IL SEQUESTRO DI CASTIGLION FIBOCCHI
L'esame dell'operazione
di sequestro effettuata presso gli uffici e la residenza di Licio Gelli dalla
Guardia di Finanza su ordine dei giudici Turone e Colombo, nell'ambito dell'inchiesta
loro affidata sull'affare Sindona, precede logicamente l'analisi del problema
relativo alla veridicità delle liste, poiché elementi di sicuro
interesse ai nostri fini possono essere tratti dall'esame degli
eventi che precedettero ed accompagnarono il loro ritrovamento.
Ricordiamo in primo luogo che il generale Orazio Giannini, all'epoca comandante
generale della Guardia di Finanza, telefonò al colonnello Vincenzo Bianchi
che stava effettuando la perquisizione e lo invitò a prestare attenzione
a quello che faceva poiché nella lista dei nomi vi erano "tutti
i vertici" e che l'operazione avrebbe potuto essere di estremo pregiudizio
per il Corpo.
Interrogato poi dalla Commissione, il generale Giannini non ha saputo fornire
persuasive spiegazioni circa la sua conoscenza di un'attività di polizia
giudiziaria che sappiamo gli organi procedenti avevano cautelato con la massima
cura e che il loro operato e la loro integrità ci garantiscono coperta
dal più assoluto segreto istruttorio. Il generale Giannini non è
stato in grado di spiegare le ragioni che lo indussero a comportarsi nel modo
descritto né, particolare ancora più significativo, di rivelare
la fonte della sua effettiva conoscenza del contenuto degli elenchi.
Numerose e concordanti risultanze generano poi legittime perplessità
sugli antefatti dell'operazione di sequestro degli elenchi di cui si discute
e, quindi, sulla sorpresa, in via generale, che essa abbia potuto costituire
per Licio Gelli. Testimonianze in questo
senso sono state rese da vari personaggi al corrente delle vicende inerenti
alla Loggia P2: tali infatti le dichiarazioni del colonnello Massimo Pugliese
al giudice istruttore di Trento, da Placido Magrì, la cui fonte dichiarata
fu in proposito Francesco Pazienza, ed infine dall'ingegner Francesco Siniscalchi.
Questi accenni e queste indiscrezioni trovano conferma in un esame analitico
dell'operazione e dell'epoca in cui intervenne. Le operazioni di sequestro ordinate
dai giudici di Milano si pongono come conclusivo episodio di una vicenda di
contorni non chiari, ma di significato generale abbastanza definito.
Il sistema gelliano di potere sembra infatti entrare in crisi alla fine degli
anni Settanta, secondo quanto denunciano alcuni avvenimenti che intervengono
in quel periodo. Così il processo che Salvini subisce negli Stati Uniti
da parte della massoneria americana, motivato proprio in ragione delle sue compromissioni
con Gelli; processo, questo, del tutto anomalo, ma che non può non colpire
significativamente perché è comunque un dato di fatto che Salvini
pone termine anticipatamente al suo mandato, presentando le dimissioni da Gran
Maestro, con un gesto invero inusuale per un personaggio che si era dimostrato
quanto mai restio a simili passi. Così ancora è nel 1979 che i
Servizi segreti consegnano a Pecorelli l'informativa COMINFORM perché
questi ne faccia uso: senza anticipare le conclusioni che su questo punto verranno
tratte nel capitolo apposito, è questo un atto che non sì può
non interpretare come indubbio segno di incrinamento nel rapporto tra Gelli
e questo apparato.
Così ancora infine è nel 1979, secondo le testimonianze, che compare
presente in Italia Francesco Pazienza, uomo legato ai Servizi segreti in ambienti
internazionali, di non ben certa origine; il Pazienza è elemento comunque
sicuramente legato ai Servizi segreti italiani, ed in particolare al generale
Santovito, e ricopre un ruolo che non si riesce ad interpretare chiaramente
se si ponga in termini di vicarietà o successione, consensuale o meno,
rispetto a Licio Gelli. In questa prospettiva il Commissario Crucianelli ha
sottolineato l'autonomia acquisita dalla Loggia P2, come struttura obiettiva
che ha messo in moto meccanismi che prescindevano anche dagli stessi protagonisti
soggettivi: tale appunto Francesco Pazienza che vediamo subentrare a Gelli,
quasi automaticamente, nei rapporti con Roberto Calvi e con il generale Santovito.
L'elemento connotativo di questa situazione, nella quale il potere del Venerabile
sembra patire elementi di disturbo, se non di cedimento, è certamente
l'intervista che Licio Gelli rilascia al Corriere della Sera nel 1980, una iniziativa
invero sorprendente per un uomo che si era sempre mosso nella riservatezza più
assoluta e che in essa aveva trovato una delle armi più efficaci.
L'intervista di Gelli, letta attraverso l'ostentata sicurezza delle dichiarazioni,
sembra in realtà un messaggio che il capo della Loggia P2 invia all'esterno
come all'interno dell'organizzazione; di quell'organizzazione che aveva cautelato
con gli stratagemmi che abbiamo studiato nel precedente capitolo, è ora
egli stesso a svelare l'esistenza ed i contenuti, quasi a voler avvertire che
il riserbo di cui tutti si erano sino ad allora giovati poteva un giorno, in
parte od in tutto, cadere ad opera del suo stesso artefice.
Il quadro dì eventi che abbiamo disegnato fa da cornice alla perquisizione
di Castiglion Fibocchi ordinata dai giudici di Milano, titolari dell'inchiesta
su Michele Sindona, ai quali l'avviso della pista Gelli, inserito in un ampio
contesto istruttorio testimoniale e documentale, era stato fornito da un personaggio
notoriamente legato al finanziere siciliano per il quale aveva gestito in Sicilia
l'operazione di finto rapimento. Quale segno sia da attribuire a questa iniziativa
nei confronti di Gelli non può essere chiarito, ma certo essa si iscrive
nel complesso rapporto Gelli-Sindona, mostrando che la collaborazione tra i
due si era seriamente incrinata: l'interrogatorio reso da Miceli Crimi, in data
26 febbraio, ai giudici milanesi, mostra, al termine di una lunga, ostinata
reticenza, la chiara volontà di denunciare il Gelli.
Prendendo adesso in esame il materiale sequestrato proveniente alla Commissione
come frutto dell'operazione eseguita a Castiglion Fibocchi, un dato sopra ogni
altro colpisce l'attenzione dell'osservatore: la constatazione che il nucleo
della documentazione avente valore fondamentale ai fini dell'indagine non era
contenuto nella cassaforte dell'ufficio, suo naturale luogo di deposito, ma
in una valigia. Questa valigia conteneva, oltre ad una lista degli iscritti
alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività
e di quale rilievo la Loggia era implicata; si noti che qualora infatti la Guardia
di Finanza avesse provveduto al sequestro del solo materiale contenuto nella
cassaforte - nella quale erano altre copie dei soli elenchi - il dato conosciuto
agli investigatori sarebbe stato soltanto quello relativo all'appartenenza ad
una Loggia massonica di un certo gruppo di eminenti personalità.
Il materiale contenuto nella valigia ha invece la natura di denunciare al contempo
l'esistenza della Loggia, poiché contiene una ulteriore serie di elenchi,
nonché la sua valenza politica, per la natura dei documenti a quegli
elenchi annessi. Rimane pertanto dimostrato che il blocco di documentazione
a noi pervenuta ha una intrinseca reciproca funzionalità, perché
la valigia che li conteneva, oggetto invero strano per collocare materiale di
tal fatta, aveva un suo autonomo valore di eccezionale significato.
Avendo riguardo a queste considerazioni, l'importanza intrinseca dei documenti
contenuti nella valigia, esaminati nella loro reciproca correlazione, porta
a ritenere che questo materiale era verosimilmente inserito in un processo di
trasferimenti dell'archivio di Licio Gelli, che l'incerta e contrastata ultima
fase della vicenda del Venerabile, prima tratteggiata, rende attendibile ed
al quale siamo indotti a pensare sia per la costituzione, da far risalire a
questo periodo., della cosiddetta Loggia di Montecarlo, intesa da Gelli come
alternativa alla localizzazione italiana del centro delle sue attività,
sia dall'esistenza di una duplicazione dell'archivio in questione nella residenza
uruguayana del Venerabile.
Questa ricostruzione, che non possiamo collocare nell'ambito delle certezze
acquisite per l'incompletezza di informazioni su tale ultimo periodo, peraltro
riveste certamente connotati di estrema attendibilità. Quel che è
fuori dubbio è che comunque essa ci consente di affermare che la documentazione
in possesso della Commissione non può che essere presa in attenta e seria
considerazione per la primaria constatazione che essa si trovava al centro di
un complesso gioco nel quale i protagonisti le attribuivano altissimo valore,
e tra essi va ricordato il Comandante generale della Guardia di Finanza, autore
del maldestro tentativo di insabbiamento già ricordato.
Le considerazioni esposte sono riferite naturalmente agli attori espliciti di
questa vicenda ed ai suoi retroscena, ed in nulla attengono alla integrità
ed attendibilità dell'inchiesta giudiziaria e della operazione di sequestro
in sé considerata, come si evince se non altro dalle modalità
di esecuzione predisposte dall'organo inquirente ed attuate da quello procedente,
delle quali è testimonianza eloquente la denuncia che il colonnello Bianchi
effettuò dell'indebita ingerenza tentata nei suoi confronti dal superiore
gerarchico.