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GLI APPARATI MILITARI. CONCLUSIONI

Negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi gli iscritti sono ripartiti anche per settori di appartenenza: uno di questi settori è quello delle Forze Armate, nel quale figurano cinquantadue ufficiali dei carabinieri, nove dell'Aeronautica, ventinove della Marina, cinquanta dell'Esercito, trentasette della Guardia di Finanza e sei della Pubblica Sicurezza.
Dall'elenco generale degli iscritti sequestrato, peraltro, il numero complessivo degli ufficiali risulta anche superiore (centonovantacinque) e gli iscritti negli elenchi trovano riscontro, anche se non completo, nelle informative inviate alla Commissione
dal SISMI e dal SISDE.
Il primo dato che occorre mettere in rilievo in proposito è l'elevato grado ricoperto dagli affiliati.
Così, ad esempio, dei cinquantasei ufficiali dei carabinieri, in servizio o a riposo, che figurano negli elenchi, dodici ricoprono il grado di generale ed otto quello di colonnello; così ancora troviamo otto ammiragli, ventidue generali dell'Esercito, cinque generali della Guardia di Finanza nonché quattro generali dell'Aeronautica. Il dato totale, di per sé eloquente, ci dice che su centonovantacinque esponenti del mondo militare, ben novantadue ricoprono il grado di generale o colonnello.
Ancor più significativo, per quanto in seguito si dirà, è soffermarsi sulle funzioni assegnate a molti dei nominativi citati: così l'ammiraglio Torrisi che fu capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 1977-1980 e poi della Difesa negli anni 1980-1981, il generale Grassini che diresse il SISDE dal novembre 1977 al luglio 1981, il generale Santovito che diresse il SISMI dal gennaio 1978
all'agosto 1981 e il generale Picchiotti che fu negli anni 1974-1975 vicecomandante generale dell'Arma dei carabinieri e in precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma, il generale Palumbo comandante la divisione carabinieri "Pastrengo" di Milano e poi anch'egli vicecomandante generale dell'Arma, il generale Miceli che diresse il SID dal 1970 al 1974, il generale Musumeci che fu segretario generale del SISMI con il generale Santovito, i generali Giudice e Giannini che furono comandanti generali della Guardia di Finanza, rispettivamente negli anni 1974-78 e negli anni 1980-1981.
Come è facile rilevare a prima vista, si delinea una mappa del potere militare più qualificato, con personaggi che hanno spesso assunto un ruolo centrale in vicende di particolare significato nella storia recente del nostro paese, anche in relazione ad avvenimenti di carattere eversivo.
La maggior parte degli ufficiali che figurano negli elenchi sono stati sottoposti ad inchieste disciplinari che hanno portato a delle vere e proprie conclusioni solo per quelli che erano tuttora in servizio, per i quali la sanzione è stata generalmente quella del rimprovero, applicata in poco più di un terzo dei casi. Le pronunce di proscioglimento sono state invece emesse perché non risultava pienamente provata l'appartenenza dell'ufficiale alla Loggia P2, facendo a tal fine soprattutto fondamento sul diniego di appartenenza alla loggia dell'ufficiale interessato. Per un certo numero di ufficiali che non erano più in servizio, pur non applicandosi alcuna sanzione, è stata ritenuta provata l'appartenenza alla loggia. Vi è da rilevare infine che per alcuni ufficiali, anche di grado elevato e che hanno avuto compiti di rilievo nelle Forze Armate, non sono pervenuti alla Commissione i fascicoli relativi.
Per un esame del problema vanno in primo luogo ricordate le dichiarazioni rese da esponenti della massoneria (Siniscalchi, Brilli) circa i massicci reclutamenti di militari operati sulla fine del mandato di Gamberini: secondo le voci ricorrenti in ambito massonico il Gran Maestro aveva proceduto ad iniziare sul filo della spada circa quattrocento militari, all'uopo presentati dal Gelli.
Il dato è probabilmente esagerato, ma è peraltro certo che la prima fase della gestione gelliana della Loggia P2 è contrassegnata da una forte e qualificata presenza di militari: dato questo che non dovrebbe in sé essere considerato particolarmente significativo poiché è ampiamente documentata una tradizionale propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico.
L'elemento invece al quale va prestata adeguata considerazione e che contraddistingue con carattere di specificità la Loggia P2 ed il suo intervento in questi ambienti è, per contro, quello della spiccata connotazione politica che al complesso di tali affiliazioni veniva attribuita da Licio Gelli, al quale faceva riscontro, secondo gli atti in nostro possesso, l'accettazione da parte degli iscritti di tale impostazione. Ne è esempio la riunione dei generali tenuta a Villa Wanda nel 1973; ed è in proposito da rilevare che i discorsi che in tale occasione si tennero non erano del tutto nuovi, ma anzi possono ritenersi in certa misura abituali se di essi abbiamo almeno un altro significativo esempio documentabile, quale la lettera che, nel 1972, il Gelli inviò agli elementi militari iscritti alla sua loggia – missiva che non sappiamo se diretta a tutta la categoria o solo agli elementi di maggior spicco - nella quale dai discorsi di condanna generalizzata del sistema, che già abbiamo segnalato, si traeva la conclusione che solo una presa di posizione molto precisa poteva
porre fine al generale stato di disfacimento e che tale iniziativa poteva essere assunta soltanto dai militari. Siamo, come si vede, di fronte ad una impostazione politica ben definita che si pone al margine della legalità repubblicana e che non solo non viene dissimulata, ma è oggetto di valutazione e di esame presso alte gerarchie militari. Essa segna certamente un salto di qualità rispetto al tradizionale interessamento massonico per le gerarchie militari, testimoniato tra l'altro, presso la Commissione, dai documenti relativi alla camera tecnico-professionale coperta dei militari, costituita presso la comunione di Piazza del Gesù, dai quali si evince un interessamento a questioni di più ristretto profilo, quali la gestione delle carriere o degli incarichi.
I due riferimenti documentati citati assumono poi piena credibilità quando si consideri come le ventilate ipotesi di soluzioni di tipo autoritario trovano un adeguato e conforme retroterra politico nella ideologia spiccatamente conservatrice - calata in una prospettiva di avversione al sistema nel suo complesso, e come tale sostanzialmente eversiva - consegnata al nostro esame dalla documentazione in possesso della Commissione, più volte citata.
Se indubbia appare quindi la valenza politica che l'intreccio tra ambienti militari e Loggia P2 assumeva nelle prospettive e nei piani di Licio Gelli, un ulteriore approfondimento analitico ci dimostra che tale connotazione politica non rimaneva astretta ad un piano di generica e velleitaria progettazione, ma trovava concreti sbocchi di pratica attuazione. Tale è l’esempio che ci viene fornito dalle vicende relative alla divisione Carabinieri "Pastrengo" di Milano, in ordine alla quale il tenente colonnello Bozzo, che in essa ha prestato servizio, ha testimoniato sulla "presenza di un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia... che aveva una matrice comune nella provenienza di servizio dalla Toscana".
Il gruppo comprendeva il generale Palumbo, comandante della divisione, il maggiore Antonio Calabrese e il generale Franco Picchiotti, la cui presenza ai vertici dell'Arma ne contraddistinse il "periodo di maggior splendore". Succeduto al Palumbo, il generale Palombi, estraneo al gruppo citato, la gestione di questi venne contrastata con il trasferimento a Milano di due ufficiali, il tenente colonnello Panella ed il tenente colonnello Mazzei, che risultano iscritti alla Loggia P2, e con il distacco (un'iniziativa dello Stato Maggiore dell'Arma) del Servizio speciale anticrimine, che si era segnalato per i brillanti risultati ottenuti specie nella lotta al terrorismo, dal comando di divisione alla legione di Milano e quindi alle dipendenze del Mazzei e del Penella.
Il Mazzei ebbe in seguito a subire procedimento disciplinare per la protezione offerta al professore Piero Del Giudice, imputato di reati connessi con fatti di terrorismo; prima della chiusura di tale procedimento il Mazzei diede le dimissioni dall'Arma, assumendo presso il Banco Ambrosiano un incarico per lui appositamente creato e che al suo decesso non venne ulteriormente ripristinato.
La situazione sommariamente delineata si presta a due osservazioni: la prima è relativa al riscontro che essa trova nell'appartenenza di tutti i nominativi del gruppo citato alla Loggia P2, e in particolare alla circostanza che tre di essi (Picchiotti, Palumbo, Calabrese) sono altresì presenti alla riunione in Villa Wanda del 1973.
La seconda concerne il rilievo strategico e politico che il comando della divisione "Pastrengo" venne ad assumere nella seconda metà degli anni Settanta nella lotta contro il terrorismo, che faceva di quell'incarico un punto nevralgico sia per l'importanza della piazza di Milano, sia perché la divisione ha competenza territoriale estesa a tutta l'Italia settentrionale.
Il generale Dalla Chiesa ha deposto in proposito, denunciando l'impressione ricevuta, durante il suo comando alla brigata di Torino, di una scarsa collaborazione da parte degli elementi della divisione di Milano.
Il progredire e lo svilupparsi della Loggia P2 denota un sempre più marcato interessamento di Licio Gelli per gli ambienti militari, soprattutto con riferimento alle alte gerarchie; per le nomine relative, secondo quanto ha testimoniato il generale Fulberto Lauro, il capo della Loggia P2 era comunque sempre estremamente informato in anticipo, con riferimento sia all'Esercito che ai Carabinieri ed alla Guardia di Finanza.
Iniziando dalla Guardia di Finanza si succedono al comando generale: Raffaele Giudice dal 1974 al 1978, Marcello Floriani dal 1978 al 1980, Orazio Giannini dal 1980 al 29 luglio 1981.
Gelli si interessa alla nomina di Giudice, che figura tra gli iscritti alla loggia, unitamente a Palmiotti, iscritto anch'egli alla Loggia P2 e segretario dell'onorevole Mario Tanassi, all'epoca ministro delle Finanze, titolare della competenza per la sua nomina: gli stretti legami tra Gelli e Giudice sono del resto ampiamente documentati dal fascicolo M.FO.BIALI.
Gelli propone al generale Floriani di iscriversi alla massoneria e probabilmente alla Loggia P2 e si vanta poi di averlo fatto nominare al comando generale della Guardia di Finanza. Quanto al generale Giannini questi ammette di essere iscritto alla massoneria e figura tra gli iscritti alla loggia: Gelli lo indica come futuro comandante della Guardia di Finanza (risultano infatti interventi di Gelli, per la sua nomina), mentre l'interessamento di Giannini, al momento del sequestro operato a Castiglion Fibocchi, è ampiamente rivelatore dei suoi legami con Gelli.
Per quanto riguarda i Carabinieri il generale Enrico Mino, che ne è comandante generale dal 1973 al 1977, non figura tra gli iscritti alla Loggia P2, ma ad essa lo indicano come appartenente l'onorevole Pannella, nella sua audizione in Commissione, e il senatore Giovanni Leone. Il maggiore Umberto Nobili ha dichiarato che Gelli affermò di essere riuscito a determinarne la nomina a comandante generale dell'Arma; ed è comunque provato che il generale Mino conosceva bene Gelli ed era con lui in stretti rapporti.
E’ altresì documentato in atti che Licio Gelli si interessò alla nomina del successore del generale Mino prima ancora della sua naturale scadenza. Le intercettazioni telefoniche del fascicolo M.FO.BIALI ci mostrano che la successione in esame fu oggetto di attivo interessamento da parte di Gelli, Giudice, Trisolini e dei consigliere Ugo Niutta, che discutono del problema con sicurezza
di toni e con padronanza dell'argomento: dalle conversazioni emerge una preferenza di Licio Gelli per il generale Santovito. Successore del generale Mino risultò alla fine il generale Pietro Corsini.
Per quanto riguarda i comandi dei Servizi segreti Gelli, nella deposizione resa al giudice Vigna, ammise di essersi interessato per la nomina del generale Miceli a capo del SID: questa deposizione è suffragata da testimonianze del generale Rosseti e del giornalista Coppetti.
Anche dopo la riforma dei Servizi segreti nel 1978, i capi dei Servizi risultano tutti negli elenchi della P2: il generale Grassini capo del SISDE, il generale Santovito capo del SISMI ed il prefetto Pelosi capo del CESIS, che doveva coordinare i due servizi precedenti.
Il generale Musumeci assume l'incarico di capo dell'ufficio controllo e sicurezza e la segreteria generale del SISMI all'epoca di Santovito. Di particolare interesse ai nostri fini la figura di questo ufficiale, che non solo troviamo accanto al generale Santovito, ma che, secondo attendibile testimonianza, mentre dipendeva dal comando della XI brigata in Roma era in stretta frequentazione con il generale Palumbo - presso la I divisione in Milano - dal quale non dipendeva gerarchicamente.
Il contatto tra il Palumbo ed il Musumeci, al di fuori dei rapporti gerarchici e delle strette esigenze di servizio, denota una consuetudine di legami e di interessi comuni che, considerato unitamente al dato relativo alla circostanza che gli stessi nominativi di iscritti alla loggia si trovano sempre assegnati a destinazioni comuni, segnala alla nostra attenzione una rete di interessi e di legami che corre parallela ai normali vincoli gerarchici.
Per il generale Santovito vi è anche da osservare che egli continua, pure dopo il 17 marzo 1981, a tenere stretti rapporti con ambienti massonici e con ambienti che possono configurarsi come continuatori dell'opera della Loggia P2: significativo a tale riguardo è il suo rapporto con Francesco Pazienza e il potere da costui assunto all'interno del SISMI, a documentare il quale esistono precise ed inequivocabili testimonianze.
Va, rilevato, come osservazione generale, che i legami che gli esponenti delle Forze Armate assumevano con l'iscrizione alla Loggia P2 e la "dipendenza" nella quale si ponevano nei riguardi di Licio Gelli venivano a costituire una situazione per la quale esponenti di primo piano del potere militare si inserivano attivamente nel programma e nelle finalità politiche di Gelli e della Loggia P2, finalità difficilmente riportabili al servizio delle istituzioni democratiche, quanto piuttosto alle direttive di centri di potere estranei, se non ostili, ad esse.
In definitiva, attraverso loro Gelli e la Loggia P2 erano in grado di condizionare scelte importanti di alcuni settori delle Forze Armate, con riferimento ai loro obiettivi politici. Indubbiamente almeno alcuni militari agirono, a volte, anche per interessi personali o parteciparono a traffici illeciti, cui erano interessati direttamente e che riguardavano anche uomini politici ad essi collegati, secondo quanto può desumersi dal coinvolgimento di Giudice, Lo Prete e Trisolini in vicende come quelle attinenti al traffico dei petroli, per le quali pendono vari procedimenti avanti l'autorità giudiziaria. Non si può escludere che anche tali traffici non si esaurissero solo
nell'ambito dell'interesse economico di coloro che ne sono stati coinvolti; ma il dato che più interessa, ai fini della nostra analisi, è quello politico e a tal fine un episodio meglio di ogni altro illumina questo aspetto della problematica allo studio: la riunione dei generali tenuta ad Arezzo nel 1973. In proposito un dato analitico di estremo interesse è la brevità del preavviso della convocazione che denuncia chiaramente come quella riunione non fu un evento eccezionale, ma si inseriva in una consuetudine collaudata di rapporti e di frequentazioni.
Non è comunque senza disagio che può essere rievocata la convocazione nella sua villa di alcuni generali della Repubblica da parte di un personaggio ampiamente al margine dell'ortodossia e della legalità come Licio Gelli; e veramente inaudito appare che essi ascoltassero da questi, alla stregua di un capo di Stato maggiore ombra, condizioni sullo svolgimento delle loro delicate mansioni, facendosi destinatari dell'ordine di trasmetterle ai propri quadri subalterni.
La lettura dell'audizione del generale Palumbo, delle reticenze, delle scuse e delle mezze ammissioni in ordine all'episodio citato non possono non suonare offesa a quanti, e sono la maggioranza, indossano la divisa con dignità e senso dell'onore.
La propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico e la forte compenetrazione tra vertici militari e Loggia P2 sono peraltro argomenti che richiedono una qualche considerazione di ordine più generale.
Una conclusione politicamente significativa su tali vicende non può infatti prescindere dalla considerazione che il delicato tema del rapporto tra esercito e società civile va forse, rimeditato alla luce dei gravi episodi illustrati, evitando di cadere nelle opposte ed egualmente perniciose tentazioni di una neutralizzazione che si ammanti di ipocrita tecnicismo da una parte e di una appropriazione partitica, mascherata da pretestuosi ideali di motivazione politica dall'altra.
Si pone in primo luogo il problema della responsabilità politica del controllo e della direzione di questi apparati, tema che per sua natura non può che essere rinviato e proposto dalla Commissione al dibattito del Parlamento. In questa sede, alla luce delle conoscenze acquisite, è peraltro dato rilevare che l'attuazione di forme associative parallele alla struttura gerarchica ufficiale va, prima che stigmatizzata, compresa nelle sue radici e nelle sue motivazioni.
Per valutare appieno questo fenomeno è d'uopo riportarsi alla posizione che i militari sono venuti a rivestire nella società italiana a partire dal dopoguerra, sottolineando la particolare sterilizzazione politica che nei loro confronti si era venuta ad operare, nella classe politica come nella società civile, per una serie di ragioni, che qui non è il caso di analizzare a fondo, sulle quali comunque influirono in modo determinante sia l'esito del conflitto, sia il cambiamento istituzionale.
Basti qui riportarsi ai discorsi che gli elementi più accreditati dei nostri vertici militari propongono attualmente sulla esigenza di un accordo permanente e fecondo tra esercito e società civile, per non ritenere azzardato l'affermare in questa sede che l'elemento di novità della Loggia P2 sta nella scoperta, o meglio riscoperta, a partire dalla metà degli anni Sessanta, del ruolo e - in termini di
presenza politica - dell'importanza che i militari possono assumere ed in fatto assumono nella vita del Paese. Trattasi di una conclusione che, se accettata, fornisce ampia materia di riflessione non solo ai fini di una valutazione della Loggia P2 nel suo complesso, ma di una interpretazione del personaggio Gelli, del suo peso specifico, dei suoi eventuali punti di riferimento politico e
strategico: poiché è di palese evidenza che simile intuizione politica trascende il personaggio Gelli.
L'inserimento prepotente della Loggia P2 negli ambienti militari (spesso non a caso definiti ("casta") è stato certamente effetto di una disattenzione della società civile e politica nei confronti di un ambiente che trova il suo momento di coesione in motivazioni a torto spesso ritenute superate dalla moderna società, fortemente laicizzata e contrassegnata da una cultura, soprattutto di ordine
superiore, al tempo problematica e dissacrante. Un non corretto od incompleto circuito di motivazioni e di ideali tra società civile e società militare può certo generare quelle situazioni di frustrazione morale e materiale che hanno costituito il fertile terreno di coltura dell'interessato proselitismo di Gelli e della Loggia Propaganda, facendo balenare la possibilità di una presenza nella vita del paese che finiva per trascendere, pervertendolo, il ruolo che in un moderno Stato costituzionale i cittadini in divisa devono, in quanto tali, legittimamente ricoprire, nel quadro delle leggi e degli ordinamenti generali.
E’ dato qui individuare uno dei punti di possibile debolezza del sistema, nel quale trova spazio per inserirsi un operazione di segno sostanzialmente eversivo quale quella al nostro esame. Un dato interpretativo di estremo interesse ai nostri fini sta nella considerazione che il piano di rinascita democratica, pur contenendo un'analisi dettagliata, corredata da proposte di riforma,
praticamente di tutti gli apparati esecutivi, ignora completamente il settore delle Forze Armate. E’ questa una disattenzione che non può non destare meraviglia, attesa la pignoleria argomentativa del documento, e che non può non essere interpretata se non nel senso che questi problemi costituivano per il Venerabile e per i suoi tutori una sorta di riserva personale da non porre in
alcun modo in discussione con terzi.
Questa osservazione è suffragata dall'esame dei vari documenti citati sinora, dai quali emerge la constatazione che essi, contenendo argomentazioni critiche intorno ai più vari problemi della società, non toccano mai i problemi del mondo militare, pur essendo in sostanza tali ambienti tra i destinatari più qualificati di questi discorsi. L'enucleazione della tematica militare da questo contesto argomentato, non può non colpire in modo significativo e va, a questo punto del discorso, interpretata alla luce dell'analisi svolta nel precedente paragrafo sulla appartenenza di Licio Gelli all'ambiente dei Servizi, ovvero al settore che del mondo militare costituisce uno dei centri nevralgici di maggiore interesse politico.
Ricordiamo a tal proposito che il Gelli ebbe a testimoniare di aver influito sulla nomina di Miceli a capo del SID, e di averlo introdotto negli ambienti della massoneria facendolo iniziare da Salvini. Questa notizia, presa con la dovuta cautela che la fonte merita, quando fosse da considerarsi vera non potrebbe che indicare come il Gelli nell'ambito dei Servizi aveva conquistato un proprio potere contrattuale, che non lo sottraeva al loro potere di controllo ultimativo, come dimostra l'episodio Pecorelli, ma gli attribuiva di certo un margine di spazio autonomo. Tale spazio può essere spiegato sia con il peso che il Gelli aveva nel frattempo conquistato come capo
della Loggia P2, sia ipotizzando altri possibili punti di riferimento per l'operazione piduista, nell'ambito dei quali i Servizi trovavano collocazione non esclusiva. In altri termini, la carriera di Gelli, volendo prestare fede a questa sua testimonianza, lungi dal contestare la tesi espressa sulla sua appartenenza ai Servizi, verrebbe ad indicare che la parabola percorsa in quell'ambiente segna un percorso in parte analogo a quello seguito nella massoneria, dove da delegato del Gran Maestro egli era al fine pervenuto ad impadronirsi della Loggia P2 ed a condizionare la vita dell'intera comunione. In tale ottica il Commissario Gabbuggiani ha rilevato come il rapporto tra Gelli ed i Servizi si qualifica come un rapporto non a senso unico.
In questo senso può essere estesa in via generale l'osservazione formulata con riferimento ai Servizi segreti dai Commissari Mattarella e Rizzo, ipotizzando che la compenetrazione tra la Loggia P2 e gli ambienti del vertice della gerarchia militare aveva finito per creare una situazione nella quale l'accesso alla loggia costituiva una sorta di passaggio obbligato per accedere a superiori
livelli di responsabilità. Del resto, testimonianze in tal senso, già ricordate, denunciano la
pressione di ufficiali superiori nei confronti dei subalterni con la indicazione dell'ingresso nell'organizzazione per accedere ai gradi superiori della gerarchia ed a certe destinazioni particolarmente qualificate. Una concordante indicazione può essere colta nella testimonianza del generale Dalla Chiesa il quale, pur in modo sfumato, inquadra in tale contesto la proposta di iscrizione alla Loggia P2 rivoltagli dal generale Picchiotti.
Il tema dei Servizi segreti è stato dal Commissario Ruffilli inquadrato in un più ampio contesto di argomentazione politica, partendo dal rilievo che un ragionato esame di questo problema non può prescindere dalla considerazione della collocazione internazionale del nostro Paese, quale punto di raccordo, di particolare rilievo, per la sua collocazione tra mondo occidentale e mondo orientale, nei conflitti che tra tali aree politiche si instaurano all'interno di una zona cruciale quale il bacino del Mediterraneo. Queste considerazioni spiegano come l'Italia sia diventata, secondo tale Commissario, una base di operazione per i servizi segreti dì diverse appartenenze; e in relazione a tale divenire storico trova allora comprensibile riscontro quella che il Commissario Andò ha definito l'ambivalenza ideologica dei nostri Servizi, nei quali, a partire da un certo momento, si sono identificati per lo meno due partiti: quello filo-arabo che faceva capo al generale Miceli e quello filo-israeliano che si riportava al generale Maletti, entrambi, come noto, iscritti alla loggia pur se dichiaratamente nemici.
Nell'ambito di questa dialettica di rapporti, si comprende come la Loggia P2 abbia potuto acquisire un ruolo determinante quale stanza di compensazione per l'assorbimento di tensioni e di contrasti che per loro natura non potevano che essere mediati in sede riservata. Che poi tale sede fosse, per così dire, affidata a persona riconducibile all'ambiente, ovvero controllata, ma ad esso non appartenente in forma ufficiale, come precedentemente abbiamo cercato di dimostrare, questa appare conclusione non solo logica, ma addirittura imprescindibile.
L'ordine di discorsi al quale siamo pervenuti solleva una serie di problemi fondamentali per il corretto funzionamento dell'ordinamento democratico che richiedono di essere conclusivamente inquadrati per consentire un approfondito dibattito del Parlamento su questa complessa materia.
A tal fine il Commissario Crucianelli ha rilevato come una corretta determinazione del quadro, entro il quale svolgere l'analisi, richieda di evitare da un canto la prospettazione dei Servizi come variabile impazzita del sistema, dotata di autonoma soggettività politica, dall'altro il pericolo di ipotizzare meccanici rapporti di dipendenza, rispetto al potere politico per apparati che, per definizione, si muovono nell’indistinto e conservano, sotto ogni latitudine, una rete articolata di legami orientati in più direzioni. La complessa dialettica di questi rapporti è argomentata nel discorso di tale Commissario con la interpretazione fornita agli eventi del 1974, punto culminante della strategia della tensione, e dalla successiva emarginazione dall'apparato del Miceli e del Maletti, massimi responsabili dei Servizi, che segue, in quel tragico anno, alla denuncia che il ministro della difesa, onorevole Andreotti, fa dell’esistenza di altri due tentativi di colpo di Stato (oltre quello Borghese) previsti per il gennaio e l'agosto del 1974.
Riservandoci di soffermarci più approfonditamente su tale periodo cruciale della storia del nostro paese, in tema di analisi dei collegamenti con l'eversione, si vuole qui sottolineare, in via conclusiva, il rilievo, ampiamente condiviso dalla maggioranza dei Commissari, che l’intreccio tra Loggia P2, Servizi segreti ed ambienti militari assume nell'interpretazione del fenomeno oggetto
dell'inchiesta parlamentare un rilievo centrale e che come tale pone l'imprescindibile esigenza che su tale delicato argomento si possa svolgere un discorso che rifugga da schematizzazioni preconcette, che ad altro risultato non conducono se non a quello di impedire la comprensione dei fenomeni nella loro reale portata.
Non è chi non veda peraltro che le conclusioni alle quali si è pervenuti hanno comunque un rilievo politico generale di straordinario rilievo, perché conducono ad una interpretazione di Gelli e della sua attività, attraverso lo strumento della Loggia P2, che amplia il tema dei rapporti tra Gelli, gli ambienti militari ed i Servizi segreti ben oltre la primitiva portata, di riferimento al dato di immediata percezione della presenza nella Loggia P2 dei vertici militari e dei Servizi. Prendere le mosse dall'assunto che Licio Gelli è pertinenza dei Servizi sin da antica data rovescia il discorso sulla materia da un taglio in ultima analisi riduttivo, sull'inquinamento dei servizi segreti, alla prospettiva, di valenza politica diametralmente opposta, di una attività di inquinamento che i Servizi possono aver progettato di svolgere ed in fatto svolto, attraverso questo abile e fortunato personaggio. Volendo sintetizzare in una formula, corre tra le due ipotesi tutta la differenza che c'è tra Servizi segreti inquinati e Servizi segreti inquinanti, tra strumento corrotto ed agente
corruttore, tra oggetto e soggetto di attività eversive del sistema democratico.
E’, questo, argomento che per la sua portata di ampio respiro politico coinvolge sedi ed autorità cui spetta, in via istituzionale, la competenza su questa delicata materia. Essi peraltro hanno già dovuto prendere atto nella storia della Repubblica di fenomeni di segno eversivo, che hanno sollecitato più di un intervento correttivo. Il contributo che la Commissione può portare è quello di offrire a tali sedi ed al dibattito democratico tra le forze politiche il dato istruttorio che siamo venuti cercando di enucleare dai documenti e dagli atti in nostro possesso.


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