I CAPITOLO
Le bombe del 12 dicembre
L'uomo scompare la mattina di Natale 1969, a Roma. E' uscito
come al solito alle otto con il suo cane, un setter inglese di nome Paulette,
dicendo alla moglie che sarebbe tornato verso le dieci, per la messa. A mezzogiorno
la donna comincia a preoccuparsi, si è accorta che il marito ha dimenticato
a casa il portafoglio con i documenti. All'una scende in strada, vede che la
"500" bianca non è al parcheggio e prega un vicino di accompagnarla
al parco di Villa Doria Pamphili: ma i guardiani quella mattina non hanno visto
l'uomo e il suo cane. Nessun altro nei dintorni li ha visti. La donna telefona
agli ospedali. Avverte un amico, un monsignore del Vaticano, perchè si
informi in questura. In serata denuncia la scomparsa ai carabinieri. Il giorno
dopo i quotidiani romani danno la notizia in poche righe di cronaca.
Il cadavere dell'uomo viene scoperto più di un mese
dopo, la mattina di mercoledì 28 gennaio, dall'operaio di un cantiere
edile che lo scorge in fondo a un piccolo pozzo, affiorante nell'acqua insieme
alla carogna di Paulette. Il pozzo è alla periferia di Roma, in località
Bravetta, e i carabinieri non si sono spinti sin qui perché la moglie
ha escluso che questa fosse una meta delle passeggiate con il cane, su strade
fangose per la pioggia e troppo lontane da casa.
Il corpo è in stato di avanzata decomposizione ma l'autopsia esclude
che siano presenti tracce di violenza. L'orologio da polso è fermo sulle 8,34. Chi
conduce le indagini parla subito di disgrazia:forse l'uomo, per salvare il cane caduto nel
pozzo, vi è caduto a sua volta e non è più stato capace di uscirne; ha chiamato ma
nessuno, dato che il luogo è isolato - un terreno da costruzione, con alberi e canneti -
ha sentito le sue invocazioni di aiuto.
L'uomo è Armando Calzolari detto Dino, nato a Genova
43 anni fa. Ex ufficiale di coperta della marina mercantile, poi commissario
di bordo. Da otto anni non navigava più. Il suo lavoro dichiarato era
di addetto alle pubbliche relazioni per una impresa di costruzioni di strade
e ponti. In realtà procurava e in parte amministrava i fondi del Fronte
Nazionale di Junio Valerio Borghese. Le numerose amicizie all'estero, specialmente
negli Stati Uniti, la conoscenza di diverse lingue e la facilità con
la quale stringeva rapporti, oltre alla sua provata fede di ex marò della Decima
Mas, facevano di lui un personaggio prezioso per le attività del "principe
nero".
L'ipotesi di un delitto, e per giunta di un delitto politico.
Viene avanzata esplicitamente per la prima volta a soli nove giorni dalla scomparsa
di Calzolari, il 2 gennaio 1970, con un articolo del quotidiano filofascista
di Roma Il Tempo. L'articolo sottolinea che il lavoro per il Fronte
Nazionale "aveva evidentemente portato (Calzolari) a conoscenza di alcune
situazioni i cui particolari potrebbero interessare gruppi organizzati di avversari
politici. Qualcuno, infatti, ha detto che negli ultimi tempi in cui lavorava
per il Fronte il Calzolari aveva ricevuto delle minacce: per esempio,era stato
visto rispondere al telefono ed impallidire".
Tuttavia Il Tempo non lancia accuse contro la sinistra:
"gli avversari politici" di cui parla potrebbero benissimo essere
identificati nella tormentata geografia delle organizzazioni di estrema destra
che sono proliferate in Italia negli ultimi anni. Molto diverso, dodici giorni
dopo, I'atteggiamento dell'organo ufficiale del MSI, Il Secolo d'Italia
Il giornalista Sergio Tè insiste sull'ipotesi del delitto politico e
parla esplicitamente di estrema sinistra. Ma è molto vago quando si tratta
di definire l'attività della vittima: tra i molti a "pare"
il Fronte Nazionale è scomparso, si parla solo di un indefinito "gruppo
politico". I,'articolo di Sergio Tè, ex militante del gruppo fascista
Avanguardia Nazionale, si chiede inoltre se la inchiesta senza risultati dipenda
solo da una eccessiva lentezza nelle operazioni di ricerca "oppure da una
troppo efficiente organizzazione interessata a " far sparire" certe
persone dopo essersene servita per sottrarre loro importanti informazioni".
Ma di quali informazioni poteva essere in possesso Armando Calzolari, tanto
importanti da costargli la vita?
Che di delitto si tratti, è difficile dubitare. Il
pozzo della Bravetta è nascosto agli sguardi da una scarpata sopraelevata
e da un canneto, in mezzo a un ampio terreno recintato. reso fangoso dalle piogge:
un posto tutt'altro che ideale per una passeggiata col cane, in una mattina
di dicembre. D'altra parte è molto difficile cadervi dentro, per un uomo
e tanto più per un cane da caccia. La buca, del diametro di circa m.
1.50, è ben visibile e protetta da una spalletta di mattoni alta 40 centimetri.
Il punto più profondo misura un metro e 76 centimetri, cioè poco
più della statura di Calzolari, e !'acqua stagnante non supera gli 80
centimetri. Inoltre le pareti offrono molti appigli. Improbabile morire d'inedia
lì dentro, come afferma chi ha assistito all'autopsia, specie per un
uomo come Armando Calzolari, un atleta robusto. campione di lotta giapponese
ed esperto nuotatore subacqueo.
Tre giorni dopo la sua scomparsa, il 28 dicembre, mentre i cani
poliziotto seguono inutili piste, la "500" bianca di Armando Calzolari viene
improvvisamente ritrovata in un parcheggio a 200 metri dalla sua abitazione. La moglie e i
vicini escludono di averla notata prima. Il giorno successivo la donna, Maria Piera
Romano, riceve la visita di alcuni "amici del partito". Dice loro che vuole
dichiarare a qualche settimanale di conoscere i rapitori e le loro intenzioni,
""per impaurirli e impedire che facciano del male a Armando". Gli amici,
dei quali la donna non vuole fare i nomi, la sconsigliano dicendo che la sua iniziativa
"potrebbe avere l'effetto contrario". Il 4 gennaio la signora Calzolari riceve
un'altra visita: questa volta è il capitano dei carabinieri Castino il quale, nel corso
di un lungo colloquio, cerca di convincerla a scartare l'ipotesi del delitto politico
adombrata dal Tempo e la consiglia di aver fiducia nel ritorno del marito.
L'unica persona, a parte carabinieri e camerati, che sino a oggi è
riuscita ad avvicinare Maria Piera Romano, racconta così l'incontro:
"La stanza di questo appartamento al quarto piano di
via Baglioni, al Quartiere Gianicolense, è modesta e impersonale: una
piccola libreria, una scrivania, una poltrona, un paio di tavolinetti e poche
altre cose. Mi colpisce una serie di volumi con legature nuovissime delle quali
non riesco a decifrare i titoli in carattere dorati,poi mi accorgo che i volumi
sono tutti capovolti. Altra cosa che mi sembra strana, una serie di frasi di
Kipling chiuse fra parentesi e tradotte in italiano su un foglio dattiloscritto.
La signora mi dice che conobbe Calzolari dieci anni fa e che si sposarono quando
lui era ancora commissario di bordo, la qual cosa contrasta con quanto afferma
il portiere che sostiene che non sono legalmente marito e moglie. E' agli ultimi
due anni di navigazione che risalgono tutte le "importanti amicizie"
contratte dal Calzolari. Si sono trasferiti a Roma da Genova solo due anni fa
e adesso l'attività principale del Calzolari consisterebbe in un lavoro
di pubbliche relazioni presso una ditta che costruisce strade e ponti, della
quale però la signora non vuole fare il nome. Questo lavoro lo interessava moltissimo
perché lo portava a fare quella vita mondana che aveva sempre amato.
La sua grande passione era la gente importante, con la quale amava stringere
amicizia che poi coltivava anche a distanza di anni e di continenti. Amava tutti
gli sport praticandone parecchi. in particolare la lotta giapponese nella quale
era abilissimo. Il suo lavoro consisteva quasi essenzialmente nel coltivare
e aumentare le relazioni e i contatti della "ditta" anche a livello
ministeriale. Quasi tutte le occasioni per questi incontri erano offerte da
pranzi sapientemente organizzati, quasi sempre in un ristorante assai noto (Ville
Radieuse. via Aurelia 641). Intervenivano principalmente industriali, uomini
politici e prelati. La signora ricorda di una volta in cui, lei presente, c'erano
il carrozziere Zagato e il cardinale Tisserant.(1)
"Certo mio marito era un nazionalista", dice la
signora Calzolari che preferisce usare questa parola per dire che C. era per
un governo forte e che ammirava i colonnelli greci nonchè gli israeliani.
Naturalmente non gli piacevano gli arabi e tantomeno i negri, esseri incapaci
e inferiori. La grande ammirazione per Mussolini lo portava spesso a violente
discussioni in luoghi pubblici, anche dal giornalaio se capitava. C. partecipava
anche alle manifestazioni ma pare che non abbia mai picchiato nessuno; anzi
una volta disse che stava per scattare contro la polizia ma pensando alle sue
qualità di lottatore si era frenato in tempo. Non aveva mai fatto vita
di sezione e non aveva la tessera del partito (il MSI). In quanto a lavoro politico,
la signora non esclude che ne abbia svolto ma dice di non saperne nulla. Oltre
ai rapporti con prelati del Vaticano, C. frequentava assiduamente la confraternita
di San Battista dei Genovesi in via Anicia in Trastevere e la messa della domenica
era solito ascoltarla in Sant'Andrea della Valle.
In merito alla scomparsa del C., l`opinione della signora
è molto vaga. Non esclude che suo marito, quella mattina, sia stato avvicinato
da persone che potrebbero averlo convinto con ricatti o promesse a seguirlo
per partecipare a un lavoro connesso con qualcuna delle tante conoscenze che
C. aveva all'estero e che potrebbe anche essere legato a fatti politici: un
lavoro forse per il quale lui era stato individuato come l'uomo adatto.(2)
E' escluso che sia stato portato via con la forza date le sue qualità
atletiche e data anche la presenza del cane. Mi dice che in questi giorni cerca
di controllarsi molto allo scopo di non cadere nella disperazione. E nel silenzio
pensa di trovare la verità. A volte crede di esserci vicina: ci sono
tre nomi, dice, sui quali mi sono fermata e uno in particolare. Si tratta di
un industriale che non è
a Roma, di cui non fa il nome, il quale avrebbe mandato a suo marito un regalo
il cui valore sembra del tutto sproporzionato. trattandosi di una comune conoscenza
limitata allo scambio di biglietti da visita. Le chiedo perché non sia
andata a trovare questa persona e mi offro anche di farlo io per lei, se crede
Ma non sembra propensa, dice che ci penserà e in caso mi telefonerà".
Dopo questo incontro. avvenuto verso la metà di gennaio,
nessuno riesce più a entrare in contatto con la moglie di Calzolari.
E alla fine di quel mese, trovato il cadavere nel pozzo della Bravetta e emessa
la versione ufficiale di morte accidentale, la donna si dice soddisfatta di
queste conclusioni dell'inchiesta e parte per Torino. Passano due mesi e di
nuovo avvicinata, questa volta telefonicamente, dalla stessa persona, la vedova
di Calzolari le confida di essere preoccupata perché la magistratura
non ha ancora archiviato la pratica. il che "la danneggia economicamente".
Fatto inspiegabile, visto che Armando Calzolari non risulta assicurato: a meno
di pensare che qualcuno abbia promesso alla vedova di aiutarla economicamente,
nel suo silenzioso dolore, solo quando, e a condizione che il caso fosse stato
definitivamente archiviato.
Le bombe scoppiano venerdì 12 dicembre tra le ore 16,37 e le 17,24 a
Milano e a Roma. l,a strage è a Milano, alla Banca Nazionale dell'Agricoltura
di piazza Fontana affollata come tutti i venerdì, giorno di mercato.
I'attentatore ha deposto la borsa di similpelle nera che contiene la cassetta
metallica dell'esplosivo sotto il tavolo al centro dell'atrio dove si svolgono
le contrattazioni. I morti sono dieci, molti dei novanta feriti hanno gli arti
amputati dalle schegge. L'esplosione ferma gli orologi di piazza Fontana sulle
16.37: poco dopo in un'altra banca distante poche centinaia di metri.
in piazza della Scala, un impiegato trova una borsa nera e la consegna
alla direzione. E' la seconda bomba milanese, quella della Banca Commerciale
Italiana. Non è esplosa forse perché il "timer" del
congegno d'innesco non ha funzionato. Ma viene fatta esplodere in tutta fretta
alle 21,30 di quella stessa sera dagli artificieri della polizia che l'hanno
prima sotterrata nel cortile interno della banca.
E' una decisione inspiegabile: distruggendo questa bomba così precipitosamente si sono
distrutti preziosissimi indizi, forse addirittura la firma degli attentatori.(3) In mano alla polizia rimangono solo la borsa di similpelle nera uguale
a quella di piazza Fontana, il "timer" di fabbricazione tedesca Diehl Junghans,
e la certezza che la cassetta metallica contenente l'esplosivo è anch'essa simile a
quella usata per la prima bomba. Il perito balistico Teonesto Cerri è sicuro che ci si
trova davanti all'operazione di un dinamitardo esperto.
Le bombe di Roma sono tre. La prima esplode alle 16,45 in un corridoio
sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio. Tredici
feriti tra gli impiegati, uno gravemente. Ma anche questa poteva essere una strage. Alle
17,16 scoppia un ordigno sulla seconda terrazza dell'Altare della Patria, dalla parte di
via dei Fori Imperiali. Otto minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda
terrazza ma dalla parte della scalinata dell'Ara Coeli. Frammenti di cornicione, cadendo,
feriscono due passanti. Ma questi due ultimi ordigni sono molto più rudimentali e meno
potenti degli altri.
La reazione del Paese è di sdegno per gli attentati,
di dolore per le vittime. Ma non si assiste a nessun fenomeno di isteria collettiva.
La strage non ha sbocco politico immediato a livello di massa, e soprattutto
non contro la sinistra, anche se immediatamente dopo la bomba di piazza Fontana
le indagini e le relative dichiarazioni ufficiali puntano solo in questa direzione
nella ricerca dei colpevoli.(4)
Italia 1969, un attentato ogni tre giorni
Le bombe del 12 dicembre sconvolgono e sorprendono, soprattutto per la loro ferocia, ma
sarebbe inesatto dire che giungono inattese. Rappresentano il momento culminante di una
escalation di fatti noti e ignoti che avvengono durante l'intero 1969 e che fanno parte di
un preciso disegno politico. Alcuni di essi riconsiderati oggi nella loro sinistra
successione acquistano un significato molto chiaro.
Le bombe del 12 dicembre scoppiano in un Paese dove, a partire
dal 3 gennaio 1969, ci sono stati 145 attentati: dodici al mese, uno ogni tre
giorni, e la stima forse è per difetto
Novantasei di questi attentati sono di riconosciuta marca
fascista, o per il loro obiettivo (sezioni del PCI e del PSIUP, monumenti partigiani,
gruppi extraparlamentari di sinistra, movimento studentesco, sinagoghe. ecc.)
o perché gli autori sono stati identificati. Gli altri sono di origine
ufficialmente incerta (come la serie degli attentati ai treni dell'8-9 agosto),
oppure vengono addebitati a gruppi della sinistra estrema o agli anarchici (come
le bombe del 25 aprile alla Fiera campionaria e alla stazione centrale di Milano).
In realtà ci vuole poco a scoprire che la lunga mano che li promuove
è sempre la stessa, e cioè una mano che pone diligentemente in
atto i presupposti necessari alla "strategia della tensione" che sta
maturando a più alto livello politico.
Si tirano le somme della "strategia della tensione"
Cosa significhi in concreto questa "strategia della
tensione" lo dice questo secondo elenco di fatti. anch'essi noti, che accadono
in Italia nei quaranta giorni che precedono la strage del 12 dicembre. Ai primi
di novembre la F.N.C.R.S.I., Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica
Sociale Italiana - fascista "di sinistra" - distribuisce a Roma
un volantino in cui si invitano i paracadutisti e gli ex-combattenti a "non
farsi strumentalizzare per un colpo di stato reazionario".
Il 10 novembre, in un discorso a Roma, il presidente del
partito socialdemocratico Mario Tanassi rilancia con forza un tema molto caro
al PSU: "O il centrosinistra pulito o lo scioglimento delle Camere",
con conseguenti elezioni anticipate. Cinque giorni dopo a Monza il colonnello
comandante del distretto militare afferma pubblicamente, alla presenza del procuratore
della Repubblica: "Stante l'attuale situazione di disordine nelle fabbriche
e nelle scuole, l'esercito ha il compito di difendere le frontiere interne
del Paese: l'esercito èl'unico baluardo ormai contro il disordine e l'anarchia".
Nel corso dello sciopero generale nazionale per la casa del 19 novembre, la polizia attacca i lavoratori
in via Larga a Milano e un agente, Antonio Annarumma rimane ucciso in uno scontro
tra due automezzi della stessa polizia. (5) Si diffonde la
versione dell'assassinio, e non solo da parte di uomini politici e
giornali di destra. Lo stesso presidente della Repubblica, in un telegramma
trasmesso ripetutamente alla radio e alla televisione per tutta la giornata
del 19 e del 20 novembre, oltre ad anticipare una sentenza di "barbaro
assassinio", afferma: "Questo odioso crimine deve ammonire tutti ad
isolare. e mettere in condizione di non nuocere, i delinquenti, il cui
scopo è la distruzione della vita. e deve risvegliare non soltanto
negli atti dello Stato e del governo, ma soprattutto nella coscienza dei cittadini,
la solidarietà per coloro che difendono la legge e le comuni libertà".
Il giudizio di Saragat piace molto al segretario nazionale del MSI,
Giorgio Almirante, il quale gli fa eco sul Secolo d'ltalia: "L'assassinio
dell'agente di P.S. a Milano ci indurrebbe a chiamare in causa il Signor Presidente della
Repubblica se egli, nel suo telegramma, non avesse duramente qualificati "assassini"
i responsabili. Ora occorre individuare e colpire i mandanti"
Ma chi sono i responsabili, gli "assassini", i
"delinquenti"? Secondo la CISL "L'intervento della polizia non
legittimato da fatti obiettivi non favorisce l'ordinato svolgersi delle manifestazioni
e come, per altro, l'insistenza provocatoria di gruppi estremisti - la
cui provenienza diviene sempre più dubbia - provoca effetti negativi
nell'azione dei lavoratori". Contro i gruppi estremisti si scagliano anche
Gian Carlo Pajetta, che li definisce "massimalisti impotenti", e l'Unità
che commenta così gli incidenti di Milano nel suo articolo di fondo:
"Mai come in questi giorni è apparso chiaro che l'avventurismo facilone,
il velleitarismo pseudo-rivoluzionario. La sostituzione della frase rivoluzionaria
allo sforzo paziente, sono sterili e si trasformano in un'occasione offerta
alle manovre e alle provocazioni delle forze di destra".
In questo crescendo di clima da caccia alle streghe si inserisce il
giornale ufficiale del PSU che però approfitta dell'occasione per allungare il tiro:
"L'assassinio di Annarumma chiama in causa la responsabilità diretta dei comunisti e
dei loro complici nel PSIUP, nel PSI, nella DC e nei sindacati".
La notte dopo la morte di Annarumma, in due caserme di Pubblica
Sicurezza a Milano scoppia una rivolta che, alimentata ad arte, vedrebbe gli uomini dei
battaglioni mobili scatenati per la città a fare piazza pulita degli "estremisti
delinquenti" (6).Il giorno dei funerali dell'agente il centro di Milano è teatro di
gravi disordini provocati dai fascisti che partecipano al corteo funebre coi labari della
Repubblica Sociale Italiana. I fascisti non sono i soli a seguire il feretro e a dar vita
a episodi di isteria collettiva: sotto i portici di corso Vittorio Emanuele quel giorno è
presente anche la borghesia milanese che si commuove e poi chiede "il sangue
dei rossi": signori distinti, bottegai arricchiti, pensionati nostalgici, donne
impellicciate partecipano e fomentano i tentativi di linciaggio dei malcapitati che
sembrano sospetti, che hanno "la faccia da comunista".
Il repubblicano La Malfa e il socialdemocratico Tanassi lanciano un
duro attacco contro i sindacati che stanno vivendo, sotto la spinta operaia, i giorni più
caldi delle battaglie contrattuali, con quasi cinque milioni di lavoratori mobilitati.
Nello stesso giorno, 21 novembre, un comunicato della Confindustria: "... il
potere operaio tende a sostituirsi al Parlamento ed a stabilire un rapporto diretto con il
potere esecutivo. Ciò crea un sovvertimento in tutto il sistema politico". Sul
settimanale Oggi il deputato della destra democristiana Guido Gonella lancia un
appello alla "reazione del borghese timido contro i picchetti degli
scioperanti". Da Londra il settimanale The Economist rivela l'esistenza di un
documento "segreto solo a metà" in cui un gruppo di giovani industriali
italiani proclama la necessità di un "governo forte". Pietro Nenni, in una
intervista al Corriere della Sera, traccia un paragone tra la situazione attuale e
quella del 1922. Intanto è stato dato il via alla serie di arresti e condanne per reati
di opinione: il primo a finire in carcere è Francesco Tolin, direttore di Potere
Operaio.
Ai primi di dicembre, a rendere più precario l'equilibrio parlamentare, e
come prima avvisaglia della dura campagna che sarà scatenata tra poco, compare sull'Osservatore
Romano, organo del Vaticano, un attacco contro il voto favorevole espresso dalla
Camera sul divorzio. In un paese della Lombardia, il sindaco-industriale spara contro il
picchetto dei suoi operai in sciopero.
Il 7 dicembre i settimanali inglesi The Guardian e The
Observer pubblicano il testo del dossier inviato dal capo dell'ufficio diplomatico
del ministero degli Esteri di Atene all'ambasciatore greco a Roma. Contiene
allegato il rapporto segreto sulle possibilità di un colpo di stato di destra
in Italia, inviato dagli agenti dei servizi di spionaggio dei colonnelli. "Un
gruppo di elementi di estrema destra e di ufficiali", scrive The Observer,
"sta tramando in Italia un colpo di stato militare, con l'incoraggiamento
e l'appoggio del governo greco e del suo primo ministro, I'ex colonnello Giorgio
Papadopulos" (Vedi testo integrale del dossier greco)
Mancano pochi giorni allo scoppio delle bombe. Sabato 6 dicembre Mauro Ferri,
segretario del PSU, rilascia al settimanale Gente questa dichiarazione:
"O il quadripartito o le elezioni anticipate". La decisione di scioglimento
delle Camere spetta al Capo dello Stato che ne ha il potere previsto dalla Costituzione...
e sono convinto che tutti gli italiani possono essere certi che nelle mani del
presidente Saragat il potere è ben affidato". Domenica 7 dicembre,
in un discorso a Alessandria, Ferri ribadisce il leitmotiv socialdemocratico:
"Quadripartito o elezioni anticipate" e fa un nuovo, esplicito richiamo
al presidente Saragat. Due giorni dopo, in un'intervista a La Stampa
di Torino, Ferri afferma che "non è aberrante" l'ipotesi di
una collaborazione tra democristiani, socialdemocratici e liberali, nel caso
si presenti la "drammatica necessità" di garantire la libertà
come dopo la crisi del luglio '60".
Mercoledì 10 dicembre il settimanale tedesco Der
Spiegel pubblica una dichiarazione del segretario del MSI, Almirante: organizzazioni
giovanili fasciste si preparano alla guerra civile in Italia; nella lotta contro
il comunismo tutti i mezzi sono giustificabili, per cui non ci deve essere più
distinzione tra misure politiche e misure militari. Di fianco a Almirante, il
dirigente confindustriale Ferruccio Gambarotti specifica ancora meglio: "Il
sistema parlamentare non è fatto per gli italiani. Occorre una organizzazione
sovrapartitica, una coalizione dai monarchici sino ai socialdemocratici con
una fede mitica nell'ordine".
Giovedì 11 dicembre: lo stesso "fiuto" dimostrato
da Mauro Ferri (che ha parlato di "drammatica necessità di garantire
la libertà" tre giorni prima delle bombe) lo dimostra anche il settimanale
Epoca. Mancano ventiquattro ore alla strage di piazza Fontana e il
giornale appare nelle edicole con una vistosa copertina tricolore. l.'articolo
è di Pietro Zullino e conclude così: "...se la confusione
diventasse drammatica, e se - nell'ipotesi di nuove elezioni - la sinistra non
accettasse il risultato delle urne, le Forze Armate potrebbero essere chiamate
a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non sarebbe
un colpo di Stato ma un atto di volontà politica a tutela della libertà
e della democrazia... Tuttavia il ristabilimento manu militari della legalità
repubblicana, possibile nel giro di mezza giornata, potrebbe non essere sufficiente.
La situazione generale è terribilmente intricata... Come si può garantire
un minimo di stabilità al potere economico?... Questa Repubblica, così
com'è, funziona ancora? La confusione che stiamo vivendo non sarà
dovuta al fatto che le sue istituzioni sono ormai insufficienti e superate?
Perché i costituenti crearono l'articolo 138. che prevede la possibilità
di riformare la carta fondamentale della Repubblica? Chi ci impedisce di utilizzare
l'articolo 138 per sorreggere i difetti ormai evidenti delle nostre istituzioni?
Perché non possiamo imparare qualcosa dalle grandi democrazie dell'Occidente?
Perché non ci poniamo seriamente il problema della Repubblica Presidenziale,
l'unica capace di dare forza e stabilità al potere esecutivo? Vi sono
giorni in cui la storia impone riflessioni di questo tipo. Forse questi giorni
sono venuti. Questi giorni, forse, noi li stiamo già vivendo". (7)
È.
Riletti oggi, questi fatti noti fanno pensare che la data tragica
del 12 dicembre ha avuto molti profeti, consapevoli e no. E poi ci sono alcuni fatti
ignoti che diciamo adesso, per quello che possono significare. Questi:
Roma, 15 novembre: in un appartamento nei pressi di piazza
Tuscolo si svolge una riunione alla quale partecipano Michele Caforio (generale
di divisione, paracadutista), il "comandante" Bianchini (ex Decima
Mas e uomo di fiducia di Junio Valerio Borghese nel Fronte Nazionale), un tale
Buffa detto il Lupo di Monteverde (membro dell'associazione paramilitare Europa
Civiltà), un gruppo di paracadutisti tra i quali alcuni ex repubblicani
della Nembo, ed altri militanti di gruppi di estrema destra, dei quali un paio
provengono dalla vecchia Avanguardia Nazionale. Presente anche Armando Calzolari
come membro del Fronte Nazionale. Il tema da discutere è la situazione
politica italiana alla vigilia dello sciopero generale del 19 per la casa. Tutti
sono sostanzialmente d'accordo sulla necessità di opporsi al "caos
dilagante" ma non sulla scelta dei mezzi da usare. Si crea una frattura
tra "duri" e "moderati" e questi ultimi, tra i quali c'è
Armando Calzolari abbandonano la riunione dopo un violento alterco.
Roma, 6 dicembre: i "duri" si riuniscono nella sede della Associazione Nazionale
Paracadutisti in viale delle Milizie 5. Vi partecipa, sembra, anche Junio Valerio
Borghese.
Milano, 11 dicembre, sera : riunione di ufficiali dei servizi segreti;
riunione di alti ufficiali dell'esercito, "in previsione di qualcosa di grosso che
sarebbe successo l'indomani".
Roma, 12 dicembre, primo mattino: attorno alla capitale viene
segnalato un movimento di truppe e carri armati. Roma, 12 dicembre, tardo pomeriggio:
alla notizia dei gravi attentati di Milano e di Roma, il presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat convoca il ministro degli interni Restivo, il generale Forlenza
comandante dei Carabinieri e altri. Si discute sull'opportunità di proclamare
lo stato di emergenza. Si oppongono quasi tutti i presenti. Interviene, al fine
di dissuadere, il ministro del lavoro Donat Cattin. Nello stesso senso si pronuncia
l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma.
Roma, 15 dicembre: il tenente G.A., appartenente al Fronte Nazionale,
riceve alcune confidenze da Armando Calzolari, del quale è molto amico, circa alcune
minacce che l'uomo avrebbe ricevuto negli ultimi giorni.
Roma, 20 dicembre: nell'appartamento di un funzionario di banca, il
signor D., in via degli Appennini, ha luogo una riunione alla quale partecipano Junio
Valerio Borghese, il comandante Bianchini, tre deputati del MSI, due greci e alcuni
ufficiali, dei quali due dei carabinieri e uno di pubblica sicurezza. L'argomento in
discussione non è noto.
Arrnando Calzolari scompare cinque giorni dopo, Ia mattina di Natale.
Il cadavere di Armando Calzolari viene ritrovato oltre un
mese dopo la sua scomparsa, il 28 gennaio. Verso la metà dello stesso
mese un uomo si era presentato nella redazione di un settimanale romano e aveva
rilasciato una lunga dichiarazione, registrata su nastro magnetico alla presenza
di alcuni testimoni. Il suo racconto finiva con questa frase: "Ho deciso
di parlare con voi perché mi sono accorto di avere sbagliato a frequentare
gli ambienti di destra e poi perché ho paura. Non vorrei fare la stessa
fine di Calzolari".
L'uomo si chiama Evelino Loi, è un sardo disoccupato
e ha 25 anni. Al suo arrivo a Roma era stato protagonista di una clamorosa protesta:
salito sul Colosseo aveva minacciato di gettarsi nel vuoto se non gli veniva
dato un lavoro. Lo assumono in Vaticano, come uomo delle pulizie in casa di
un monsignore. Dopo qualche giorno Loi si licenzia e comincia a frequentare
i portici della stazione Termini in compagnia di un gruppo di sottoproletari
meridionali e sardi. Vive di espedienti. Quando nell'inverno del 1968 il movimento
studentesco occupa la facoltà di Magistero in piazza Esedra, di fronte
a Termini, Evelino Loi, che proviene da una famiglia di comunisti, chiede di
partecipare alle lotte degli studenti e viene accolto. La facoltà occupata
gli serve anche come asilo notturno. Nel giro di pochi giorni organizza una
squadra coi suoi amici meridionali che aiutano gli studenti a respingere gli
attacchi dei fascisti.
Il 3 febbraio 1969, durante la visita del Presidente Nixon
a Roma, i fascisti danno l'assalto alla facoltà con razzi e bombe incendiarie.
Un anarchico, Domenico Congedo, precipita dal quarto piano e muore. La polizia,
che ha assistito all'attacco senza intervenire, coglie il pretesto per sgomberare
l'edificio. Gli studenti continuano l'occupazione alla città universitaria,
dove si trasferisce anche Evelino Loi col suo gruppo. Dopo qualche giorno 3.000
poliziotti e carabinieri irrompono all'alba: nelle aule sono presenti solo sette
ragazzi, che vengono malmenati e arrestati Tra essi c'è un operaio meridionale
del gruppo di Loi. Il movimento studentesco organizza una colletta e Loi è
uno degli incaricati: raccoglie circa 400.000 lire. Quando i sette escono dal
carcere si scopre che quei soldi non gli sono mai stati consegnati. Evelino
Loi confessa il furto e viene immediatamente allontanato. Poco dopo, il quotidiano
di destra La Luna pubblica una sua intervista nella quale egli accusa
il movimento studentesco di "teppismo" e di "fregarsene degli
operai". In cambio di quelle dichiarazioni ha ricevuto 100.000 lire.
Da quel momento Evelino Loi diventa uno dei tanti mazzieri
dei fascisti, partecipa in prima fila alle loro manifestazioni vestito della
divisa di Volontario del MSI. Nell'autunno 1969 tenta di riavvicinarsi agli
ambienti di sinistra offrendo informazioni sui fascisti ma è guardato
da tutti con sospetto: a parte i suoi precedenti, sono molti i compagni che,
fermati nel corso di qualche manifestazione, se lo sono ritrovato nella stessa
camera di sicurezza della questura a fare domande, chiedere nomi, episodi. Inoltre,
nonostante gli sia stato consegnato più volte il foglio di via obbligatorio.
ha sempre contravvenuto alla diffida riuscendo a rimanere a Roma.
E' questo tipo d'uomo che, un giorno di metà gennaio 1970, si presenta
nella redazione di un settimana!e della capitale per rilasciare una lunga confessione. Per
prudenza, non è mai stata pubblicata. Tuttavia, credibile o no, oggi è doveroso renderla
nota.
"Alcuni giorni prima dello sciopero generale del 19
novembre fui avvicinato dal comandante Bianchini e dal vicecomandante Santino
Viaggio, ex appartenenti alla decima Mas e attuali collaboratori di Valerio
Borghese nell'organizzazione di estrema destra Fronte Nazionale. (8)
Mi accennarono all'eventualità di compiere azioni terroristiche simultanee
a Roma e Milano e mi chiesero se, dietro pagamento, fossi disposto a parteciparvi.
Compresi che doveva trattarsi di qualcosa di grosso e rifiutai. I due non insistettero
e passarono circa dieci giorni finchè, subito dopo la manifestazione
dei metalmeccanici a Roma, il 29 o 30 novembre, si misero di nuovo in contatto
con me su questo argomento. Mi riproposero di partecipare ad azioni terroristiche
molto importanti e alla mia richiesta di maggiori chiarimenti dissero che "poteva
scapparci anche il morto". Mi promisero però molti soldi. Io mi spaventai
e rifiutai ancora.
"Dopo un paio di giorni mi presentai in Questura, a San Vitale, e
chiesi di parlare con il capo dell'ufficio politico, dott. Provenza. Mi rilasciarono un
regolare "passi" e fui ricevuto dal dott. Improta a cui raccontai tutto. Mi
sembrò molto scettico e mi disse di ripassare il giorno 5. Il 5 dicembre tornai in
Questura, mi feci rilasciare il a "passi" e fui ricevuto dal dottor Improta e
dal dott. Provenza. Mi chiesero se sapessi dove tenevano l'esplosivo e alla mia risposta
negativa minimizzarono la cosa e mi congedarono. Ritornai spontaneamente una terza volta,
9 dicembre, mi feci rilasciare il "passi" (9) ed andai dal
dottor Provenza. Il suo atteggiamento era sempre scettico. Il giorno 12 dicembre ci furono
gli attentati di Roma e Milano.
"Il giorno successivo, sabato 13. seppi da alcuni iscritti
alla Giovane Italia che il dottor Improta mi aveva fatto cercare nella sede
di via Firenze che io frequentavo abitualmente. Telefonai al dottor Improta
il quale mi disse di passare direttamente da lui senza farmi rilasciare il "passi",
entrando dall'ingresso secondario di via Genova. In Questura c'era una grande
confusione, mi fecero attendere un po' in una stanza da so!o e poi fui ricevuto
da Improta. Improta mi chiese di rifargli il racconto delle proposte che avevo
ricevuto in merito alle bombe. Poi mi congedò raccomandandomi di non parlarne
con nessuno. In particolare mi disse: "E' meglio per te. Non passi guai
. Poi mi fece uscire, in fretta, dalla stessa uscita secondaria. Da allora non
mi hanno più cercato."
"Il vicecomandante Santino Viaggio lo avevo conosciuto
ad un comizio di ex combattenti tenutosi al cinema Quirinale. In quella occasione
mi condusse con sé nella sede del Fronte Nazionale e volle che gli raccontassi
dei particolari sulle mie precedenti esperienze politiche. La sede del Fronte
era in via XXI Aprile. Gli dissi che avevo fatto parte del movimento studentesco
di Magistero ma che poi. deluso dalle sinistre, ero entrato nella Giovane Italia.
Gli dissi anche che ero in grado di mobilitare un discreto numero di disoccupati
disposti ad azioni anche pericolose. In effetti io assolvevo il compito di reclutatore
per la Giovane Italia. In alcune occasioni reclutai tra i sardi e i calabresi
disoccupati che frequentano la Stazione Termini e vivono di espedienti, spesso
prostituendosi, alcuni elementi per azioni violente come quelle davanti alla
RAI-TV. Santino Viaggio mi promise dei soldi e infatti il giorno dello sciopero
generale del 19. Mi diede 50.000 lire perchè portassi della gente, cosa
che feci. (10) In più di una occasione accennò con me all'eventualità
di affittare un locale nei pressi della stazione e di farci dormire dentro questi
ragazzi disoccupati in modo da averli sempre a portata di mano per eventuali
azioni. Un giorno sentii Santino Viaggio e Bianchini parlare di fare un'azione
al Parlamento con dei gas per addormentare tutti i deputati. Mi pare che qualcuno
mi disse poi che l'azione non era stata fatta per l'opposizione di alcuni deputati
del MSI.
"Dopo lo sciopero generale del 19, Viaggio, nella sede
del MSI in via Quattro Fontane, ebbe un violento litigio con Almirante. Credo
che poi si siano riappacificati perchè al comizio tenuto al Palazzo dello
Sport da Almirante, una settimana dopo gli attentati, c'era anche Viaggio. Qualche
giorno dopo gli attentati telefonai a Viaggio chiedendogli notizie sull'attività
del Fronte Nazionale e lui mi disse che non ne faceva più parte perchè
aveva litigato con gli altri. Non mi risulta che Viaggio e Bianchini siano stati
interrogati dalla polizia dopo gli attentati. Personalmente non sono più
stato nella sede del Fronte Nazionale".
"Quando mi staccai dalla sinistra (.. ) ricominciai a frequentare i portici
della stazione ed un giorno fui avvicinato da un certo King, che io sapevo essere
un poliziotto abituale frequentatore di quella zona. Egli si congratulò con
me per l'intervista (rilasciata a La Luna, n.d.r.) e mi disse più o meno:
"Bene! Hai capito finalmente di che razza sono i comunisti! ". Mi
propose quindi di entrare nella Giovane Italia e la sera stessa mi portò nella
sede centrale di via Firenze 11 dove mi presentò ad un certo Franco De Marco,
allora presidente dell'associazione. Fui accolto molto bene e non mi facevano
mancare i soldi; si fidavano molto di me. Io procuravo dei ragazzi per le azioni
e ricevevo, a seconda dei casi, tra le cento e le 300.000 lire che poi distribuivo
in parte ai reclutati. Quelli della Giovane Italia parlavano molto ma mancavano
di coraggio. Le bottiglie molotov alla sede della RAI-TV le fecero tirare ai
sardi portati da me. Io partecipavo alle discussioni e all'organizzazione ma
non agivo materialmente perchè ero troppo conosciuto e inoltre avevo
una diffida. Conobbi personalmente, in quel periodo, l'onorevole Caradonna e
Massimo Anderson, dirigente del MSI. In varie occasioni vidi fra i frequentatori
delle sedi missine dei greci, degli spagnoli e dei portoghesi".
"Franco De Marco mi portò un giorno nella sezione del MSI del quartiere Trionfale.
Quando arrivammo il locale era pieno di attivisti. C'erano due greci, uno dei quali (sui
trent'anni) stava tenendo una conferenza sul colpo di Stato dei colonnelli. Tra le altre
cose disse che per arrivare al colpo di Stato occorreva fare continue aggressioni e
attentati contro le sinistre per provocarne le reazioni e suscitare il caos. Ci fu un
dibattito molto vivace durante il quale gli fecero molte domande. Il greco sosteneva che i
colonnelli erano troppo democratici e che lui avrebbe preferito un regime più
autoritario. Alla fine del dibattito si erano tutti scaldati e alcuni tirarono fuori dei
manganelli. Uno di loro disse: "Uscite in piccoli gruppi. La direzione già la
sapete". Franco DeMarco mi prese con lui in macchina e si diresse alla sezione PCI
del Trionfale che stava poco distante da quella del MSI. Aspettammo li e dopo qualche
minuto arrivarono gli altri tutti in gruppo. Franco De Marco scese e diede il via
all'azione (segue la descrizione dell'assalto che, a una verifica, si è rivelata fedele:
n.d.r.)".
"In varie occasioni ho conosciuto degli ufficiali di
polizia, dei carabinieri e dell'esercito che frequentavano le sedi del MSI.
Nella sede nazionale, in via Quattro Fontane, veniva spesso il maresciallo Scarlino,
sottufficiale della squadra politica, a portare informazioni. Il 28 novembre,
giorno della manifestazione dei metalmeccanici, ci disse che se gli operai si
fossero mossi, loro avrebbero fatto una carneficina perché avevano l'ordine
di usare le armi. Varie volte ho visto, nel corso di manifestazioni, dei carabinieri
e dei poliziotti in divisa che avevo già visto in borghese nelle nostre
sedi. Ricordo il capitano dei carabinieri Servolino,che in più occasioni
ho visto parlare con alcuni funzionari della sede di via Quattro Fontane. Credo
che appartenga al comando carabinieri di viale Mazzini. Tra i frequentatori
del Fronte Nazionale conosco: tenente colonnello dell'esercito Giordano; tenente
colonnello Lilli; capitano Nobili, comandante la compagnia carabinieri di piazza
Venezia; generale Della Chiesa".
"La lunga dichiarazione di Evelino Loi si presta a diverse
ipotesi e merita alcune considerazioni. Prima ipotesi: Loi è un mitomane,
un pazzo irresponsabile. In questo caso si capisce perché i dirigenti
dell'ufficio politico della questura romana non hanno tenuto in nessun conto
le sue denunce. Se è così passerà i suoi guai. Tuttavia
non si è inventato tutto: alcuni episodi da lui citati (il poliziotto
King, (11) la meccanica dell'assalto fascista alla sezione
PCI del Trionfale, il ruolo svolto da Franco De Marco, il reclutamento dei sardi
e dei meridionali, ecc.) sono risultati autentici a una successiva verifica.
Seconda ipotesi: Loi è un confidente della polizia e viene da essa
strumentalizzato per rilasciare certe dichiarazioni. onde sviare i sospetti su falsi
colpevoli. Ma questo significherebbe una precisa complicità della polizia italiana negli
attentati, o quanto meno una sua funzione di copertura. Resta da spiegare però la
convenienza di coinvolgere in questa provocazione poliziesca i dirigenti dell'ufficio
politico di Roma.
Terza ipotesi: Loi è un provocatore che, al soldo
di chissà chi ritenta un gioco già attuato in questi mesi. Si
veda l'episodio dell'ex legionario che rivela all'Espresso come la Legione Straniera
addestra in Corsica i giovani squadristi fascisti, salvo poi ritrattare tutto
e coinvolgere il settimanale in un processo diffamatorio.
Dalla seconda e dalla terza ipotesi discende questa conclusione
logica: ammesso che l'operazione tentata da Evelino Loi sia quella di far sorgere
precisi sospetti su polizia e fascisti, per poi smentire e quindi da un lato
scagionare automaticamente chi ha incolpato e dall'altro far perdere ogni attendibilità
presso l'opinione pubblica a quei giornali che seguono queste piste, che senso
avrebbe tutto ciò se chi muove Evelino Loi è davvero estraneo agli attentati?
A che scopo tentare queste provocazioni, col grosso rischio che comportano di
essere smascherate. se chi le organizza ha davvero mani pulite?
La dichiarazione di Evelino Loi. (12) rilasciata
verso la metà di gennaio, fu registrata su un nastro magnetico. Il nastro fu riposto in
una delle due casseforti del giornale. Circa due settimane dopo ignoti ladri sono
penetrati negli uffici e hanno asportato una cassaforte: il nastro però era custodito
nell'altra
(1) Fino al 1929, prima di prendere i voti sacerdotali. Eugenio Tisserant ricopriva, con il grado di colonnello dell'esercito un incarico di rilievo nei servizi segreti francesi nel Medio Oriente. Assieme ai Cardinal Ottaviani. della cuna romana in uno dei più autorevoli"protettori" vaticani dei membri dell'OAS rifugiatisi in Italia dopo il fallito "putsch" algerino del 1961 e, in particolare, di Georges Sange, e del colonnello Lacheroi. condannati a morte in contumacia dal governo francese. Il segretario particolare del cardinal Tisserant è il vicentino Monsignor Scalzotto - già assistente spirituale degli studenti dell'università cattolica quando ne era rettore l'ex fascista Padre Gemelli - ed attualmente "grande elettore" del deputato democristiano Altilio Ruffini, nipote del defunto cardinale e consigliere politico dell'on. Mariano Rumor.
(2) Un esponente del "Fronte Nazionale" rivelò ad alcuni amici che il Calzolari era stato reclutato come istruttore dei "reparti speciali" israeliani e che avrebbe dovuto "prendere servizio" nella primavera del 1970.
(3) 1I maresciallo dell'esercito Guido Bizzarri, un artificiere che in 45 anni di attività ha disinnescato circa 20.000 ordigni. dichiarerà alla stampa: "L'avrei disinnescata io ma nessuno me lo ha chiesto, E' stato più pericoloso farla brillare che aprirla".
(4) Un discorso a parte meriterebbero il ruolo giocato in questa fase dalla stampa "indipendente". Basterà sottolineare che, oltre ovviamente al "Secolo d'Italia", si sono distinti nell'incitare alla caccia all'"estremista di sinistra". la "Stampa" di Torino e i quotidiani della catena editoriale del Cav. Attilio Monti il "Tempo" di Roma, il 13 dicembre è arrivato al punto di pubblicare con ampio risalto che "La notizia degli attentati è stata data nel corso di un'assemblea alla Città Universitaria da un oratore di " Potere Operaio" il quale ha rivendicato al suo gruppo la paternità della strage, riscuotendo l'applauso degli studenti presenti... ".
(5) Alcuni giorni dopo la morte di Antonio Annarumma un gruppo di dirigenti della RAI-TV, tra i quali alcuni giornalisti. ha assistito a una proiezione privata di un film sugli incidenti di Via larga. Verso la fine del film appariva questa sequenza: un gippone isolato avanza contro mano in direzione di Largo Augusto, con le ruote di sinistra in bilico sul marciapiede. Ridiscendendo sulla strada. I'automezzo ha uno sbandamento. Il berretto a visiera cala sugli occhi dell'autista che cerca di liberarsene scuotendo il capo, In quel momento una jeep gli taglia la strada. Nello scontro l'autista del gippone viene proiettato in avanti e batte violentemente la testa contro il parabrezza, poi ricade sul sedile esanime, abbandona il capo sulla spalla. L'operatore del film ha girato la scena dal lato opposto della strada inquadrandola perfettamente anche perché il gippone ha la guida a destra. E' un film di eccezionale importanza perché costituisce la prova che la ferita mortale di Annarumma è stata prodotta dalla guida di ferro sporgente che si trova al lato della intelaiatura del parabrezza del gippone e serve a orientare l'inclinazione del vetro. Dopo la proiezione privata nella saletta di Via Teulada, questo film è scomparso. A quanto si sa è stato girato da una equipe che lavorava per conto del'Office de la Radio et Television Francaise, Sono state fatte ricerche negli archivi dclla ORFT a Parigi ma senza successo. Dove è finito? Chi lo ha fatto scomparire?
(6) gli agenti che fomentarono i disordini, durante i quali alcuni ufficiali furono costretti ad allinearsi contro i muri della palestra sotto la minaccia delle armi, non furono sospesi. dal servizio. Furono invece espulsi dal corpo quegli agenti che, la notte del 18 novembre. si erano rifiutati di scendere dalle brande a causa dei massacranti turni di servizio.
(7) Il giornalista Pietro Zullino è notoriamente legato a Italo De Feo, il vice presidente socialdemocratico della RAI-TV. Il settimanale Epoca già nel luglio 1964 era apparso con una vistosa copertina tricolore e la fotografia dell'allora presidente della repubblica Antonio Segni di fianco al titolo "I 'ltalia che lavora chiede al capo dello Stato un governo energico".
(8) E' vero che il giorno dello sciopero generale Santino Viaggio reclutò un certo numero di meridionali. Essi furono condotti assieme ad altri fascisti alla sezione Colle Oppio del MSI da cui doveva partire un corteo di macchine con tricolori e gagliardetti. La polizia proibì il corteo provocando le proteste dei dirigenti, Caradonna in testa, che lo giustificavano come a un mezzo per alleviare alla cittadinanza i disagi provocati dallo sciopero degli autobus". I fascisti erano armati di sassi, catene e bastoni.
(9) Questi tre "passi" ,. sono stati consegnati da Evelino Loi al giornale al quale ha rilasciato questa dichiarazione.-
(10) E' vero che Loi ha svolto questa funzione di reclutatore. Le testimonianze al proposito abbondano. L'uomo che lanciò la bottiglia molotov contro la sede della RAI-TV a Roma, ad esempio, fu ricompensato con 10.000 Iire. A Milano. secondo quanto hanno dichiarato i disoccupati Gaetano L., Tommaso M., Giuseppe C., Salvatore V., Antonio L., i reclutamenti avvenivano nell'atrio della Stazione Centrale, la sera tardi. Se ne occupava un certo Paolo dirigente della Giovane Italia. Uno dei reclutatori, che ha dormito per un certo tempo nella sede di Corso Monforte, ha rilasciato questa testimonianza: "In un cassetto c'erano delle pistole. Quando si usciva per fare delle azioni, con i bastoni e il resto, passavamo davanti ai poliziotti di guardia che si voltavano dall'altra parte facendo finta di non vederci" Un altro, un giovane siciliano di Palagonia. ha detto: "Una volta ci dissero che dovevamo andare a menare degli studenti di Mao, mi pare che fosse in un posto di Piazza Mazzini. Quelli però erano stati avvertiti da qualcuno e, quando andammo ci picchiarono. Io andai all'ospedale, i fascisti mi diedero 50.000 Iire perchè non dicessi chi mi aveva mandato là. Quello che pensava a distribuire i soldi dopo le azioni era Salvatore V. che li riceveva dall'On. Servello (sic)".
(11) Trattasi di un agente della "celere", tale Murino.
(12) Nell'aprile 1970 Evelino Loi è stato condannato per contravvenzione al foglio di via obbligatorio e rinchiuso nel carcere di "Regina Coell".