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L’ATTENTATO AI MAGAZZINI COIN DI MESTRE DEL 27 MARZO 1970
L’attentato dimostrativo ai magazzini COIN di Mestre, pur nella modestia dell’accadimento, confinato per pochi giorni nella cronaca dei quotidiani locali, costituisce uno dei nodi centrali di questa istruttoria e dell’istruttoria collegata, in corso presso la Procura della Repubblica di Milano, in quanto esso segna la ricomparsa della gelignite utilizzata a Trieste e Gorizia e probabilmente anche per gli attentati più gravi, e le reazioni, altrimenti ingiustificate, di Piero ANDREATTA e degli uomini vicini a Delfo ZORZI rimasti a Mestre, accese dalle indagini allorchè hanno toccato tale episodio, dimostrano che da tale filo era possibile, come è stato anche se solo in parte, risalire all’intera matassa.
Di tale episodio ha parlato sin dai primi interrogatori e più volte, anche per progressive messe a fuoco sollecitate dal sempre maggiore interesse degli inquirenti, Martino SICILIANO.
In sintesi:
- Piero ANDREATTA si era presentato nella sede di Via Mestrina con un ordigno
costituito da due o tre candelotti di gelignite e dal solito innesco costituito
dall’orologio da polso con il perno nel quadrante, la batteria e i fili elettrici,
pregando Martino SICILIANO di provvedere al collegamento dell’innesco (int.
18.10.1994, f.10).
- SICILIANO aveva aderito alla richiesta, ma, non essendo in grado di ripetere
esattamente l’operazione come gli era stata insegnata prima degli attentati
di Trieste e Gorizia, aveva avvisato ANDREATTA che l’ordigno non era in condizioni
di sicurezza (int. 25.1.1995, f.3).
E’ quindi probabile che ANDREATTA abbia deciso di cambiare il programma operativo,
utilizzando una comune miccia come del resto risulta dal rapporto di polizia
giudiziaria relativo all’episodio.
- I candelotti che ANDREATTA aveva portato, gelignite avvolta in carta paraffinata
rossa, erano assolutamente identici a quelli visti da SICILIANO l’ottobre precedente,
durante la spedizione a Trieste e Gorizia (int.25.1.1995, f.3).
- Il movente dell’attentato dinamitardo era prevalentemente di carattere personale,
anche se venato di coloriture politiche, in quanto ANDREATTA intendeva "vendicare"
una ragazza a lui legata, dipendente del COIN, che aveva avuto problemi all’interno
dell’azienda (int. 18.10.1994, f.7).
Focalizzando meglio tale aspetto, una volta accertato che Giuseppe FREZZATO
conviveva all’epoca con Ivana PESCE, dipendente del COIN e sorella di Fiorenzo
PESCE, in stretti rapporti commerciali con ANDREATTA nell’ambito dell’Associazione
Italia-Benin, Martino SICILIANO ha ritenuto più probabile, per un errore della
sua memoria o per un’ambiguità della confidenza di ANDREATTA, che il movente
dell’episodio fosse riconducibile a FREZZATO (int. 28.3.1996, f.4).
L’aiuto era stato chiesto a Martino SICILIANO personalmente da ANDREATTA solo
perchè i rapporti fra i due, all’epoca, erano già molto stretti, mentre la conoscenza
di FREZZATO da parte di SICILIANO era molto superficiale.
Si noti che Piero ANDREATTA svolgeva all’epoca attività commerciale in Africa
non solo per conto di Fiorenzo PESCE, ma anche di Stefano TRINGALI che era suo
socio e costoro facevano riferimento, sempre sul piano commerciale, a Delfo
ZORZI (int.28.3.1996, f.5).
- Inoltre pochi giorni prima dell’attentato, Delfo ZORZI aveva chiesto a SICILIANO
di fare un giro in motoretta intorno a Piazza Barche, con la Vespa di un giovane
presente in quel momento con loro nella piazza, e di calcolare il tempo che
consentiva di allontanarsi con tale mezzo dai magazzini COIN e porsi al riparo
da una situazione di allarme (int. 28.8.1996, f.2).
ZORZI aveva spiegato a SICILIANO che era in programma qualcosa contro i magazzini
COIN, in risposta ad uno sciopero in occasione del quale era stato impedito
un volantinaggio di destra.
SICILIANO aveva accettato di fare il controllo con la motoretta, facendo comunque
presente a ZORZI che non intendeva occuparsi di tale azione.
Delfo ZORZI, forse anche in ragione della sua diversa personalità, aveva quindi
dato a SICILIANO una spiegazione dell’azione in programma un po’ diversa da
quella fornita da ANDREATTA accentuandone il carattere più propriamente politico
(int.28.8.1996, f.2) e di risposta ad una iniziativa sindacale.
L’attentato ai magazzini COIN veniva individuato in quello avvenuto la notte fra il 27 e il 28 marzo 1970, collocando un ordigno a miccia alla base di una vetrata.
L’attentato era avvenuto il giorno precedente a quello in cui era già stato proclamato uno sciopero dei dipendenti indetto dalle confederazioni sindacali e, nonostante le indagini svolte, gli autori erano rimasti ignoti (cfr. nota della Digos di Venezia in data 17.12.1996 e atti allegati).
Non risultava nemmeno difficile mettere a fuoco, in base agli atti raccolti dalla Digos di Venezia, le figure di Piero ANDREATTA e Giuseppe FREZZATO, entrambi militanti di destra di Mestre, il primo iscritto al M.S.I. e il secondo alla CISNAL, entrambi legati ad ambienti della piccola malavita comune e ANDREATTA comunque vicino, anche per rapporti amicali, all’area di Ordine Nuovo (nota Digos Venezia citata, ff.5-6 e 19-20; nota R.O.S. in data 16.5.1995 relativa a FREZZATO, vol.1, fasc.19).
Si noti che dai successivi accertamenti risultava che non solo Ivana PESCE, ma anche un’altra donna legata all’epoca a Giuseppe FREZZATO, e cioè Rita TOSATTO (con la quale, in seguito, FREZZATO era emigrato in Argentina), era dipendente dei magazzini COIN di Piazza barche, per cui il movente accennato da Martino SICILIANO poteva riferirsi tanto all’una quanto all’altra donna essendo fra l’altro entrambe simpatizzanti di destra (int. SICILIANO, 9.10.1996, f.3).
Lo sviluppo delle indagini relative a tale attentato, di grande interesse per i profili di collegamento con l’esplosivo usato per gli attentati più gravi, e le reazioni suscitate nell’ambiente di Mestre dalle attività degli inquirenti confermavano che con l’attentato al COIN si era toccato quasi certamente un tasto delicatissimo e di importanza centrale per comprendere la dinamica materiale dell’attività del gruppo mestrino e i rapporti passati e presenti fra i vari soggetti.
Si ponga attenzione allo snodarsi degli avvenimenti in ordine cronologico:
- In data
6.1.1995 Piero ANDREATTA, rientrato momentaneamente dall’Africa insieme alla
moglie, originaria del Benin, viene sentito da questo Ufficio in qualità di
indiziato in relazione all’attentato al COIN di Mestre.
Nega ogni responsabilità, affermando addirittura di aver fatto parte della componente
"moderata" del M.S.I. (quella facente riferimento all’on. MICHELINI)
e riparte per l’estero qualche giorno più tardi.
- A seguito di decreto di intercettazione telefonica disposta da questo Ufficio,
viene intercettata, il 15.1.1995, una conversazione telefonica dal Giappone
intercorsa fra Delfo ZORZI e Piercarlo MONTAGNER.
I due discutono del comportamento di ANDREATTA (chiamato "l’Africano"
o quello che ha "sposato la negra"), commentano con soddisfazione
il fatto che ANDREATTA non avesse avuto una "crisi mistica" (cioè
non stesse collaborando con gli inquirenti) e che fosse ripartito per l’Estremo
Oriente, ove ZORZI intendeva rintracciarlo e controllarlo, e accennano alla
necessità di offrire ad ANDREATTA, in precarie condizioni finanziarie, una buona
opportunità commerciale che doveva favorire, evidentemente, il mantenimento
di tale linea processuale (cfr. nota R.O.S. in data 25.1.1995 e allegata trascrizione
della telefonata, vol.46. fasc.1, ff.104 e ss., e anche, sul punto, int. SICILIANO,
25.1.1995, ff.4-5).
- In data 19.6.1995, il Pubblico Ministero, nell’ambito dell’indagine nuovo
rito nel frattempo aperta, procedeva all’audizione di Paola ROSSI, simpatizzante
di destra di Mestre e soprattutto amica di vecchia data di Piero ANDREATTA,
Piercarlo MONTAGNER e Stefano TRINGALI.
La testimone riferiva di aver incontrato ANDREATTA a Mestre, nel mese di gennaio,
pochi giorni dopo l’interrogatorio svolto da questo Ufficio, e che ANDREATTA
le aveva riferito di essere stato chiamato in causa da Martino SICILIANO per
l’attentato al COIN, attentato che egli aveva effettivamente commesso badando,
comunque, che l’ordigno non esplodesse mentre delle persone transitavano nei
pressi (dep. citata, ff.1-2).
Paola ROSSI aggiungeva che nello stesso mese di gennaio ANDREATTA le aveva chiesto
in prestito la propria vettura per recarsi all’aeroporto di Tessera e incontrarsi
con Rudi ZORZI, fratello di Delfo (f.2).
Con tale decisiva deposizione si chiudeva così il cerchio in merito alla responsabilità
di Piero ANDREATTA per l’attentato del marzo 1970.
- Qualche giorno prima comunque, il 26.5.1995, era stato nuovamente sentito
Piero ANDREATTA alla presenza sia del Giudice Istruttore sia del Pubblico Ministero.
Nel corso dell’interrogatorio, a tratti drammatico, ANDREATTA inizialmente negava
ancora ogni responsabilità in merito all’episodio che gli veniva contestato
e negava anche di avere ancora intrattenuto, in quel periodo, contatti con Delfo
ZORZI e le persone a lui vicine, ad eccezione di qualche incontro con Piercarlo
MONTAGNER finalizzato peraltro a comprendere in quale direzione si stessero
muovendo le indagini milanesi (f.6).
Una volta mostrate ad ANDREATTA le fotografie scattate dal personale del R.O.S.
in data 26.1.1995, che lo ritraevano all’aereoporto Tessera insieme a Rudi ZORZI
(cfr. nota R.O.S. in data 31.1.1995, vol.46, fasc.2, f.2), egli aveva un momento
di cedimento iniziando a raccontare circostanze di grande interesse per le indagini
e soprattutto utili a comprendere cosa si stesse muovendo per cercare di controllarle
e di bloccarle.
Continuava infatti a negare di aver personalmente partecipato all’attentato,
ma dichiarava di aver visto, nel portabagagli dell’autovettura di Giuseppe FREZZATO,
otto o nove candelotti di gelignite che questi gli aveva detto essere destinati
all’attentato al COIN (f.7).
Presa visione di una fotografia facente parte dei rilievi tecnici relativi agli
attentati di Trieste e Gorizia, ANDREATTA dichiarava che i candelotti visti
nell’autovettura di FREZZATO erano esattamente di quel tipo, avvolti in carta
di colore rosso bordeaux (f.7).
Ammetteva di aver incontrato Rudi ZORZI all’aeroporto, tramite un appuntamento
procurato da MONTAGNER, di avergli riferito le proprie preoccupazioni per quanto
stava avvenendo e che aveva "bisogno di una mano" anche in quanto
si era reso conto di essere stato interrogato per una cosa piccola (l’attentato
al COIN) che si collegava tuttavia ad una molto più grande (evidentemente
la strage di Piazza Fontana).
ANDREATTA, partito per l’Estremo Oriente dopo aver avuto assicurazione che il
messaggio era stato trasmesso a Delfo ZORZI, era stato raggiunto telefonicamente
da questi in un albergo di Canton (f.9).
ZORZI lo aveva intrattenuto al telefono per quasi due ore facendosi dire tutto
quanto a sua conoscenza sull’andamento delle indagini dandogli consigli su come
comportarsi e facendogli, non a caso, presente di avere offerto a Martino SICILIANO
"un lavoro a Pietroburgo da 4 o 5 mila dollari al mese", allusione
indubbiamente allettante per lo squattrinato ANDREATTA (f.10).
I contatti attivati da ANDREATTA dopo l’interrogatorio del gennaio 1995, a seguito
del quale egli si era probabilmente accorto che quanto a sua conoscenza in merito
all’attentato al COIN e ad altre circostanze era più importante di quanto potesse
immaginare e forse un utile mezzo di scambio, non si erano tuttavia fermati
qui.
Aveva infatti incontrato il dr. MAGGI, sempre nel mese di gennaio, in casa dell’avv.
PARISI e anche con il dottore aveva parlato di quanto stava avvenendo sul piano
delle indagini.
Il dr. MAGGI gli aveva detto, con aria stanca e preoccupata, che in quei giorni
i Carabinieri lo stavano contattando per sondare la possibilità di una sua collaborazione
e che aveva pertanto bisogno di aiuto (f.11).
ANDREATTA gli aveva così procurato un contatto con Rudi ZORZI e i tre erano
si erano incontrati a Venezia, in Piazzale Roma, dove Rudi ZORZI e il dr. MAGGI,
parlando separatamente, si erano evidentemente accordati in merito all’aiuto
da prestare all’ex-Reggente di Ordine Nuovo del Triveneto in difficoltà (f.11).
Piero ANDREATTA ha confermato tali circostanze anche in successivi interrogatori
dinanzi al P.M. di Milano (31.5.1995, 1°.6.1995 e 6.6.1995) in occasione dei
quali egli aveva cominciato a parlare anche dei traffici di armi che alla fine
degli anni ‘60, anche con l’aiuto di Leopoldo BERGANTIN, stavano avvenendo all’interno
della cellula di Ordine Nuovo di Mestre (cfr. int. al P.M., 1°.6.1995, f.3),
ma anche in un successivo confronto con Paola ROSSI, che pure ha confermato
il tenore delle confidenze ricevute da ANDREATTA (confronto dinanzi al P.M.
in data 22.12.1995), egli ha continuato a negare la sua responsabilità in ordine
all’attentato al COIN chiudendosi, a partire da tale momento, in un assoluto
mutismo.
- Grazie ad un provvedimento, adottato da questo Ufficio, di controllo e di
ritardata consegna della corrispondenza del dr. Carlo Maria MAGGI, veniva acquisita
copia di una lettere inviata da questi al suo difensore, acquisizione del tutto
legittima ai sensi dell’art.341 c.p.p. del 1930 trattandosi di corrispondenza
non ancora pervenuta al difensore stesso.
In tale lettera il dr. MAGGI fa riferimento al fatto che Piero ANDREATTA aveva
fatto capire nell’ambiente di non collaborare, commentando con soddisfazione
"ed è già qualche cosa", prova questa, anche a prescindere dagli equilibrismi
di ANDREATTA che pur qualcosa si era lasciato sfuggire, che il gruppo teneva
moltissimo al fatto che non fossero rivelate le circostanze, magari poche ma
cruciali, che ANDREATTA aveva vissuto di persona (cfr. lettera allegata alla
nota R.O.S. in data 8.6.1995, vol.46, fasc.4, ff.28 e ss.).
- Anche se puň apparire incredibile, alla luce delle ammissioni di ANDREATTA
nell’interrogatorio reso in data 26.5.1995, questi ha continuato, per tutto
l’anno successivo, a frequentare assiduamente MONTAGNER e TRINGALI cioè coloro
che, per conto di Delfo ZORZI, stavano cercando di impedire, tentando in particolare
di screditare la testimonianza di Paola ROSSI, che nuove testimonianze peggiorassero
ulteriormente la situazione processuale di Delfo ZORZI e del suo gruppo.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali, estremamente mirate ed efficaci,
disposte dalla Procura della Repubblica di Milano e riassunte nell’annotazione
della Digos di Venezia in data 24.5.1996 hanno infatti evidenziato, senza alcun
margine di dubbio, che l’attentato al COIN era avvenuto così come rievocato
da Martino SICILIANO, per ragioni connesse al maltrattamento di una donna di
destra durante un picchetto sindacale, e l’insistenza con cui gli uomini di
Delfo ZORZI parlano di tale marginale episodio ne testimonia invece l’importanza,
quantomeno sotto il profilo dell’esplosivo usato, e il suo collegamento con
i fatti più gravi.
Infatti, da tali intercettazioni si desume con estrema chiarezza che Piero ANDREATTA
è stato aiutato economicamente da Delfo ZORZI per il suo personale silenzio
in merito a tale episodio e ha continuato a chiedere aiuti economici sempre
maggiori, tanto da infastidire MONTAGNER che lo considerava una sorta di "pensionato"
a vita del gruppo di ZORZI.
D’altronde Piero ANDREATTA, dinanzi ai suoi interlocutori, poteva rivendicare
a sé di essersi "sacrificato" in favore dell’ambiente, salvando con
il suo silenzio (che gli era costato il divieto di espatrio, gravissimo in relazione
alle sue attività commerciali) l’intera organizzazione.
Inequivoche in tal senso sono le frasi, riportate nell’annotazione, "se
dovessi dire sì, sono io il colpevole di COIN comincia tutto, questo è il punto...."
e "Piero che sa tutto, il Piero, se va a parlare...."
Inoltre Piero ANDREATTA poteva rivendicare a sé dinanzi ai camerati,
come emerge sempre dalle intercettazioni, il merito di avere messo di nuovo
in contatto, quasi casualmente, nel gennaio 1995, il dr. MAGGI con Delfo ZORZI,
impedendo così che il dottore, in piena crisi, decidesse di collaborare
con i Carabinieri e consentendo in suo favore da parte di ZORZI un intervento
più rapido ed efficace di quello che era stato attivato con Martino SICILIANO
il quale aveva comunque "disertato" e si era affidato ai rappresentanti
dello Stato.
Tale recupero del dr. MAGGI, prossimo a cedere, da parte dell’organizzazione
era stato la precondizione che aveva portato, nell’agosto del 1995, alla presentazione
da parte del dottore dell’esposto contro i Carabinieri, contromossa ispirata
da Delfo ZORZI in un’ottica di inquinamento delle indagini (cfr. annotazione
Digos di Venezia citata, f.19).
- Le manovre di "ricatto" e di inquinamento in merito al pur modestissimo
attentato al COIN non sono tuttavia terminate qui e non sono nemmeno state interrotte
dall’arresto di ANDREATTA, MONTAGNER e TRINGALI, nell’estate del 1996, per il
reato di favoreggiamento aggravato.
Nel maggio del 1996, il Giudice Istruttore di Venezia, dr. Carlo Mastelloni, nell’ambito dell’istruttoria relativa all’abbattimento dell’aereo ARGO 16 avvenuto nel 1973, con una coincidenza che testimonia comunque la circolarità delle indagini in questa materia, disponeva una perquisizione nell’abitazione di Baden FREZZATO, padre di Giuseppe e all’epoca dei fatti, nella sua veste di sottufficiale dell’Esercito, custode dell’hangar ove normalmente sostava l’aereo poi abbattuto.
Nell’immediatezza della perquisizione Fiorella FREZZATO, sorella di Giuseppe, molto scossa, riferiva al personale del R.O.S. di Padova incaricato della perquisizione di avere ricevuto pochi giorni prima, l’8.5.1996, una visita di Ivana PESCE, negli anni ‘70 sentimentalmente legata a suo fratello Giuseppe e che da questi aveva avuto una figlia di nome Erika.
Ivana PESCE, facendo presente di essere in gravi difficoltà economiche anche in quanto Giuseppe FREZZATO non aveva mai passato gli alimenti per la figlia Erika, prospettava la necessità di ricevere dalla famiglia FREZZATO la somma di 10 milioni.
Solo in tal caso avrebbe evitato di testimoniare contro Giuseppe FREZZATO, coinvolto, secondo lei, nella "vicenda relativa ad un attentato in danno del COIN" (cfr. dep. Fiorella FREZZATO, 31.5.1996, f.7).
Nell’occasione Ivana PESCE aveva anche fatto il nome di Martino SICILIANO (f.8).
Fiorella FREZZATO ricordava di aver sentito parlare in casa, all’epoca dei fatti, di tale attentato e che suo fratello e Ivana PESCE, discutendo dell’episodio, avevano fatto riferimento a Piero ANDREATTA e alle conseguenze di quanto era avvenuto.
Giuseppe FREZZATO aveva esclamato "Hai visto? Non è successo niente. E’ solo venuta giù una vetrina, ma l’hanno rimessa su e stanno tornando a lavorare come prima" e Ivana PESCE aveva risposto "Giuseppe, stai attento perché se no ti denuncio" (dep Fiorella FREZZATO al G.I. di Venezia, 7.6.1996, f.2, e a questo Ufficio, 13.6.1996, f.2).
Nonostante la chiarezza di questo insieme di circostanze e di questo scambio di battute, soprattutto se lette alla luce del racconto di Martino SICILIANO, Ivana PESCE, sentita da questo Ufficio in data 28.9.1996, pur ammettendo di essersi recata da Fiorella FREZZATO e di avere chiesto del denaro in favore della figlia Erika, ha negato di avere fatto alcun riferimento all’attentato ai magazzini COIN.
Si noti del resto che Ivana PESCE, già sentita in data 29.4.1995, aveva assunto anche allora un comportamento estremamente reticente, ammettendo a malapena di essere stata iscritta per qualche tempo, proprio su richiesta di FREZZATO, al sindacato CISNAL del settore commercio (dep. citata, f.3).
Indipendentemente dall’eventuale rilevanza penale della vicenda narrata da Fiorella FREZZATO e tenendo presente che la sua testimonianza appare assolutamente spontanea e credibile, è estremamente significativo che un episodio in sé modesto e privo di dirette conseguenze penali come l’attentato del 27.3.1970 possa essere ancora ragione di ricatti e pressioni.
In realtà l’intera vicenda dell’attentato rievocata da Martino SICILIANO porta a due significative conclusioni di grande rilevanza per il complesso delle indagini che sono state svolte:
- le modalità con cui si era giunti all’esecuzione dell’attentato non dovevano assolutamente essere rivelate poiché la gelignite utilizzata era appartenente allo stesso lotto, entrato nella disponibilità della cellula di Mestre (e proveniente certamente da Roberto ROTELLI), utilizzato per gli attentati dell’ottobre 1969 a Trieste e Gorizia e con ogni probabilità entrato a far parte anche del materiale esplosivo raccolto per gli attentati del 12.12.1969.
Piero ANDREATTA, soggetto instabile e processualmente pericoloso a differenza di Giuseppe FREZZATO, irraggiungibile in Argentina, doveva essere blandito e comprato da Delfo ZORZI e dal suo gruppo purchè non rivelasse in qual modo, per tale episodio, era stato acquisito l’esplosivo e quindi dove fosse il deposito di pronto uso di cui la cellula di Ordine Nuovo disponeva a Mestre, deposito più prossimo alla base d’azione del gruppo rispetto a quello di Paese (int. SICILIANO, 5.8.1996, f.4).
Con ogni probabilità il deposito da cui provenivano tali candelotti di gelignite era lo stesso casolare nei pressi di Mestre ove, nel 1974, Marcello SOFFIATI avrebbe in seguito ritirato l’ordigno, composto anch’esso da candelotti di gelignite, trasportato prima a Verona e poi a Milano per essere inviato a Brescia (int. DIGILIO, 4.5.1996, ff.2-4).
Sempre in termini probabilistici puň ritenersi che tale casolare sia quello ubicato fra Mirano e Spinea di cui ZORZI e il suo gruppo, all’epoca, già disponevano, utilizzato soprattutto per l’apposizione di marchi contraffatti sugli articoli di pelletteria destinati ad essere esportati in Estremo Oriente (int. SICILIANO, 16.6.1996, ff.1-3; 2.8.1996, f.3, e, in merito all’identificazione del casolare, nota R.O.S. in data 24.7.1996, vol.6, fasc.4, ff.46 e ss.).
- Quasi casualmente le indagini sull’attentato al COIN e l’agitarsi di ANDREATTA dopo il suo interrogatorio del 6.1.1995 hanno reso possibile il riannodarsi dei contatti fra Delfo ZORZI e il dr. MAGGI e il "recupero" di quest’ultimo da parte del gruppo proprio nei giorni in cui, grazie ai colloqui investigativi effettuati dal personale del R.O.S., il dr. MAGGI sembrava prossimo a convincersi dell’opportunità di assumere un atteggiamento quantomeno di "dissociazione".
Non è un caso che il dr. MAGGI, anch’egli, come ANDREATTA, in precarie condizioni economiche, in due lettere acquisite in copia e portanti le date 9.8.1995 e 1°.11.1995 accenni al suo difensore a sostanziosi contributi finanziari che sta per ricevere da un "amico" (cfr. note R.O.S. in data 18.8.1995 e 8.11.1995 e lettere allegate, vol.46, fasc.4, ff.83 e ss. e 88 e ss.).
Così come è avvenuto per ANDREATTA, il vacillante silenzio del dr. MAGGI è stato certamente comprato dal camerata proprietario di un ingente impero commerciale e finanziario.
E’ probabile che solo a "transazione" avvenuta il dr. MAGGI, nell’agosto del 1995, quando peraltro i colloqui investigativi erano cessati da sei mesi, abbia deciso, in cambio, di presentare l’esposto contro il personale del R.O.S. ispirato da ZORZI quale condizione vincente per frenare le indagini (cfr. nota della Digos di Venezia in data 24.5.1996, f.19).
Purtroppo, come è noto, tale esposto è stato coltivato, con zelo degno di migliore causa, dall’A.G. di Venezia ottenendo così parte del risultato che i suoi ispiratori si erano prefissati.
A seguito della discovery degli atti seguita, nel giugno 1997, all’arresto del dr. MAGGI e all’emissione di ordinanza di custodia cautelare anche nei confronti di Delfo ZORZI, sono emerse comunque le prove del pagamento di una somma assai sostenuta al dr. MAGGI, così come le prime emergenze contestuali all’interrogatorio di ANDREATTA lasciavano già intuire.
Indipendentemente, quindi, dalla dichiarazione di prescrizione che deve essere emessa nei confronti di SICILIANO, ZORZI, ANDREATTA e FREZZATO in relazione ai reati connessi all’attentato al COIN di Mestre, è certo che tale episodio, per il quale è stato speso tanto lavoro investigativo e, da parte dell’ambiente mestrino, tanti sforzi per occultare la verità, costituisce sul piano logico/indiziario una delle parti centrali della ricostruzione e del patrimonio complessivo delle indagini collegate.