LICIO GELLI, LA LOGGIA PROPAGANDA DUE E LA MASSONERIA. CONCLUSIONI
Volendo capire le ragioni
che sottostanno all'abnorme situazione che abbiamo delineato - anche al fine
di evitare l'espressione di sommari giudizi che finirebbero per coinvolgere,
con suo ingiusto danno, chi per tali vicende non porta responsabilità
alcuna o comunque ha una responsabilità estremamente limitata - è
necessario formulare alcune considerazioni finali di ordine generale.
Va in primo luogo dichiarato che il ruolo e le attività di Licio Gelli
erano conosciuti, anche se in modo parziale e frammentario, nell'ambito dell'intera
comunità massonica, presso la quale il fenomeno Gelli e le sue possibili
implicazioni erano in qualche modo note e non pacificamente accettate, poiché
è certo che esse costituirono punto di dissenso e di scontro all'interno
della famiglia massonica: ne fanno fede la mai sopita lotta condotta dai cosiddetti
"massoni democratici", nonché il voto dei Maestri Venerabili
che decretarono la demolizione della Loggia P2 nel corso della Gran Loggia di
Napoli.
Se dunque si pervenne alla situazione dianzi delineata fu in sostanza soprattutto,
come si è dimostrato, grazie all'influenza che Gelli riuscì ad
esercitare sui vertici del Grande Oriente. I rapporti non chiari di reciproca
dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e
con i loro collaboratori diretti, ampiamente documentati presso la Commissione,
offrono un quadro di compromissione degli organi centrali di governo della famiglia
massonica giustinianea che ampiamente giustifica e spiega le tormentate vicende
ripercorse nelle pagine precedenti.
Sono vicende queste che richiedono un approfondito esame del rapporto tra Licio
Gelli e la massoneria, per il quale dobbiamo, come punto di partenza, muovere
dalla affermazione, prima ribadita, che la Loggia Propaganda è una loggia
massonica inserita a pieno titolo nella comunione massonica di più antica
tradizione e di più vasta affiliazione di aderenti. La realtà
dei fatti è incontestabilmente quella di un organismo presente nella
comunione di appartenenza come entità integrata secondo peculiari prerogative
che ad essa venivano riconosciute dagli statuti e dalla pratica stessa di vita
dell'associazione: la connotazione della Loggia P2, secondo l'ordinamento massonico,
era quella di essere una loggia coperta. Come poi questa copertura sia stata
gestita dai dirigenti responsabili, anche in violazione degli statuti dell'associazione,
evolvendo verso forme di vera e propria segretezza, questo è argomento
che nulla inferisce nel nostro discorso, poiché è palese che quanto
viene stabilito nello specifico ordinamento massonico e quanto in esso viene
operato, anche in sua violazione, nessuna influenza esplica nell'ambito dell'ordinamento
giuridico generale, alle cui sole previsioni normative ci si deve riportare
in sede di analisi giuridica e di valutazione politica del problema. A tal fine
possiamo affermare che l'adozione di forme di copertura dirette verso l'esterno
come verso l'interno della comunione di appartenenza costituisce indubbia connotazione
di segretezza ed è soltanto a fini di mera confusione che si può
spostare il tema del discorso sulla presunta segretezza o meno della massoneria,
poiché se è certo, secondo la pregevole notazione di un autore,
che la massoneria non è una associazione segreta, è per altro
certo che essa è una associazione con segreti, e uno di questi era la
Loggia Propaganda Due.
Appare alla Commissione incontrovertibile secondo l'analisi sinora condotta,
che la Loggia P2 era
ma la posizione di queste
due affermazioni non esaurisce il problema ed anzi potrebbe, se ci si arrestasse
a questa prima soglia interpretativa, condurre ad una rappresentazione dei fatti
monca se non del tutto inesatta.
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta
in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda
e nel suo sorprendente sviluppo successivo.
Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere
come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico:
egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente di
una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione, informando
le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior
gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun
profilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto
piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall'esterno, che
con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.
Ci soccorre a tal fine il rilievo cui dianzi si accennava, quando notavamo come
il procedimento di cooptazione, proprio della massoneria, ebbe a funzionare
per Licio Gelli con inaspettata e sorprendente celerità, secondo quanto
ci dimostrano due dati a noi provenienti dalla documentazione in nostro possesso.
Il primo è che Licio Gelli ha dovuto subire un periodo di attesa, al
suo ingresso in massoneria avvenuto nel 1965, di oltre un anno; il secondo è
che una volta entrato nell'istituzione i tempi per l'apprendista Gelli si abbreviano
singolarmente, poiché nel 1969 egli ci appare nelle vesti, secondo un
documento già citato, di tessitore di una delicata operazione di riunificazione
delle varie famiglie massoniche: una operazione di vertice che coinvolge tutta
la massoneria italiana. Tra queste due date, sappiamo, corre l'operazione di
ascesa nella comunione pilotata dall'Ascarelli e dal Gamberini in favore di
un personaggio che, come il primo non manca di sottolineare al secondo in una
lettera agli atti, ha a disposizione un folto gruppo di domande di iniziazione
"di gente estremamente qualificata".
Ponendo questi dati in parallelo - e coordinandoli con le osservazioni svolte
in ordine all'inserimento di Licio Gelli nella Loggia Propaganda, operato subito
dopo dal Salvini - non si può non vedere come l'ingresso e l'ascesa di
Licio Gelli, massone di fresca data, si svolgano sotto legida di una accorta
regia che, dopo aver superato le resistenze frapposte all'acquisto di questo
nuovo fratello, ne pilota la carriera massonica con tempestivo e felice esito
di risultati. E non è chi non veda come il nome che compare come centrale
in questa operazione sia quello del Gran Maestro che sarà il vero nume
tutelare della vita massonica di Licio Gelli, quel Giordano Gamberini che, come
abbiamo ampiamente dimostrato, ritroviamo nella veste di accorto consigliere
e di fine stratega in tutte le vicende che vedono il Gelli al centro delle contrastate
decisioni della comunione che lo interessano.
Possiamo quindi affermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono
a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani
appaia come quella di elemento in essa inserito secondo una precisa strategia
di infiltrazione, che sembra aver sollevato nel suo momento iniziale non poche
perplessità e resistenze nell'organismo ricevente, e che esse vennero
superate
probabilmente solo grazie all'interessamento dei vertici dell'istituzione i
quali, questo è certo, da quel momento in poi appaiono in intrinseco
e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo adepto. Questa infiltrazione
inoltre fu preordinata e realizzata secondo il fine specifico di portare Licio
Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto
di identificazione tra il personaggio e l'organismo, il quale ultimo finì
per trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente
affatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione, degli eventi proposta.
Quanto detto appare suffragare l'enunciazione dalla quale eravamo partiti, perché
il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva
secondo la quale il Venerabile aretino, lungi dal porsi rispetto ad esso in
un rapporto di causa ed effetto, come ultimo prodotto di un processo generativo
interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento indotto,
di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta
della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni
che costituirono l'autentico nucleo di interessi e di attività che la
Loggia P2 venne a rappresentare.
Ci troviamo in altri termini di fronte ad un complesso rapporto che non può
semplicisticamente ridursi in sommarie attribuzioni di responsabilità,
in forme di addebitamento più o meno generalizzate che come tali non
rientrano nell'ambito degli interessi di questa Commissione, il cui primo compito
è quello di studiare la genesi dei fenomeni e la loro ragione di essere
e di svilupparsi, affinché il Parlamento possa su tali basi pronunciare
il proprio giudizio ed assumere le eventuali deliberazioni conseguenti. Quello
che per la Commissione è di primario interesse sottolineare è
che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito
della
vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole
la base e conniventi i vertici.
Non v'ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico
e la massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell'attenzione,
tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare, ma
altrettanto indubbio risulta che l'operazione Gelli, sommatoriamente considerata,
abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura - per non dire oggettiva
complicità - senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che
realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità - pur sostanziale
che sia - non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita
dei vertici dellassociazione, peraltro espressione elettiva della base
degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi
in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da
una concreta tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti,
che ha costituito l'imprescindibile terreno di coltura per l'innesto dell'operazione.
Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2,
né per primo ha contrassegnato l'organismo con la caratteristica della
segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare
la tecnica della copertura, ma l'una e l'altra ha trovato funzionanti e vitali
nell'ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto suo strumento
in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere
meglio Licio Gelli e non la massoneria.
Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni
che si ritengono sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia
interesse, di trarre le proprie conclusioni.
Sia ciò consentito anche al relatore perché l'argomento e l'occasione
sono tali da meritare una qualche considerazione di più ampia portata
su un tema che vanta di certo una pubblicistica di non trascurabile impegno
e valore, e che ha interessato sinora non solo il nostro ordinamento.
La storia della Loggia P2 ha il pregio, a tal fine, di svelare l'equivoco sul
quale stanche polemiche si trascinano intorno alla distinzione tra segretezza
e riservatezza. La certa segretezza della loggia, al di là di sofismi
cartolari e notarili, trova infatti radice ed al tempo stesso costante e vitale
alimento nella riservatezza della comunione intera. Sollevandoci ad un più
generale livello di
considerazioni che prescinda dalla soluzione normativa concreta che gli ordinamenti
vogliano dare a tale situazione, ci è consentito rilevare, in via di
principio, che i due concetti si pongono, pur in teoria ed in pratica diversi,
in rapporto di reciproca interazione e funzionalità tali che la segretezza
senza riservatezza non ha modo di esistere e la riservatezza, non posta a tutela
di una
intima più ristretta segretezza, non ha ragione di essere.
Sono questi argomenti che ci conducono al cuore del problema e che allargano
il tema sulla riservatezza massonica ad un più ampio contesto di considerazioni
in ordine al ruolo che questa associazione può svolgere legittimamente
nellambito dellordinamento democratico. Chi infatti guardi al contenuto
dottrinale proprio di questa forma associativa, il suo conclamato richiamarsi
al trinomio di princìpi Libertà Fratellanza - Uguaglianza
(art. 2 delle Costituzioni massoniche), non può non constatare come questo
sia verbo al quale mal si appongono forme di culto riservato e quanto piuttosto
chieda di essere con orgoglio portato nella società degli uomini, nella
quale è messaggio che non può porsi che come fonte di benefiche
influenze.
E avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non
sia data tra i due corni di questo dilemma: o infatti questo, o altro lecito,
è il cemento morale della comunione ed allora non v'ha luogo a riservatezza
alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana a
tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d'essere dell'associazione è
di diversa natura
e va allora revocata in dubbio la sua legittimità in questo ordinamento.
Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più
specifico della logica giuridica, e con riferimento alla normativa sulle associazioni
segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi termini: o la comunione esclude
ogni possibile interferenza con la vita pubblica dalla sua sfera di interessi
(come dovrebbe essere in base alle regole originarie), ed allora indulga quanto
crede al rito esoterico del segreto, o vuol piuttosto partecipare in toto al
divenire della nostra società. Se è vera la seconda alternativa
sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul
filo della spada, alle posizioni "all'orecchio". Riti tutti che hanno
il fascino dei costumi misteriosi di tempi lontani, ma che l'esperienza ha purtroppo
dimostrato essere fertile terreno di cultura per
illeciti di tempi recenti.