IL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA ED IL PRINCIPIO DEL CONTROLLO
L'analisi sviluppata nel
corso di questo capitolo trova puntuale conferma in due documenti di singolare
ed illuminante contenuto: il piano di rinascita democratica ed il memorandum
sulla situazione politica in Italia.
L'esame dei due documenti lascia ritenere che la loro redazione materiale sia
riconducibile a persona in grado di formulare analisi politiche non prive di
finezza interpretativa, nonché dotato di una preparazione giuridica di
ordine superiore; trattasi inoltre, e lo testimonia la padronanza di terminologie
proprie agli addetti ai lavori, di persona in dimestichezza con gli ambienti
parlamentari.
Il piano di rinascita democratica può essere datato, in ragione di riferimenti
interni, con sufficiente approssimazione, alla seconda metà del 1975
o agli inizi del 1976. Si tratta certamente di due testi comunque non redatti
dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza di cultura giuridica
specifica, ma da lui direttamente ispirati a persona molto vicina.
L'attenzione da rivolgere al piano di rinascita democratica è giustificata
dalla considerazione che il documento si pone come il risultato finale di una
serie di testi nei quali è consegnata al nostro studio una ideologia
che abbiamo già definito di stampo genericamente conservatore, contrassegnata
da una propensione di avversione al sistema nel suo complesso e da un superficiale
apprezzamento del ruolo dei quadri tecnici in rapporto alla dirigenza politica.
Sono queste le osservazioni già sviluppate, analizzando il verbale della
riunione di loggia del 1971, rispetto al quale il piano di rinascita democratica
si pone come una successiva e più sistematica articolazione.
Altro riferimento documentale al quale riportarsi è il piano elaborato
dal gruppo Sogno all'incirca nello stesso torno di tempo.
Va infine ricordato che la terza nota informativa dell'ispettore Santillo denuncia
la circolazione nell'ambiente della loggia di un documento del quale si riassumono
i punti principali, in modo da consentirci di affermare che il testo in questione
era il piano al nostro esame o documento estremamente simile.
I riferimenti formali e sostanziali enunciati ci consentono pertanto di collocare
nella giusta prospettiva il piano di rinascita democratica che, rispetto a questi
testi, si contraddistingue, secondo una linea di continuità, come la
più articolata e consapevole espressione di una somma di opinioni ed
idee che costituivano il minimo comune denominatore ideologico dei gruppi che
si
esprimevano nella Loggia P2. Come tale il piano non va né sottovalutato,
riducendolo a semplice manifesto propagandistico agitato soprattutto a fini
di confusione dell'osservatore esterno, né sopravvalutato considerandolo
come le immutabili tavole di un organismo che, come sappiamo, "metteva
al bando la filosofia". Un documento quindi che deve essere preso in considerazione
e studiato per quello che esso realmente vale: ovvero il riepilogo rivelatore
degli umori politici di ambienti determinati, la cui qualificata presenza nella
vita del Paese deve indurci a non trascurare alcun dettaglio conoscitivo.
In tale prospettiva lo studio del piano di rinascita democratica, sotto il profilo
dei contenuti, conferma la filosofia di fondo di stampo conservatore, o meglio
predemocratica secondo le parole del Commissario Ruffilli, che ci è nota,
concretando in tale direzione un ulteriore stadio di sviluppo quando si consideri
la finalizzazione che esso postula del funzionamento della società e
delle sue istituzioni al perseguimento dell'obiettivo della massima incentivazione
della produzione economica. Traspare infatti dalle righe di questo singolare
breviario politico, calata in una prospettiva genericamente tecnocratica, l'immagine
chiusa e non priva di grigiore di una società dove si lavora molto e
si discute poco.
L'analisi a tal fine svolta nel testo degli istituti politici ed amministrativi
viene condotta, con conoscenza di causa, nel dettaglio dei problemi: dalla riforma
del pubblico ministero agli interventi sulla stampa, dai regolamenti parlamentari
alla politica sindacale, sino alla legislazione antimonopolio ed a quella sull'assetto
del territorio, nulla sembra sfuggire all'attenzione dell'anonimo redattore
del documento eccezion fatta per i problemi del settore militare, secondo il
rilievo prima analizzato.
Il dato di analisi che occorre qui sottolineare è che il piano di rinascita
democratica non è un testo astratto dì ingegneria costituzionale,
come molti affermano proponendo incauti paragoni, né un documento di
intenti che lo possa qualificare come il manifesto della Loggia P2. Esso è
piuttosto un piano di azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predispone
in dettaglio le conseguenti linee di intervento e come tale ne arriva a preventivare
perfino il fabbisogno finanziario.
E facile constatare infatti che l'analisi in esso effettuata e le terapie
predisposte non appaiono astratte ed avulse dal concreto della realtà
politica italiana; valga per tutte considerare quanto previsto dal punto D dei
n. 3: "dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex
art.21 della Costituzione". Affermazione questa che offre ampi spunti di
meditazione quando si ponga mente alla data della sua formulazione (1975) nonché
alla singolare, a dir poco, preveggenza di quanto verificatosi successivamente.
Di maggior pregio il riscontro che le operazioni politiche effettuate in danno
della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano, sopra citate in
dettaglio, trovano nel testo puntuale e specifica previsione.
Si vuole ancora portare all'attenzione il passaggio del testo in cui possiamo
leggere: "Primario obiettivo ed indispensabile presupposto dell'operazione
è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità
dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali
e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori
e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici che non
superi (sic) il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte
devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore
morale tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti
rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e
nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare.
Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria
internazionale".
Non vi è difficoltà a riconoscere nel testo citato, al di là
del farisaico riferimento alle virtù degli affilati, una descrizione
fedele ed esauriente della Loggia Propaganda, dove non si sa se apprezzare di
più l'illuminante riferimento alla eterogeneità dei componenti
od il richiamo alla massoneria internazionale. Altra notazione da sottolineare
è il tipo di rapporto delineato con il mondo politico, per il quale si
avverte l'assoluta indifferenza verso precise scelte di campo, come quando,
in altro punto del testo, si ipotizza l'eventualità di avvicinare ("selezionare
gli uomini") esponenti di forze politiche diverse, appartenenti ad aree
persino opposte. Ma certo una delle
peculiarità del documento è l'approccio asettico e in certo senso
neutrale che esso prospetta nei confronti delle forze politiche, viste come
uno degli elementi del sistema sui quali influire, di nessuna sposando per altro
la causa politica in modo determinato. Rivelatore è in proposito il brano
dianzi citato, dove si legge: "uomini... tali da costituire un vero e proprio
comitato di garanti
rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano...".
Traspare da queste parole una concezione di subalternità e di strumentalità
della politica in genere che costituisce uno dei tanti motivi di riflessione
che siamo venuti a sottolineare nel corso del nostro lavoro sulla reale portata
del personaggio Gelli e sui possibili suoi punti di riferimento politico e strategico.
Come si può constatare, la ricostruzione sinora condotta dei rapporti
politici e dell'azione politica della Loggia P2 trova puntuale riscontro nei
contenuti del piano di rinascita democratica e viene pertanto confermata sul
versante ideologico oltre che su quello immediatamente operativo. A non dissimile
conclusione infatti possiamo pervenire, rispetto a quanto prima enunciato, affermando
che la vera filosofia di fondo, che permea le pagine di questo documento, è
quella di un approccio ai problemi della società, finalizzato al controllo
e non al governo dei processi politici e sociali. La denuncia inequivocabile
di questa concezione politica, sottesa a tutto il documento, sta proprio nel
ruolo subalterno che alle forze politiche viene assegnato nel contesto dei progetto
sistematico racchiuso nel documento, che a sua volta collima con il miraggio
dell'opzione tecnocratica intesa come alternativa a quella politica, secondo
una indicazione ricorrente sin dal primo documento in nostro possesso. Un ruolo
che abbiamo definito strumentale, secondo un rilievo che ci consente di affermare
a tutte lettere come la Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita conferma,
non sia in realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale,
né sia essa stessa filiazione del sistema dei partiti. Lungi infatti
dal porsi l'obiettivo di correggere le eventuali disfunzioni di tale sistema,
essa s'innesta su di esse ed esse mira a coltivare ed incentivare; perfettamente
logico appare, in tale distorta prospettiva, che nel piano di rinascita democratica
si prospetti la creazione di due nuove formazioni politiche in funzione di contrappeso
a quelle esistenti.
Ci si svela, in questi passaggi nei quali si prevede di "selezionare gli
uomini" e di intervenire sulle formazioni politiche esistenti, una delle
connotazioni principiali del progetto politico della Loggia P2, individuata
dal Commissario Occhetto nell'operare attraverso continue mediazioni, che si
innestano nelle divisioni del sistema, una continua ricomposizione della classe
dirigente.
La logica del controllo, vera chiave di volta interpretativa della storia della
Loggia P2, è appunto quella di interagire sulle forze presenti nel sistema,
e tra queste e le forze politiche, pedine sulla scacchiera alla pari delle altre,
per pervenire al raggiungimento degli obiettivi del piano non con assunzione
diretta di responsabilità, ma per via di delega: sono questi i politici
ai quali affidare
l'attuazione del piano che l'ignoto redattore qualifica con sinistra e involontaria
ironia, "onere".
La logica del controllo contrapposta a quella del governo balza qui in evidenza
con tutta la cinica consequenzialitàdi una visione politica che tende
a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei cittadini,
politicamente intesa. E alla razionalizzazione degli apparati e dei processi
produttivi, infatti, non del sistema di rappresentanza della volontà
popolare - del quale i partiti sono manifestazione - che il piano sintomaticamente
si finalizza con lucida coerenza: una razionalizzazione che appare calata dall'alto
- o iniettata dall'esterno? - e che non promana come frutto dei processi politici
attraverso i quali una società libera e vitale esprime le proprie tensioni
e trova i suoi assetti istituzionali.
Questo è il limite storico del piano di rinascita e dell'esperimento
politico della Loggia P2: il vizio d'origine che ne fa una soluzione alla lunga;
perdente per una società nella quale la libera dialettica delle diverse
scelte politiche costituisce presupposto imprescindibile per la vita delle istituzioni.
Ma sarebbe assurdo e pericoloso adagiarsi su tale certezza e non riconoscere
che in
quella libera dialettica, o meglio nelle sue possibili disfunzioni, si può
celare il punto nevralgico di possibili debolezze sulle quali fenomeni come
la Loggia P2 s'innestano e fanno leva per dispiegare, in tal modo, tutta la
forza di eversione corruttrice di cui sono potenzialmente capaci.
In questo ordine di idee possiamo allora affermare che la Loggia P2 si contraddistingue
per una connotazione politica che ci è dato definire come di sostanziale
neutralità, volendo con tale termine individuare in primo luogo la potenzialità
del progetto, al di là delle pregiudiziali ideologiche, ad uniformarsi
alle situazioni politiche che si determinano nel sistema, quella che il Commissario
Padula ha chiamato la versatilità della Loggia P2, ovvero la sua capacità
di adattamento. Neutralità che non deve peraltro confondersi con una
generica indifferenza verso le vicende politiche che, al contrario, ricevono
un diverso grado di attenzione e quindi di tradimento,
secondo quanto ci dimostra l'analisi storica effettuata ed il diverso impegno
programmatico ed organizzativo che da essa traspare nelle vicende dell'organismo
studiato. Neutralità vuole infine indicare la sostanziale posizione di
esteriorità nella quale il sistema viene collocato dal progetto piduista:
un sistema che viene prospettato come entità esterna da sottoporre, per
l'appunto, a controllo. In questo senso la Loggia P2 attraversa, per usare l'espressione
del Commissario Rizzo, il potere politico senza identificarsi mai completamente
con esso; stabilisce rapporti e contatti con le forze politiche organizzate
in partiti, che il dato delle affiliazioni indica in modo emblematico, ma di
certo non esaurisce, però si pone comunque sempre rispetto ad esse, come
del resto rispetto alle altre situazioni con cui entra in contatto, in termini
di esternità, ovvero di strumentalizzazione.
Un esempio di questo ambiguo rapporto che la Loggia P2 intesse con il potere
può essere individuato nella vicenda del Presidente della Repubblica,
Giovanni Leone, nel senso indicato dal Commissario Petruccioli quando ha rilevato
come il Gelli che rivolge le sue blandizie al neoeletto Presidente, pervenendo
a farsi da questi ricevere, ed il Gelli che si vanta con l'onorevole Craxi di
poter condizionare la suprema magistratura della Repubblica, non solo non siano
figure in contrasto tra loro ma possano in ipotesi essere considerati due concordanti
aspetti di un identico modo di porsi di fronte al potere politico. Una ipotesi
questa che la gravità del problema e l'altissima responsabilità
che ne viene interessata impongono di prendere in attenta e non preclusiva considerazione.
In armonia con queste considerazioni si pone l'insistente accenno al ruolo dei
tecnici, contrapposti dialetticamente ai politici più che ad essi coordinati
in funzione di ausilio e collaborazione: è infatti nella rottura dell'equilibrio
tra decisione politica ed attuazione tecnica che viene individuato, con modernità
di approccio, un cuneo di inserimento per l'attuazione dell'operazione di controllo.
Ponendosi in questa prospettiva esegetica possiamo allora allargare ad un più
generale ordine di considerazioni lo spunto interpretativo emerso nel capitolo
riservato ai vertici militari, per affermare che una delle idee centrali della
operazione piduistica è appunto la riscoperta e l'accentuazione del valore
mediatamente politico che gli apparati rivestono al di là ed oltre l'immediata
fruibilità meramente tecnica ed esecutiva che di essi sembra avere una
diffusa seppur non apertamente professata cultura di governo.
Ancora una volta, per apprezzare il rilievo del progetto piduistico, dobbiamo
scendere sul piano dei contenuti, osservando che negli elenchi di Castiglion
Fibocchi sotto questo profilo non è tanto l'aspetto quantitativo, il
numero degli iscritti, a colpire l'attenzione; non è cioè il fatto
che vi si trovino molti direttori generali di ministero, ma il rilievo che ve
ne sono alcuni che sono titolari di precise determinate direzioni generali,
quali ad esempio il direttore generale del Tesoro e il segretario generale della
Farnesina. Sono questi titolari di funzioni sul cui tavolo passa quanto di decisivo
e di politicamente significativo interessa un ministero, incarichi il cui peso
ed il cui significato possono essere apprezzati solo prendendo a metro di paragone
il ruolo del ministro.
Comprendiamo allora perché nel piano di rinascita venga prospettato il
reinserimento dei segretari generali nei ministeri, di un istituto amministrativo
cioè invalso nell'epoca liberale e poi largamente caduto in disuso, anche
per la sua funzione di stabile contraltare amministrativo contrapposto dialetticamente
alla provvisorietà dei titolari del dicastero. Il progetto politico piduista
mira a ristabilire queste situazioni per garantirsi l'esistenza di una rete
permanente ad alto livello nella quale potersi inserire ed esplicare quella
funzione di controllo che, come abbiamo già detto, costituisce la chiave
di volta di tutta l'operazione: una funzione di controllo messa al riparo della
naturale provvisorietà che contrassegna l'evoluzione delle fasi politiche.
Ci si mostra ancora una volta, nel dettaglio analitico, la lucidità di
un disegno che dà pregio a quel dato di antica conoscenza sulla stabilità
degli apparati e sul loro perpetuarsi attraverso diversi regimi.
La individuazione di questa filosofia di condizionamento surrettizio delle strutture
non può non indurre ad alcune considerazioni sul pericolo di un distorto
rapporto tra il potere politico, che ripete la sua legittimazione dai processi
elettivi, e il potere burocratico, in sé autoperpetuantesi: è
attraverso le smagliature di tale sistema che possono venire a crearsi i punti
di attacco per operazioni che nel loro risultato finale finiscono per porsi
come fenomeni sostanzialmente eversivi. E non è chi non veda come un
rapporto tra queste due attività di governo, pur diverse per segno ed
intensità, che si consumi in situazioni di traumatico impegno che la
prima può esercitare sulla seconda al momento della nomina, in quella
fase concentrando tutto il suo potere di primazia, può dare spazio ad
una debolezza del sistema che sarebbe pernicioso sottovalutare.
Lo studio del fenomeno P2 ci ricorda che l'attività di governo consiste
anche in un pedestre rinvio alla quotidianità, nella applicazione vigile
allo sviluppo delle cose e degli eventi attraverso il loro apparentemente insignificante
dettaglio: quella che, con terminologia a torto superata, veniva chiamata l'arte
del buon governo.
In questo senso possiamo affermare che la vicenda della Loggia P2 rappresenta
la rivincita degli apparati poiché vale a riportare alla nostra attenzione
la constatazione di indubbio rilievo politico che il funzionamento fisiologico
di un sistema democratico risiede non solo nella presenza di una opinione pubblica
vigile e matura, ma altresì nel corretto funzionamento delle strutture
di governo, considerate anche nelle loro ramificazioni operative e nella garanzia
che il potere politico assicuri, alla comunità e per conto della comunità,
la loro affidabilità.
E questa una concezione che, come abbiamo accennato, denota una modernità
di impostazione che sarebbe pernicioso sottovalutare, poiché una simile
posizione rimarcherebbe una non corretta comprensione del rilievo che, lo sviluppo
tecnologico e la molteplicità di compiti che ad uno Stato moderno vengono
assegnati, comportano in termini di immediata valenza politica. Lo sviluppo
degli apparati, che in un moderno Stato industriale corre in parallelo all'allargamento
della base democratica di consenso - secondo un nesso di inscindibile correlazione
funzionale, con esso ponendosi in rapporto di consequenzialità - impone
alle forze politiche una non effimera ed approfondita rimeditazione del rapporto
da instaurare con strutture che, lungi dal rappresentare l'elefantiaca espansione
delle articolazioni amministrative elaborate dallo Stato liberale, sono l'indispensabile
strumento che consente alla volontà politica dei cittadini, fondamento
dello Stato democratico, di tradursi in modelli di libertà e benessere.