A partire dall’autunno 1995, momento in cui è stato possibile riprendere gli interrogatori, Carlo DIGILIO ha reso dichiarazioni via via sempre più fitte e particolareggiate sul meccanismo che aveva portato agli attentati del 12.12.1969.
Egli ha in primo luogo rivelato che vi era stato un altro incontro operativo con Delfo ZORZI proprio nel periodo intercorrente fra l’attentato alla Scuola Slovena (ottobre 1969) e gli attentati del 12.12.1969 e che Delfo ZORZI in tale occasione, oltre a farsi ripetere da Carlo DIGILIO alcuni dettagli tecnici sull’approntamento degli inneschi per i congegni esplosivi, gli aveva rivelato che il gruppo ormai disponeva di un elettrotecnico che aveva insegnato l’uso di un timer per chiudere il circuito e provocare così l’esplosione in modo sicuro ed efficiente (int.4.1.1996, f.3, e 13.1.1996, f.2).
Nel corso dello stesso incontro Delfo ZORZI aveva ammesso dinanzi a Carlo DIGILIO che alle migliorie sul piano tecnico non aveva corrisposto un progresso degli uomini destinati a far parte del gruppo operativo in quanto egli aveva dovuto rinunziare ad utilizzare uno dei militanti che "beveva e parlava troppo ed era quindi inaffidabile" (int.21.1.1996,. f.3).
Le ulteriori confidenze di Delfo ZORZI chiudono quindi il cerchio in merito al provvidenziale intervento dell’ "elettricista" o "elettrotecnico" e cioè Tullio FABRIS, il quale aveva reso possibile il passaggio all’utilizzo da parte del gruppo di uno strumento semplice e al tempo stesso affidabile come i timers per lavatrice al fine di temporizzare la chiusura dei circuiti.
Tale parte del racconto di Carlo DIGILIO (resa, si badi bene, senza che egli nulla sapesse delle nuove dichiarazioni rese da Tullio FABRIS) si salda perfettamente con il racconto dell’elettricista padovano e ne conferma l’assoluta attendibilità ed il fatto che quanto insegnato a FREDA e VENTURA in merito al funzionamento dei timers nello studio dello stesso FREDA fosse stato da questi ultimi immediatamente comunicato a Delfo ZORZI nella prospettiva di un rapido utilizzo di tale nuova tecnica di innesco.
Il militante escluso da Delfo ZORZI per la sua scarsa riservatezza e affidabilità operativa è certamente Martino SICILIANO, il quale non fu più chiamato ad operare dopo gli attentati di Trieste e Gorizia dell’ottobre 1969.
Anche tale circostanza costituisce un importantissimo riscontro in quanto testimonia l’assoluta sincerità di Martino SICILIANO allorché egli afferma di non essere stato utilizzato per l’operazione del 12.12.1969 per una complessa serie di ragioni, fra cui certamente il fatto che egli era stato individuato da alcuni investigatori della Questura di Trieste, probabilmente sulla base di una informazione confidenziale raccolta, come uno degli autori dell’attentato alla Scuola Slovena (int.SICILIANO, 12.9.1996, ff.4-5).
Con Delfo ZORZI vi era stato un successivo incontro, nel gennaio/febbraio 1970 a Mestre, e in tale occasione ZORZI aveva per la prima volta ammesso direttamente a Carlo DIGILIO quanto avrebbe in seguito confermato in occasione dell’incontro relativo al progetto di evasione di Giovanni VENTURA e cioè che egli aveva personalmente partecipato all’azione di Milano e che, nonostante tutti quei morti, tale azione "era stata importante perché aveva ridato forza alla destra e colpito le sinistre nel Paese" ed "aveva fatto piacere e aveva goduto dell’appoggio dei Servizi" (int. 21.1.1996, f.7).
Si ricordi del resto, collocando il commento di Delfo ZORZI nel momento in cui era avvenuto, che all’inizio del 1970 si era ben lontani dall’individuare o anche solo ipotizzare la responsabilità di Ordine Nuovo per gli attentati e che, al contrario, l’Autorità Giudiziaria, sollecitata e diretta in tale direzione dalle "indagini" del Ministero dell’Interno, aveva imboccato decisamente la pista anarchica arrestando Pietro VALPREDA e i suoi compagni e trascurando, nella sostanza, di sollecitare investigazioni nella direzione opposta.
Carlo DIGILIO ha poi riferito, nei primi interrogatori resi dal momento in cui, grazie al miglioramento delle sue condizioni di salute, è stato possibile riprendere l’attività istruttoria, in quale modo il gruppo mestrino abbia potuto procurarsi una ingente quantità di gelignite.
Tale circostanza è della massima importanza in quanto le perizie svolte nel corso dell’istruttoria milanese nei confronti di FREDA e VENTURA erano giunte alla conclusione che tale tipo di esplosivo era altamente compatibile con parte di quello usato per gli attentati del 12.12.1969, mentre sicuramente era gelignite l’esplosivo rinvenuto all’Ufficio Istruzione di Milano il 24.7.1969 (cfr., in ordine alla compatibilità fra la gelignite e gli esplosivi usati negli attentati del 1969, anche l’accertamento tecnico affidato da questo Ufficio al Servizio di Polizia Scientifica presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, vol.15, fasc.5, ff.3 e ss.).
Carlo DIGILIO, in uno dei suoi primi interrogatori (27.11.1973, ff.1-2), aveva fatto un rapido accenno alla figura di Roberto ROTELLI, esperto sommozzatore, simpatizzante di destra della zona di Venezia-Lido, il quale era specializzato nel recupero, dalle navi affondate al largo di Venezia, di materiale nautico suscettibile di essere rivenduto, e che, proprio per tale attività, disponeva di forti quantità di esplosivo.
Proprio Roberto ROTELLI era colui che, alla fine degli anni ‘60, aveva venduto al gruppo mestrino una notevole quantità di candelotti di gelignite.
Ecco il racconto di Carlo DIGILIO reso in data 5.1.1996:
"Roberto
ROTELLI, di cui ho fatto cenno in precedenti interrogatori, aveva una società
di recupero di materiale di valore da navi affondate. Quando c'era la necessità
di sfondare paratie, utilizzava la gelignite che poteva essere calata senza
difficoltà nella zona stagna delle navi; egli recuperava così soprattutto valori
dalla zona della poppa dove c'erano gli alloggi del Comandante.
ROTELLI, quindi, disponendo di gelignite per questi lavori, aveva distratto
una parte dell'esplosivo e mi disse che l'aveva messa nella sua casa di campagna.
Mi disse in seguito che era preoccupato perché la gelignite aveva cominciato
a trasudare e mi chiese consiglio.
Io mi meravigliai perché teneva in casa roba tanto pericolosa e gli consigliai
di avvolgere in carta di giornale tubo per tubo tutto l'esplosivo e di metterlo
in sacchi di juta contenenti segatura, ciò al fine di assorbire tutta l'umidità.
ROTELLI mi disse in seguito di avere fatto effettivamente così e che aveva spostato
l'esplosivo nel bunker sito sulle scogliere del Canale Alberoni-Petroli, esattamente
il bunker che ho riconosciuto nelle fotografie che mi avete mostrato ieri al
termine dell'interrogatorio.
Questo bunker aveva una porta metallica massiccia di cui ROTELLI aveva la chiave
e ricordo che questa porta era dipinta con del minio in parte color grigio e
in parte color rosso.
Domanda: Lei ha visto questi tubi di gelignite?
Risposta: ROTELLI me li mostrò quando mi chiese il consiglio a seguito del trasudamento
dello stesso. Ricordo che si trattava di tubi di color rosso mattone.
Questi avvenimenti si collocano alla fine degli anni '60.
ROTELLI faceva traffici di questo genere soprattutto per denaro e del resto
aveva svolto anche attività di contrabbando.
Era legato a Giampietro MONTAVOCI che come lui frequentava l'ambiente dei subacquei.
Delfo ZORZI conosceva ROTELLI in quanto questi era un simpatizzante di destra,
e quando seppe che ROTELLI era in grado di procurare silenziatori iniziò a fargli
"la corte" frequentandolo più assiduamente e in pratica per evitare
un mio interessamento che avrebbe potuto causare da parte di ROTELLI l'aumento
del prezzo.
ROTELLI vendette poi anche la gelignite a Delfo ZORZI, infatti mi disse che
da quando aveva venduto a ZORZI la gelignite si sentiva più tranquillo
perché non correva più pericoli legati a quella detenzione.
Preciso che ROTELLI viveva al Lido di Venezia in località Quattro Fontane e
aveva la casa colonica di cui ho appena parlato non distante dalla zona Quattro
Fontane, ma dall'altra parte del canale.
A domanda dell'Ufficio, non so dove ZORZI abbia sistemato la gelignite dopo
l'acquisto dal ROTELLI.
Posso ipotizzare, per via logica, che egli avesse trovato una sistemazione analoga
a quella inizialmente usata al ROTELLI e cioè in un casolare isolato dell'entroterra
di Mestre oppure che la gelignite sia stata depositata nel casolare di Paese
senza che io potessi vederla". (DIGILIO,
int. 5.1.1996, ff.1-3).
Nel successivo interrogatorio in data 13.1.1996, Carlo DIGILIO ha completato il racconto:
"In
merito alla gelignite, riprendendo il discorso già fatto nell'interrogatorio
in data 5.1.1996, posso aggiungere che ROTELLI mi fece vedere i candelotti nella
cantina della sua casaccia in zona Quattro Fontane.
I candelotti erano già nei sacchi di juta che erano almeno una diecina insieme
alla segatura e alla carta di giornale.
Sulla base delle loro dimensioni, erano quindi 150/200 candelotti.
A domanda dell'Ufficio, per quanto mi risulta, ROTELLI all'epoca non aveva pratica
nell'uso di esplosivi.
ROTELLI mi disse che intendeva vendere questo esplosivo che gli era costato
circa 5 milioni investendo proventi del contrabbando di sigarette.
ROTELLI mi fece il nome di ZORZI come possibile acquirente e io gli risposi
che la persona poteva andare bene, però doveva stare molto attento data la pericolosità
del soggetto.
Tempo dopo incontrai ZORZI a Mestre e gli chiesi se ROTELLI lo avesse contattato
ed egli mi rispose di sì.
In pratica io feci da intermediario in questo acquisto.
ZORZI mi chiese se secondo me l'affare era avvenuto in condizioni di sicurezza
e io gli risposi che ROTELLI aveva tutto l'interesse a stare zitto perché
si trattava di un affare illecito.
Prima della vendita, ROTELLI mi aveva chiesto di valutare l'esplosivo e io gli
chiesi da quanti anni lo aveva ed egli mi disse che erano un paio di anni.
Allora gli dissi che poteva calcolare l'aumento di valore del prezzo iniziale
in base al tempo passato e aggiungere qualcosa per il suo guadagno.
Preciso che fui io a inserire questo concetto un po' bancario nel prezzo di
vendita, anche in base alla mia formazione mentale.
ZORZI in seguito mi disse che aveva sistemato la gelignite in un posto asciutto
e cioè un casolare del mestrino simile a quello che avevo visto a Paese.
Da suoi accenni ho ragione di ritenere che questo casolare potesse trovarsi
a Spinea dove fra l'altro ZORZI e la sua famiglia avevano anche un interesse
commerciale quale un negozio di pelletteria o qualcosa del genere.
A D.R.: la vendita della gelignite si colloca fra il 1967 e il 1969, tempo prima
dell'incontro fra me e ZORZI in cui egli disse che aveva dovuto disfarsi di
un suo uomo.
A D.R.: ho appreso che in seguito il ROTELLI prese la licenza di fochino.
A D.R.: confermo che la gelignite che vidi era in candelotti di colore rosso
mattone.
Posso precisare che io maneggiai nella cantina di ROTELLI tre candelotti perché
egli mi chiese di controllarne il livello di trasudamento. Ricordo che questi
tre candelotti avevano una scritta jugoslava per tutta la loro lunghezza.
Voglio ribadire che ZORZI era molto preoccupato che si mantenesse la segretezza
di questo acquisto e io lo tranquillizzai che nessuno di noi aveva l'interesse
a parlarne.
Per la precisione vidi i candelotti due volte nella cantina, la prima volta
quando non erano stati ancora messi, su mio consiglio, nei sacchi di juta e
la seconda volta quando vi erano già stati messi.
Maneggiai i tre candelotti appunto per verificarne il trasudamento la prima
volta e ROTELLI li estrasse da una scatola di cartone". (DIGILIO,
int.13.1.1996, ff.2-3).
Il racconto di Carlo DIGILIO in merito all’acquisto dei candelotti di gelignite è certamente di grandissima importanza e costituisce una delle chiavi di interpretazione degli avvenimenti collegati alla campagna terroristica del 1969.
Gelignite avvolta in carta rossa paraffinata è stata infatti utilizzata per gli attentati dell’ottobre 1969 a Trieste e Gorizia e, come già si è accennato, è molto probabile che tale tipo di esplosivo abbia fatto parte di quello utilizzato per gli attentati del 12.12.1969 a Milano e a Roma.
Assai significativo è inoltre l’accenno fatto da Carlo DIGILIO ad un casolare nella zona di Spinea, utilizzato dal gruppo di ZORZI per le attività commerciali nel campo delle pelletterie, quale probabile luogo ove tale ingente quantità di esplosivo era stata occultata poiché, anni dopo, nel 1974, Marcello SOFFIATI, come si vedrà nel capitolo che segue, aveva fatto riferimento ad un casolare simile in relazione al prelevamento dell’ordigno transitato da Mestre a Verona.
I riscontri diretti e indiretti al racconto di Carlo DIGILIO in relazione alla persona di Roberto ROTELLI e alla disponibilità della gelignite da parte del gruppo sono inoltre numerosi e possono così essere evidenziati:
- Roberto ROTELLI, deceduto per cause naturali nel 1977, era effettivamente un simpatizzante di destra, titolare con Danilo PELLEGRINI di una società attrezzata per lavori marittimi e subacquei ed aveva altresì avuto vari procedimenti per reati comuni che ne testimoniano la disponibilità a traffici illeciti quali quelli descritti da DIGILIO (cfr. nota della Digos di Venezia in data 10.1.1994, vol.7, fasc.2, ff.302-303).
- l’audizione da parte di personale del R.O.S. Carabinieri di Danilo PELLEGRINI, per molto tempo socio di Roberto ROTELLI e di altre persone già vicine a quest’ultimo (cfr. verbali e nota riassuntiva del R.O.S. Carabinieri in data 12.1.1996, , vol.7, fasc.2, ff.23 e ss.), ha confermato che la società di recuperi subacquei disponeva di gelignite per le sue attività anche se Roberto ROTELLI, almeno sino al 1973, non era esperto nel diretto utilizzo degli esplosivi, circostanza questa che può spiegare le ragioni per cui egli aveva chiesto a DIGILIO dei consigli per evitare il trasudamento dei candelotti (cfr., in particolare, dep. Danilo PELLEGRINI, 11.1.1996, ff.34 e ss.).
Anche Pietro BATTISTON, del resto, ha accennato al fatto che l’esperto nelle tecniche atte ad evitare il trasudamento dell’esplosivo era nel gruppo Carlo DIGILIO e che il problema era sorto proprio in relazione a candelotti di gelignite (int. BATTISTON al P.M. di Milano, 29.9.1995, ff.1-2, vol.13, fasc.3).
- Anche Martino SICILIANO ha ricordato che Roberto ROTELLI era un simpatizzante di destra della zona del Lido, amico fra l’altro di DIGILIO, ROMANI, MOLIN e Gastone NOVELLA e che per la sua attività di recuperi da navi affondate disponeva di esplosivi (int. 18.3.1996, f.6).
Marco FOSCARI, inoltre, gli aveva riferito che ROTELLI era uno degli autori di un attentato che, all’inizio degli anni ‘60, aveva avuto un valore simbolico per la destra e cioè l’attentato al monumento alla "Partigiana", collocato a S. Elena.
Roberto ROTELLI, per avvicinarsi al monumento e per commettere l’episodio, aveva proprio sfruttato la sua abilità di subacqueo partendo dal Lido a nuoto e riguadagnando sempre a nuoto la riva dopo avere collocato l’ordigno (int. SICILIANO, 6.10.1995, f.6, e, in merito alle modalità dell’attentato, avvenuto il 26.7.1961, cfr. nota della Sezione Anticrimine dei Carabinieri di Padova in data 2.12.1995 e atti allegati, vol.8, fasc.2).
- Il bunker, risalente alla seconda guerra mondiale, nella zona del canale Alberoni/Petroli, indicato da Carlo DIGILIO come temporaneo luogo di occultamento della gelignite, è stato individuato in quello ancora esistente appunto lungo il Canale dei Petroli, nei pressi del Porto di Malamocco, un tempo in uso al Gruppo Subacquei San Marco di cui faceva parte Roberto ROTELLI (cfr. verbale di sopralluogo del R.O.S. Carabinieri in data 15.2.1996 e allegato album fotografico, vol.7, fasc.3, ff.8 e ss.).
In proposito Martino SICILIANO ha ricordato che quasi tutti i componenti del Gruppo Subacquei erano simpatizzanti di destra e che il bunker era frequentato da persone dell’ambiente di Ordine Nuovo di Venezia, fra cui Paolo MOLIN che probabilmente disponeva anche delle chiavi del medesimo (int. SICILIANO, 19.9.1996, ff.1-2).
- Gastone NOVELLA, simpatizzante di Ordine Nuovo nella zona del Lido di Venezia, ha tratteggiato la figura di Roberto ROTELLI in sintonia con le altre acquisizioni processuali, ricordando che si trattava di una persona che "per soldi si prestava a tutto: insomma, uno che aveva lo spirito del mercenario" (dep. 9.12.1995, f.3).
NOVELLA, croupier presso il Casinò di Venezia, ha inoltre riferito che il nome di Roberto ROTELLI veniva ricollegato, da voci d’ambiente, ad un attentato dimostrativo su una scala esterna del Casinò avvenuto all’inizio degli anni ‘60 (dep. citata, f.3).
- Inoltre Vincenzo VINCIGUERRA, sin dagli interrogatori resi a metà degli anni ‘80, dopo che egli aveva deciso di fare chiarezza sui rapporti intercorsi fra i suoi ex-camerati di Ordine Nuovo e gli apparati dello Stato, aveva riferito che il dr. Carlo Maria MAGGI, negli anni 1971/1972, aveva ceduto a lui e agli altri componenti della cellula di Udine tre candelotti di esplosivo proveniente dalla Jugoslavia facendo presente che si trattava di esplosivo di notevole potenza e quindi da utilizzare con particolare attenzione (int. VINCIGUERRA al G.I. di Brescia, 3.7.1985, vol.6, fasc.5, ff.24-25).
Il gruppo di Udine, non sapendo come utilizzare tale esplosivo e preferendo utilizzare per gli attentati in progettazione l’esplosivo da cava di cui disponeva, si era disfatto di tali tre candelotti.
La provenienza jugoslava e la considerevole potenza del materiale ceduto dal dr. MAGGI a VINCIGUERRA è in assonanza con il racconto di Carlo DIGILIO e non è escluso che tali candelotti provenissero dalla dotazione costituita dai candelotti acquistati da Roberto ROTELLI, parte dei quali, come ricordato da Carlo DIGILIO, erano appunto di provenienza jugoslava.
In conclusione, il racconto di Carlo DIGILIO ha trovato validi elementi di conferma sia in relazione alla figura e al ruolo di Roberto ROTELLI sia in relazione alla disponibilità da parte del gruppo mestrino dei candelotti di gelignite, circostanza questa di eccezionale importanza nel contesto degli avvenimenti del 1969.