofascismo
romano: Stefano Delle Chiaie, Serafino Di Luia, Loris Facchinetti e l'ex legionario
e parà Buffa, detto il Lupo di Monteverde. Mentre gli studenti si disperdono
sotto le violente cariche della polizia. Il XXII Marzo celebra il battesimo
del fuoco incendiando con bottiglie molotov due auto parcheggiate a diverse
centinaia di metri dal teatro degli scontri.
Il giorno dopo i quotidiani di Roma parlano in toni apocalittici
di "piano preordinato", di "guerriglia cittadina", di "inutili
vandalismi" e della "cieca violenza con cui i teppisti, manovrati
dal PCI, hanno danneggiato e incendiato auto di privati cittadini"
(Il Tempo)
La provocazione non passa inosservata, gli studenti hanno riconosciuto
fra i seguaci di Mario Merlino i più noti esponenti del neofascismo romano e il XXII
Marzo, a neppure un mese dalla sua fondazione, cessa di esistere. Merlino non si
scoraggia, da Cohn Bendit passa al libretto rosso del presidente Mao Tse Tung, da leader
mancato si trasforma in semplice militante di base e avvicina un esponente del gruppo di
sinistra Avanguardia Proletaria vantando certi contatti politici che egli dice di avere
con la redazione dell'Etincelle, una rivista marxista-leninista svizzera.
L'approccio fallisce: i suoi precedenti sono noti all'esponente di Avanguardia Proletaria.
Merlino ci riprova con il Partito Comunista d'ltalia (linea
rossa).Qui non lo conosce nessuno e oltretutto lui si offre come semplice diffusore
della rivista di Verona Lavoro Politico, in attesa di essere ammesso
nel partito. Ma ancora una volta si tradisce. Viene fermato durante gli scontri
con la polizia che seguono un tentativo di assalto contro la direzione del PCI
in via delle Botteghe Oscure organizzato da diversi gruppi fascisti, al termine
di un comizio di Arturo Michelini. Il nome di Mario Merlino compare nella lista
degli arrestati pubblicata da tutti i giornali. D'ora in poi sarà più
prudente nel mantenere i contatti con i suoi "ex" camerati.
Mario Merlino fascista e provocatore
La pausa estiva, della quale Merlino approfitta per compiere uno dei suoi abituali viaggi in Germania, gli è utilissima per cercare di farsi dimenticare. Per la rentrée, nell'autunno-inverno 1968, sceglie la facoltà di Magistero occupata dal movimento studentesco. Il terreno è propizio essendo la facoltà di piazza Esedra decentrata non solo fisicamente ma, in parte, anche politicamente rispetto alla città universitaria. Mentre occupa, Mario Merlino collabora a qualche seminario sulla riforma dei piani di studio e intanto propone ad alcuni studenti di partecipare a un "corso" che egli sta organizzando.
Testimonianza n. 1:
"Un giorno ci prese da una parte e ci disse che se
volevamo lezioni sul modo di fabbricare ordigni esplosivi lui sarebbe stato
in grado di darcele. Aggiunse che un suo amico di 35 anni, che abitava fuori
Roma, aveva un deposito di armi, tritolo e gelatina esplosiva, e che sarebbe
stato disposto a fornirceli e a partecipare lui stesso alle azioni, purché
organizzate seriamente, dato che la polizia lo teneva d'occhio... ".
Qualcun altro intanto teneva d'occhio Mario Merlino. Un giorno,
mentre si sta formando un corteo del movimento studentesco, l'assistente universitario
M. D. gli confisca una bottiglia molotov che gli spunta da una tasca dell'eskimo.
La provocazione riesce poco dopo, durante la manifestazione di protesta contro
la visita del presidente Nixon a Roma Merlino lancia una bottiglia incendiaria
contro la vetrina della ditta americana Mlinnesota e la polizia, che segue da
vicino gli studenti, dà il via alle cariche che si concludono con decine
di fermi. Alla fine di febbraio 1969 Merlino si ripete in un altro "a solo":
al termine di una protesta davanti alla sede della RAI-TV, quando già
il corteo si sta sciogliendo, lancia con una fionda un bullone di ferro che
infrange il parabrezza di una jeep della polizia. Seguono cariche, scontri,
feriti. fermi e denunce. Fa il bis un mese dopo, nella manifestazione per i
fatti di Battipaglia. Cambia solo il bersaglio, il parabrezza di un furgone
della polizia invece che quello di una jeep, ma il risultato è identico.
Questa volta però viene fermato anche lui, denunciato e processato per direttissima:
esce di galera il primo aprile, con una assoluzione e un'ottima referenza che
gli serve per entrare in un collettivo di studenti comunisti che stanno preparando
un esame di filosofia.
Nessuno sospetta di lui fino al giorno in cui smarrisce un'agendina
che contiene tutti nomi e i relativi numeri di telefono dei più noti esponenti
del neofascismo romano. (vedi appendice - Il taccuino
di Mario Merlino). Messo alle strette, Merlino fa una pubblica autocritica:
ammette di aver svolto "per un certo periodo" il ruolo di provocatore
ma sostiene di essersi pentito e di mantenere coi camerati solo rapporti di
amicizia, non politici. Per rafforzare la tesi della "conversione"
aggiunge: "Quando fui fermato per la manifestazione di Battipaglia un funzionario
della squadra politica mi promise che non mi avrebbero denunciato e che, anzi,
mi offrivano centomila lire al mese se accettavo di svolgere la funzione di
confidente negli ambienti del movimento studentesco. Io rifiutai decisamente,
preferendo la denuncia".
Allontanato dal collettivo Merlino parte per Rimini, dove
dice di avere una casa. Al ritorno avvicina alcuni iscritti all'Unione dei Comunisti
Italiani. Si informa sul loro programma politico e consistenza organizzativa,
chiede di entrare a farne parte. Ma ormai le notizie sulla presenza di spie
e provocatori, veri e presunti, si sono moltiplicate e hanno creato allarme.
La richiesta di Merlino viene accolta con riserva, si vuole prima accertare
la consistenza delle voci che circolano sul suo conto.
L'attesa non è lunga. Nel mese di maggio, subito dopo l'attentato al
palazzo di Giustizia di Roma. Mario Merlino chiede ad un iscritto all'Unione un grosso
favore: ha paura di subire una perquisizione e deve nascondere del materiale
compromettente. E' disposto il compagno a tenerselo per qualche giorno, sino a quando si
saranno calmate le acque? Quello dell'Unione dice apposta di si e Merlino gli consegna
alcuni metri di miccia e un numero considerevole di detonatori. Due giorni dopo la polizia
compie una perquisizione nella casa del compagno il quale però si era sbarazzato del
materiale il giorno stesso in cui l'aveva ricevuto.
Merlino con la sinistra marxista-leninista ha finito, I'Unione lo
diffida dal presentarsi alla sede, dal frequentare le manifestazioni e dall'avvicinare i
suoi iscritti.
Ritenta con le briciole. Alla vigilia del 2 giugno si è aggregato a un
gruppetto di radicali che ha un incontro con alcuni comunisti della Federazione Giovanile
per concordare una azione di volantinaggio comune da farsi durante la sfilata militare ai
Fori Imperiali. L'appuntamento è stabilito per l'indomani mattina alle 8, davanti alla
sezione Campo Marzio. Ci va anche la polizia, che sequestra i volantini e porta tutti in
questura. per rilasciarli solo a sfilata conclusa (e per provocare una interpellanza alla
Camera dove i deputati comunisti denunciano questo inammissibile fermo preventivo).
Merlino no, non si è presentato all'appuntamento, quella mattina si è svegliato tardi.
Quando, precedentemente, era avvenuta la serie di attentati dinamitardi
contro i distributori di benzina, proprio mentre era in corso un'aspra vertenza sindacale
che opponeva i piccoli gestori alle grandi società petrolifere Mario Merlino venne
invitato dalla polizia a a "collaborare" nelle indagini. Fece i nomi di F.P.,
L.R..e E.M.D., tre studenti che da tempo hanno abbandonato gli ambienti dell'estrema
destra. I tre vennero subito arrestati ma alla fine risultarono totalmente estranei agli
attentati. Come mai Merlino sempre così scrupoloso, quella volta ha messo la polizia su
una falsa pista?
La risposta salta fuori qualche tempo dopo, quando viene
identificato il vero responsabile. E' Mario Palluzzi, organizzatore di un vero
e proprio racket che estorceva denaro ai gestori che non partecipavano allo
sciopero con minacce di rappresaglie dinamitarde. Ma Mario Palluzzi è
anche qualcos'altro: è il capo dell'UNSI, il sindacato dei benzinai fascisti,
ed è un ex di Avanguardia Nazionale, oltre che intimo amico di Stefano
Dalle Chiaie, a sua volta legato a Merlino. Il chiosco dove prestava servizio
era, tra l'altro abituale luogo di riunioni per un gruppo di fascisti dell'ex
Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo.
Affrontato da uno degli studenti che ha denunciato. Mario Merlino si giustifica
dicendo che la delazione gli è stata estorta dalla polizia durante una
delle sue crisi di epilessia, e rilasciata anche una dichiarazione autografa
in cui ammette di essere un confidente.
Nel settembre 1969 a Mario Merlino, ormai definitivamente
bruciato in tutti gli ambienti della sinistra extraparlamentare, sono rimasti
solo gli anarchici come possibile terreno di infiltrazione e provocazione. Avvicina
il giovane G., si fa passare per perseguitato dalla polizia e chiede di essere
presentato al circolo Bakunin di via Baccina
Testimonianza n. 2:
"All'inizio aveva un atteggiamento riservato anche se cordiale. Si definiva
anarchico ma non partecipava quasi mai alle discussioni sulle teorie e la prassi
libertarie; mi sembrò che avesse nozioni molto vaghe sulla storia dell'anarchia. Era un
abile parlatore ma quando si approfondiva questo argomento o lasciava cadere il discorso
oppure si limitava a darmi ragione".
Nel frattempo Merlino trova il tempo per partecipare ai convegno
studi organizzato dal MSI al Terminillo, durante il quale Giulio Caradonna tiene
una relazione sul tema "Genesi del colpo di stato"
Quando Merlino arriva al Bakunin gli iscritti al circolo
sono divisi in due frazioni. C'è una maggioranza, che è posta
sotto accusa da un gruppo dei giovani, tra cui Pietro Valpreda e Emilio Bagnoli.
Burocratismo, dirigismo, incapacità di cogliere le nuove prospettive
politiche create dall'esplosione delle lotte operaie e studentesche: queste
le accuse dei giovani che a loro volta vengono tacciati di avventurismo dai
più anziani. L'ingresso di Mario Merlino, che si lega subito al gruppo
degli "arrabbiati", contribuisce a peggiorare sensibilmente la situazione.
Alle denunce di essere ancora in contatto coi fascisti e confidente della polizia,
lui replica dicendo che "i vecchi" del Bakunin usano la calunnia per
coprire le vere ragioni del loro dissenso, che sono politiche. Merlino è
il primo a sostenere esplicitamente la necessità di una scissione, onde
formare un nuovo circolo. Per questo si offre anche di reperire i fondi necessari,
150.000 lire che gli sarebbero state promesse da un imprecisato "gruppo
cattolico". Nonostante la crisi, l'attività politica del Bakunin
prosegue, tra i baraccati della periferia romana e gli operai della Fiat in
sciopero. Merlino comincia a fare delle proposte.
Testimonianza n. 3
"Mi chiamò da parte e mi chiese se ero disposto a partecipare
a una azione notturna contro la Fiat. Si trattava di lanciare delle bottiglie Molotov. Io
avrei dovuto accompagnarlo con la mia macchina. Gli risposi che non ero d'accordo e lui
non insistette. Mi disse tuttavia che gli dispiaceva di avermi sopravvalutato".
Sempre assiduo della vita del circolo, solo il sabato e la
domenica Merlino non si fa vedere, dice che va a trascorrere il week-end ai
Castelli Romani per fare un po' di footing e ossigenarsi. Invece partecipa ai
campeggi "a cielo aperto" dell'associazione neofascista e paramilitare
Europa Civiltà nell'Alta Sabina e nel Parco Nazionale degli Abruzzi,
organizzati dal suo vecchio amico Loris Facchinetti. Quando rimane a Roma, la
domenica mattina va alla messa delle dieci nella chiesa del convento delle suore
di via Montanelli, luogo di convegno di un gruppo di cattolici integralisti.
Merlino è un fervido commentatore dei brani evangelici che vengono discussi
collettivamente. Ma la sua fede non gli impedisce durante lo sciopero della
fame degli anarchici sulle scalinate del Palazzo di Giustizia, di esibirsi con
in mano cartelli con lo slogan "Ne' dio né stato, né servi
né padroni". Il lungo sciopero della fame è fatto, a Roma
come a Milano, per protestare contro la carcerazione illegale degli anarchici
incolpati degli attentati del 25 aprile. In quei giorni Merlino ripete le sue
proposte ad altri giovani del Bakunin.
Testimonianza n. 4
"Merlino mi confidò che aveva intenzione di organizzare un corso per la fabbricazione di bombe e che di questo progetto aveva già parlato a R. Disse che Stefano nelle Chiaie, quando militavano assieme nelle organizzazioni fasciste, lo aveva istruito su questo argomento e che sarebbe stato in grado di farci delle lezioni. Aggiunse che aveva una pellicola da sviluppare dove erano illustrati vari modi di fabbricazione degli ordigni esplosivi".
Testimonianza n. 5
"Merlino una volta invitò me e altri due anarchici
del circolo Bakunin in casa sua per discutere "alcune cose molto riservate".
Non ricordo con esattezza il periodo ma credo che fossero gli ultimi giorni
di settembre o i primi di ottobre. Quando arrivammo da lui lo trovammo assieme
a un suo amico, un certo Roberto, che si presentò come un ex camerata convertitosi
all'anarchia. Disse che aveva un'edicola di giornale all'EUR. Dopo un breve
preambolo Merlino ci propose la costituzione di un commando terroristico, dicendo
che una persona a lui molto vicina era in possesso di materiale informativo
sulla fabbricazione di ordigni esplosivi. Il suo amico aggiunse che egli era
in grado di procurarsi del "materiale". Merlino ci invitò a casa sua
due volle. La prima volta ci propose una azione di sabotaggio alla Fiat di viale
Manzoni, organizzata in questo modo: alcune auto avrebbero bloccato le vie adiacenti
per ostacolare l'arrivo della polizia, mentre gli altri compagni sarebbero penetrati
all'interno e dopo aver tagliato con dei coltelli i tubi dei distributori avrebbero
appiccato il fuoco alla benzina fuoriuscita. Così- ci disse - sarebbe
saltato tutto in aria. La volta successiva ci propose di assaltare una caserma
situata nei pressi di casa sua, della quale diceva di avere una pianta dettagliata,
per portare via armi e munizioni. In quella occasione era presente alla riunione
un altro suo amico, che noi non conoscevamo, il quale disse di essere in possesso
delle piante di vari tralicci della televisione che si potevano far saltare.
Aggiunse che se le era procurate quando lavorava come disegnatore, presso l'ingegnere
che aveva realizzato il traliccio Tv di Viareggio. Noi, comunque. lasciammo
cadere queste proposte perché contrarie al nostro concetto di "azione
esemplare".
Infatti, l'unica azione esemplare che il gruppo di anarchici
realizzò, è la costruzione, eseguita nottetempo, di un muro di mattoni
in mezzo al cortile di un caseggiato popolare, i cui inquilini erano stati sfrattati
a scopo speculativo. (10).
Il 23 ottobre 1969, per l'anniversario della battaglia di El Alamein,
è previsto a Roma un raduno nazionale di paracadutisti e i fascisti si mobilitano per
dare un tono nostalgico alla manifestazione. G!i "arrabbiati" del Bakunin
decidono di diffondere un volantino di protesta e Mario Merlino si offre di stenderne il
testo. Quando le copie sono già stampate e pronte per essere distribuite, vengono
bloccate da alcuni anarchici che giudicano il contenuto politicamente scorretto e
provocatorio, e impongono che sia tolta la firma "Circolo Bakunin".
Il nuovo episodio esaspera la polemica all'interno del Bakunin.
Negli stessi giorni poi esce sulla rivista giovanile Ciao 2001 una inchiesta
sui gruppi minoritari di destra e fra essi è citato il "gruppo anarco-fascista
XXII Marzo, fondato da Mario Merlino". Si tratta di una inesattezza, nel
senso che il gruppo non esiste più da oltre un anno, ma è un'altra
occasione (prefabbricata?) per aggravare i dissensi all'interno del circolo.
Merlino fa l'indignato e cerca di coinvolgere altri nella sua protesta sostenendo
che è giunto il momento di dare una forma consistente al loro dissenso.
Inoltre dice. c'è la prospettiva di chiedere una smentita e un risarcimento
danni alla rivista che lo ha "diffamato". Ciao 2001 per evitare noie,
pubblica un nuovo articolo, consistente in una intervista collettiva al gruppo
dei dissidenti del Bakunin con relative fotografie in cui abbondano i pugni
chiusi e i medaglioni con la A cerchiata. Tutto viene ricompensato con 40.000
lire.
I soldi serviranno per pagare il primo affitto di una sede e il circolo
creato dagli scissionisti del Bakunin si chiamerà 22 Marzo, dove i numeri arabi
sostituiscono quelli romani del vecchio gruppo fondato da Merlino nella primavera 1968.
Con lui se ne vanno Pietro Valpreda, Emilio Bagnoli, Roberto Gargamelli. Emilio Borghese e
un'altra quindicina di giovanissimi In attesa di trovare una sede decidono di riunirsi nel
negozietto di lampade liberty di via del Boschetto che l'anarchico Ivo Della Savia,
rifugiato all'estero renitente alla leva, ha lasciato al suo amico Pietro Valpreda.
Mario Merlino prima delle bombe
Tra il 9 e il 10 novembre Mario Merlino parte per il Nord. Dice che va a Modena e poi a Venezia per partecipare ai lavori di coordinamento del gruppo di sinistra Lotta Continua. Ma è falso, la sua presenza a Venezia è esclusa. Il 18 novembre, vigilia dello sciopero generale nazionale per la casa (Merlino è tornato a Roma da due giorni), gli anarchici del nuovo 22 Marzo tengono due riunioni. La prima, allargata, per discutere i modi di partecipazione al corteo autonomo. organizzato dal movimento studentesco, la seconda ristretta, alla quale intervengono solo Merlino e altri due.
Testimonianza n. 6
"Merlino ci rivelò che, da fonti sicure, aveva appreso di una
provocazione che i fascisti stavano organizzando contro il corteo. Bisognava prepararsi a
respingerla, disse. Propose di preparare delle molotov da tenere a disposizione. durante
il corteo, in caso di necessità. Ci lasciammo dandoci appuntamento la mattina successiva
alle 8 nel negozio di via del Boschetto, dove dovevano trovarsi anche gli altri".
Il mattino del 19 all'appuntamento in via del Boschetto ci
sono tutti meno Mario Merlino che anche questa volta, guarda caso, non si è
svegliato in tempo. Arriva, al suo posto, la polizia che perquisisce il negozio
e ferma tutti i presenti. In questura. durante l'interrogatorio, agli anarchici
viene contestata l'intenzione di aver voluto compiere attentati con bottiglie
molotov. (11)
Il 22 novembre Merlino si presenta nella sede del circolo
in via del Governo Vecchio, appena inaugurata, con un nuovo personaggio. Si
chiama Pio d'Auria, ha 24 anni, fa il venditore ambulante di libri per la casa
editrice Rizzoli, è un fascista. Fisicamente ha una certa somiglianza
con Pietro Valpreda. (12) Merlino lo presenta come
"un ex camerata in crisi che guarda con simpatia all'anarchia". Il
nuovo arrivato comincia a frequentare le riunioni del 22 Marzo ma si tiene in
disparte, non partecipa alle discussioni. Si avvicina il giorno del grande raduno
nazionale dei metalmeccanici: centomila operai sfilano per le vie di Roma. E'
un momento di estrema tensione politica per l'Italia: i sindacati gestiscono
le lotte contrattuali ma gli slogan delle avanguardie rivoluzionarie sono stati
fatti propri da migliaia di operai.
Testimonianza n. 7
"Il giorno dello sciopero nazionale dei metalmeccanici, 28
novembre, ero assieme agli altri al corteo sindacale quando Merlino propose di andare a
pranzo ai Castelli Romani. Partimmo con la mia macchina: Merlino, Pio d'Auria, Emilio
Borghese e io. Merlino propose di andare a Frascati. Lì giunti telefonò a un suo amico.
Dopo la telefonata ci disse di aspettarlo perché doveva
andare a parlargli. (13) Stette via una mezz'ora. Quando
ritornò andammo a mangiare in una trattoria e quindi ripartimmo per Roma. Durante
il viaggio di ritorno Merlino ci propose: " è l'occasione giusta
per scatenare un gran casino; fermiamoci a un distributore di benzina, facciamo
il pieno, prepariamo quattro molotov e confondiamoci tra la folla del comizi
(dei metalmeccanici in piazza del Popolo: n.d.r.). Appena capita l'occasione
giusta, le tiriamo addosso a qualche camionetta della polizia". Pio d'Auria
mi sembrò particolarmente entusiasta dell'idea. Io e Borghese rifiutammo giacché
l'iniziativa ci parve assolutamente improduttiva dal punto di vista politico.
Fummo comunque ostacolati dal traffico e quando arrivammo la manifestazione
era finita"
Da quel giorno Mario Merlino non si fa più vedere
al circolo: strano, è sempre stato un frequentatore assiduo. Il 2 dicembre
telefona a Emilio Bagnoli dicendogli di essere malato: però rifiuta, ringraziando,
ogni visita dei compagni. Questi, preoccupati per la sua salute, sei giorni
dopo vanno ugualmente a casa sua. Lo trovano in piedi, sanissimo. Sono appena
guarito, dice Merlino, e si fa finalmente vivo, il pomeriggio di mercoledì
10 dicembre, nella sede di via del Governo Vecchio che è ancora in fase
di allestimento. I compagni gli rinfacciano, scherzando, di essersi dato malato
per non lavorare con loro. Merlino lascia 3.000 lire come contributo al circolo
e se ne va dicendo che ancora per qualche giorno non si farà vedere perché
si sta "lavorando" alcuni cattolici che dovrebbero dare dei soldi.
Chiede anche notizie di Valpreda e gli rispondono che il Pietro è in
partenza per Milano dove è stato convocato dal giudice per un certo processo,
una vecchia storia.
Siamo alla vigilia della strage del 12 dicembre.
Roma, verso le 9,30 di giovedì sera 11 dicembre 1969.
Alla fermata di viale Manzoni vicino a via Liberiana, un ragazzo magro coi capelli
lunghi e gli occhiali, infagottato in un eskimo color verde, aspetta il tram
che porta verso via Tuscolana. Quando sale a bordo, tre passeggeri, giovani
come lui, lo guardano incuriositi: a ognuno quella faccia sembra nota, ma sul
momento non riescono a identificarla. Infine uno dei tre si ricorda. "Ahò,
ma quello è Merlino". I tre lo chiamano e il ragazzo con l'eskimo
si avvicina. Ma appare imbarazzato, nervoso e al loro tentativo di fare conversazione
risponde ogni volta in modo da far cadere il discorso. E' strano: Mario Merlino,
che di solito è così loquace, questa sera non parla, quasi fosse
infastidito per l'incontro imprevisto. "Beh, come va col 22 Marzo?",
gli chiedono. "E' un periodaccio, non si combina nulla", risponde.
"Noi scendiamo. Tu che fai, dove vai?". "Niente, vado a trovare
certi amici miei". I tre ragazzi scendono e il tram prosegue la sua corsa
verso via Tuscolana con a bordo Mario Merlino.
Dove sta andando? Chi sono gli "amici" con cui
si deve incontrare? Dato che si tratta di stabilire come uno degli imputati
ha trascorso la sera precedente gli attentati, sarebbe logico supporre che chi
svolge le indagini abbia rivolto a Mario Merlino domande del genere. Invece,
dai verbali di interrogatorio resi noti non risulta che gli sia stato chiesto
nulla in proposito. Gli inquirenti, mentre sono stati molto scrupolosi nel porre
a Merlino domande su episodi e circostanze che riguardano soprattutto gli altri
cinque inquisiti (Valpreda, Mander, Bagnoli, Borghese e Cargamelli), lo sono
stati molto meno nel chiedere sia ai cinque che a lui delle testimonianze sulla
sua persona e sulla sua attività. (14) Sino dal primo
momento, quando la sera di venerdì 12 dicembre viene fermato e interrogato
dalla polizia, Merlino svolge la parte del delatore, parla e parla. e sarà
soprattutto grazie alle sue "confessioni" che si arriverà a
incastrare gli altri ragazzi del circolo 22 Marzo. Ma perché non si è
cercato di scoprire fino in fondo chi è Merlino? Perché non si
è andati a indagare nemmeno su cosa egli può aver fatto quella ssera
di giovedì 11 dicembre. dopo che è stato visto sul tram che porta
verso via Tuscolana? Chi può avere incontrato in quella zona di Roma?
Presumibilmente la sua meta avrebbe anche potuto essere una
di queste tre. Primo: via Tor Caldara. che è nei pressi della via Tuscolana,
dove abita Pio d'Auria, il suo amico fascista che è stato indicato come
uno dei possibili sosia di Pietro Valpreda. Secondo: via Tommaso da Celano,
che è sempre nei pressi di via Tuscolana,dove al numero civico 119. risiede
Stefano Delle Chiaie, il più noto boss del neofascismo della capitale,
anch'egli molto legato a Mario Merlino. Terzo: via Tuscolana n. 572, dove c'è
l'abitazione di Leda Minetti. Lo stesso posto dove egli dirà di essersi
recato il pomeriggio del giorno dopo, onde avere un alibi per il momento degli
attentati, fornito dai due figli Minetti e dalla donna stessa. (15)
Se anche il giovedì sera Merlino è venuto qui, può benissimo essersi
incontrato con Stefano Delle Chiaie che da dieci anni è l'amico della
Minetti e ne frequenta abitualmente la casa. (16)
Insistere su questa possibilità ha un significato ben preciso. Vuol
dire che, se le indagini su Mario Merlino fossero state più approfondite, sarebbe per
forza venuta alla luce, spuntando da sotto la superficiale crosta
dell'"anarchia", la sua vera figura di fascista e perciò di provocatore
infiltrato con uno scopo ben preciso nell'ambiente del 22 Marzo. E a questo punto
automaticamente, l'inchiesta non avrebbe potuto non tener conto della necessità di
estendersi anche agli ambienti e ai personaggi del neofascismo della capitale.
I fascisti, ma chi sono questi fascisti romani del dicembre
1969? Per capirlo bisogna fare un po' di storia, partendo dalla primavera
(1) Il commissario aggiunto Luigi Calabresi ha 32 anni. Nel 1966 era collaboratore del giornale del PSDI La Giustizia e nel 1968, con pseudonimo, del quotidiano romano della catena editoriale Monti, Momento-Sera. Il settimanale Lotta Continua lo ha più volte definito il "commissario CIA", riferendosi ad un "corso di aggiornamento" da lui frequentato per alcuni mesi negli Stati Uniti. Nel 1966. L'anno successivo, in occasione di un viaggio in Italia del generale americano Edwin A. Walker, il Calabresi gli fece da accompagnatore ufficiale. Fu lui a presentarlo al generale Giovanni De Lorenzo, con il quale il "braccio militare" di Barry Goldwater si incontrò ripetutamente in un appartamento romano in Via di Villa Sacchetti 15.
(2) Marcello Guida, uomo di fiducia di Mussolini, ricoprì, negli ultimi anni del ventennio, l'incarico di direttore del confino politico di Ventotene.
(3) E' esattamente ciò che si è verificato in Italia nei mesi successivi alla strage di Milano. Alle decine di denunce, arresti e condanne contro militanti della sinistra extra-parlamentare - quasi tutti per reato di opinione - seguirono in breve le denunce contro iscritti al PCI, giornalisti dell'Unità, sindacalisti e operai (circa 14.000, secondo quanto denunciato e documentato da CGIL, CISL e UIL).
(4) Soltanto i coniugi Corradini. indicati dagli inquirenti e dalla stampa come i mandanti degli attentati, verranno scarcerati dopo 7 mesi, per "mancanza di indizi".
(5) Di proprietà del cementiere lombardo Carlo Pesenti.
(6) A tre anarchici, fermati e condotti alla questura di Milano un'ora e mezza dopo l'attentato di Piazza Fontana, il commissario Calabresi chiese insistentemente notizie di una persona soltanto: Pietro Valpreda. Benché il ballerino, in passato non fosse mai stato implicato in attentati, il funzionario disse loro testualmente: "Perché permettete che un pazzo sanguinario come Valpreda frequenti i vostri ambienti?"
(7) Le accuse verranno formalmente precisate soltanto parecchi mesi dopo l'arresto.
(8) Nel 1965. sul giornale Azione (sovvenzionato dal Ministero dei Lavori Pubblici dell'on. Togni) Mario Merlino scriveva: "(...) L'avvento del cesarismo sembrava concretarsi nelle forme dei regimi sorti in Italia e in Germania a rivendicare la dignità dei valori organici della nostra civiltà, quali il senso dell'onore c della fedeltà, l'amore per la propria razza. l'impulso dinamico dominante che ha caratterizzato tutta la storia dell'occidente moderno. onde ci fu chi stupì per il crollo dcl fascismo e del naizonal-socialismo ed il ripresentarsi delle forme ormai superate delle democrazie parlamentari nei rispettivi paesi".
(9) Esponenti di maggior rilievo dell'organizzazione erano Arthur Ehrahrd ed Helmuth Sunderman. ex-addetto stampa di Hitler e direttore della Casa Editrice Druffel Verlug.
(10) Fu attivamente presente in quella occasione, il "tutore dell'ordine" Salvatore Ippolito. alias studente anarchico Andrea Politi (vedi IV capitolo - La spia del 22 Marzo) che si incaricò di trasportare personalmente i mattoni sul luogo prescelto.
(11) Il merito di aver sventato questo "attentato" sarà attribuito dalla polizia al già citato Salvatore Ippolito. Mario Merlino quella stessa mattina, all'interno dell'Università, fu visto entrare nell'ufficio del vice-questore Mazzatosta dove si trattenne per circa mezz'ora.
(12) Nel marzo 1970 alcuni giornali, hanno indicato Pio d'Auria come un probabile sosia di Valpreda. D'Auria, subito difeso a spada tratta dal quotidiano di Roma, Il Tempo, che gli ha fornito un avvocato, ha sporto querela. Sembra avere un alibi di ferro: afferma che il giorno degli attentati era a letto malato, come può testimoniare il medico che lo ha visitato. Non si spiega però perché , il giorno successivo alle rivelazioni dei giornali sul suo conto, abbia tentato "inutilmente" di convincere una ragazza, tale F., a testimoniare sulla sua presenza a Roma il 12 dicembre. La Stampa di Torino e L'Unità pubblicarono infatti la notizia che egli il giorno degli attentati si trovava a Milano. L'unico fatto accertato è che Pio D'Auria, il 4 dicembre 1969 partì in auto da Roma dicendo a tre persone, sue amiche, che si recava in Germania, a Monaco, e quindi a Milano. Dopo quel giorno, la prima volta che gli anarchici del "22 Marzo" lo rividero fu il 29 dicembre, quando lo incontrarono in Piazza dei Cinquecento intento a vendere libri. In quella occasione egli si allontanò velocemente fingendo di non conoscerli e il giorno successivo si trasferì con il camioncino in Via Appia. Pio D'Auria nel 1962 aveva aderito All' Avanguardia Nazionale fondata da Stefano Delle Chiaie e nel '64 aveva partecipato ai corsi di tecnica degli esplosivi che si tenevano nella sezione di Via Gallia. Nel 1966 fu fermato dalla polizia perché implicato negli scontri culminati con la morte di Paolo Rossi e, due anni dopo, prese parte, sempre insieme ai fascisti di Avanguardia Nazionale, alla "battaglia di Valle Giulia". Nel luglio '69 era in Corso Traiano, a Torino, durante i gravi incidenti scoppiati nel giorno dello sciopero generale per la casa.
(13) Si tratta di Sandro Di Manzana, un altro fascista infiltrato nel Movimento Studentesco della facoltà di Magistero, molto legato a Serafino Di Luia.
(14) Il trattamento riservato a Mario Merlino dagli inquirenti, nel corso degli interrogatori ha dell'incredibile. Dai verbali, pubblicati integralmente da tutta la stampa italiana, risulta che non gli è stato chiesto né cosa abbia fatto nei giorni precedenti gli attentati, né quali fossero i suoi rapporti con elementi "estranei" al "22 Marzo", abbondantemente pubblicizzati nei giorni immediatamente successivi. Nonostante le innumerevoli, inedite rivelazioni fatte dalla stampa sul suo conto in questi mesi, egli non è stato più interrogato dopo il 9 gennaio. Il paragone con Pietro Valpreda sottoposto nei sei mesi successivi a circa 100 ore di interrogatorio pressante, lascia stupefatti. C'è da chiedersi perché Mario Merlino sia stato incriminato, dal momento che - a parte l'assoluta assenza di indizi obiettivi - non esiste contro di lui alcuna dichiarazione accusatoria - del resto mai richiesta - da parte dei testimoni e degli altri imputati. La sua posizione appare molto simile a quella di un teste a carico che si voglia "proteggere".
(15) Nel verbale di interrogatorio del 19-12-69, Mario Merlino insinua nel magistrato il dubbio che "la conferenza tenutasi nel pomeriggio degli attentati al "22 Marzo" sia stata organizzata per avere una copertura" e aggiunge "mi lasciò anche perplesso il fatto che venisse spostata improvvisamente dal Bakunin". A parte il fatto che egli era perfettamente al corrente che l'idea della conferenza proveniva da Antonio Serventi, detto "il Cobra", persona estranea al circolo e che lo spostamento "improvviso" - come gli era staio riferito telefonicamente da Emilio Bagnoli - era imputabile ad un ripensamento dell'ultimora degli anarchici del Bakunin, che non vollero concedere la propria sede per un dibattito sulla "storia delle religioni": in realtà l'unico fra i sei imputati che abbia un alibi decisamente traballante è proprio lui, Mario Merlino. Prelevato in casa dalla polizia alle ore 19 del 12 dicembre, un'ora e mezza dopo l'esplosione dell'ultima bomba romana (Altare della Patria: ore 17,24) e condotto in questura egli - a differenza di tutti gli altri fermati - verrà ufficialmente interrogato dal Dott. Improta soltanto il mattino successivo. (I verbale: ore 1l,45 di sabato 13).I,e sole domande che gli vengono rivolte riguardano il suo alibi per il pomeriggio del 12: ne fornirà uno falso. affermando di essere uscito di casa verso le 17 e di esservi tornato alle 19, dopo una passeggiata nella zona. Esce dall'interrogatorio turbato: confida a due anarchici che attendono il loro turno che la madre - interpellata telefonicamente dal dott.Improta - ha dichiarato che egli è uscito di casa prima delle ore 17. Chi ha un minimo di esperienza di uffici politici della questura conosce il trattamento che viene riservato in questi casi, ai fermati: contestazioni pressanti o, nella migliore delle ipotesi, isolamento assoluto in attesa di ulteriori verifiche. A Mario Merlino, invece, viene concesso di parlare liberamente con gli altri fermati, alcuni dei quali, la mattina successiva, lo vedranno gironzolare da solo nel cortile di S. Vitale. A 34 ore di distanza dal primo interrogatorio ne subisce un secondo (II verbale: ore 22 di domenica 14) nel corso del quale dà il via alla girandola delle accuse contro i compagni del "22 Marzo" e fornisce il suo secondo alibi. Incriminandolo per concorso in strage, il magistrato dimostrerà di non credere neppure a questo. In effetti il tempo che egli afferma di aver impiegato per recarsi dalla sua abitazione a quella della signora Minetti e viceversa, appare - ad un controllo anche superficiale - molto poco credibile. In quanto ai testi che confermano le sue dichiarazioni - Riccardo e Claudio Minetti - si tratta di due giovani fascisti, molto legati - per la particolare situazione familiare - a Stefano Delle Chiaie e abituali frequentatori assieme a Mario Merlino, dei campeggi paramilitari organizzati da Europa Civiltà. Ma quello che deve avere fatto maggiormente dubitare il magistrato della loro attendibilità è il fatto che Maria Grazia Minetti, la sorella maggiore che vive per proprio conto, quando i giornali riferirono i particolari dell'alibi fornito a Merlino dai fratelli, si recò da loro mettendone in dubbio la veridicità e fu picchiata violentemente. Resta da domandarsi, anche in questo caso. perché ai fratelli Minetti non sia stato riservato dagli inquirenti lo stesso trattamento - una denuncia per falsa testimonianza - del quale è stata fatta oggetto Rachele Torri, la zia di Pietro Valpreda.
(16) Inoltre nella zona di Roma dove il tranvetto fa capolinea, quella di Cinecittà, abitano una decina di aderenti all'Avanguardia Nazionale (come risulta dal taccuino degli indirizzi di Mario Merlino) e c'è la sede stessa dell'organizzazione fascista, affittata proprio in quei giorni.