Carlo DIGILIO, con gli interrogatori resi a questo Ufficio soprattutto a partire dall’autunno 1996, ha cominciato ad entrare nel vivo degli avvenimenti che hanno preceduto la giornata del 12.12.1969 anche se, con ogni probabilità, il suo racconto è ben lungi dall’essere completo e dovrà ancora essere sviluppato e approfondito all’interno delle indagini collegate in corso presso la Procura della Repubblica di Milano.
Dopo la riunione di consuntivo del settembre 1969, relativa agli attentati ai treni e di cui si è già parlato nel capitolo precedente, la "progressione criminosa" della struttura veneta di Ordine Nuovo non si era certo conclusa ed anzi si stava avvicinando alla fase culminante dell’operazione terroristica.
All’inizio di ottobre del 1969 vi erano stati gli attentati di Trieste e Gorizia, ulteriore prova generale illustrata nel capitolo 15 di questa ordinanza, e, alla fine di ottobre, Carlo DIGILIO aveva nuovamente incontrato Delfo ZORZI a Mestre:
"Il
fatto che si stesse preparando qualcosa di importante mi era del resto già stato
reso evidente da un altro incontro che avvenne con Delfo ZORZI a fine ottobre
1969 a Mestre.
Sono certo della data in quanto ricordo che si trattava di pochi giorni prima
delle festività dei Santi e dei Morti e il ricordo di tali ricorrenze in quell'anno
è per me vivo in quanto collegato al fatto che dovetti cambiare la lampada votiva
sulla tomba di mio padre che era stata infranta da vandali i quali avevano anche
scritto frasi oltraggiose nei confronti del Corpo della Guardia di Finanza a
cui mio padre apparteneva.
Anche in tale occasione fu ZORZI a chiamarmi al telefono dandomi appuntamento
in Corso del Popolo e l'incontro si limitò ad alcuni discorsi sui temi legati
al funzionamento e all'innesco degli ordigni esplosivi senza che ZORZI portasse
e mi mostrasse del materiale.
In particolare egli mi chiese se i candelotti di gelignite, di cui lui già disponeva,
potevano essere usati interi e cioè essere inseriti in una cassetta metallica
senza prima essere tagliati a metà.
In particolare ZORZI si era convinto che se fossero stati usati i candelotti
interi in una cassetta metallica vi era la possibilità che non sarebbero esplosi
completamente e che quindi la cosa migliore era quella di tagliarli.
Io gli risposi che era un'idea assolutamente infondata in quanto i candelotti
sono fatti per essere utilizzati interi e anzi tagliarli a metà costituisce
un ulteriore pericolo soprattutto se si usa una lama metallica che potrebbe
anche causare una scintilla e farli esplodere durante tale operazione".
(DIGILIO, int.17.5.1997,
f.9).
I dubbi espressi da Delfo ZORZI a Carlo DIGILIO trovano riscontro nel fatto che, per ragioni che non sono del tutto chiare, i candelotti di gelignite utilizzati per gli attentati di Trieste e Gorizia erano stati tagliati a metà, come è chiaramente visibile dal fascicolo dei rilievi fotografici relativi a tali attentati (cfr. vol.14, fasc.3, f. 5-bis).
E’ possibile che tale operazione fosse semplicemente dovuta al fatto che altrimenti i candelotti sarebbero entrati a fatica nelle cassette militari che dovevano contenere l’ordigno.
Carlo DIGILIO aveva comunque fornito a ZORZI, anche in tale occasione, i suoi consigli in merito alle modalità di maneggio dell’esplosivo che certamente stava per essere nuovamente utilizzato.
Carlo DIGILIO ha iniziato ad affrontare l’argomento concernente gli avvenimenti successivi al settembre/ottobre 1969 in modo molto limitato affermando, nell’interrogatorio in data 30.8.1996, che all’inizio di dicembre 1969 il dr. MAGGI gli aveva comunicato che nel giro di una settimana vi sarebbero stati "gravi attentati", che era necessario cautelarsi procurandosi un alibi per ciascuna giornata e che dovevano essere avvertiti Giorgio BOFFELLI ed anche i simpatizzanti più giovani affinché, grazie soprattutto all’esperienza dello stesso BOFFELLI, fossero evitati i rischi connessi ad eventuali reazioni degli avversari politici di estrema sinistra (f.3).
Era anche necessario, secondo le indicazioni del dr. MAGGI, far sparire armi ed altro materiale compromettente dalle abitazioni dei militanti, in previsione di perquisizioni, e infatti Carlo DIGILIO si era subito liberato di munizioni che deteneva in casa illegalmente (int. 9.10.1996, f.12).
Anche lo stesso dr. MAGGI si sarebbe preparato un alibi per i giorni cruciali, allontanandosi da Venezia per recarsi in montagna e interrompendo apparentemente i contatti con i militanti (int. 10.9.1996, f.3).
L’ordigno fatto visionare da Delfo ZORZI, il 6 o 7 dicembre, a Carlo DIGILIO in una zona isolata di Mestre, lungo un canale, in sintonia con il preannunzio del dr. MAGGI, sarà l’oggetto dell’esposizione del prossimo capitolo.
Riprendendo invece, per comodità di lettura, il filo dei rapporti con il dr. MAGGI in quel dicembre 1969, Carlo DIGILIO ha dichiarato di averlo rivisto pochissimi giorni prima del Natale 1969, affrontando con lui, subito, il problema degli avvenimenti del 12.12.1969.
Questa era stata la risposta del dr. MAGGI:
"Io
rividi MAGGI pochissimi giorni prima del Natale 1969, appunto appena rientrò
da Sappada, e gli chiesi una giustificazione ed una spiegazione di quanto era
successo a Milano e Roma.
Egli mi rispose che non dovevo fare critiche né di tipo morale, né di tipo strategico,
in quanto i fatti del 12 dicembre erano solo la conclusione di quella che era
stata la nostra strategia maturata nel corso di anni e che c'era una mente organizzativa
al di sopra della nostra, che aveva voluto questa strategia.
Io gli risposi che in questo modo la destra avrebbe perso credito ed in più
noi tutti avremmo rischiato di persona. Lui mi rispose che non dovevamo preoccuparci,
perché chi aveva organizzato questa strategia aveva anche pensato a come portare
le indagini su altri e così effettivamente stava succedendo". (DIGILIO,
int.10.9.1996).
Era giunto a Venezia, quel medesimo giorno, anche Marcello SOFFIATI con il quale DIGILIO aveva potuto parlare separatamente prima dell’incontro con il dr. MAGGI:
"Nei giorni di Natale venne poi a Venezia il SOFFIATI, anche per fare i saluti ai camerati, ed io riuscii a parlargli in modo appartato. Marcello mi disse che per fortuna MAGGI non lo aveva "mosso" per i fatti del 12 dicembre e ne era contento, visto come erano andate le cose. Aggiunse che, invece, MAGGI si era occupato personalmente di "muovere" alcuni elementi di Trieste che erano andati a Roma per integrare la parte dell'operazione che era avvenuta a Roma, parte che era stata gestita soprattutto da DELLE CHIAIE che egli indicò in forma un po’ dispregiativa come ‘Caccola’ ". (DIGILIO, int.10.9.1996).
In un successivo interrogatorio, Carlo DIGILIO ha descritto con maggior precisione la cena allo Scalinetto in cui era stata fatta una sorta di consuntivo dell’operazione:
"Ci
incontrammo allo Scalinetto a cena io, SOFFIATI e il dr. MAGGI e quest'ultimo
offrì la cena.
Io riuscii a parlare con Marcello in modo appartato prima che arrivasse MAGGI
e che la cena iniziasse.
Qui Marcello mi disse, come ho già accennato, che ringraziava il cielo che MAGGI
non lo avesse utilizzato per i fatti del 12 dicembre e che invece lo stesso
MAGGI aveva "mosso" elementi di Trieste che erano stati inviati a
Roma.
Quella sera si lasciò un po' andare e aggiunse che per gli attentati del 12
dicembre erano partiti alla volta di Milano Delfo ZORZI e i mestrini di sua
fiducia viaggiando con la FIAT 1100 di MAGGI.
Ebbi così conferma di quello che mi aveva detto lo stesso MAGGI pochi giorni
prima e che cioè la responsabilità di quanto era avvenuto era del gruppo di
Ordine Nuovo.
Durante la cena che seguì non si ritornò apertamente sul discorso, anche se
MAGGI chiese conferma anche a Marcello SOFFIATI che nei giorni precedenti non
vi fossero stati controlli di Polizia o perquisizioni a Verona.
La risposta di SOFFIATI fu negativa e del resto anche a Venezia, nelle settimane
precedenti, tutto era stato tranquillo almeno per quanto concerne le persone
vicine al nostro gruppo.
MAGGI si limitò ad aggiungere, anche dinanzi a SOFFIATI, quanto già aveva detto
a me alcuni giorni prima e cioè che la decisione degli attentati era stata presa
a livello molto alto da persone che dirigevano la strategia anche da Roma.
MAGGI concluse il discorso dicendo di stare tranquilli perché tutto era sotto
controllo".
(DIGILIO, int.5.10.1996, f.12).
Il dr. MAGGI aveva aggiunto che Giovanni VENTURA era stato il coordinatore dell’operazione del 12.12.1969 per il Nord-Italia, e cioè per la parte organizzativa veneta dell’operazione, mentre gli uomini erano stati selezionati personalmente da Delfo ZORZI quale responsabile militare (int. 21.2.1997).
L’utilizzo della FIAT del dr. MAGGI, giudicato anche da Marcello SOFFIATI una grossa imprudenza che lo stesso MAGGI avrebbe dovuto impedire (int. 21.2.1997, f.2), non era comunque una sorpresa per Carlo DIGILIO.
Verso la fine di ottobre 1969 vi era stato infatti, a Mestre in Corso del Popolo, un altro incontro fra ZORZI e MAGGI e DIGILIO che erano giunti appositamente da Venezia.
Delfo ZORZI aveva fatto presente al dr. MAGGI, con riferimento agli attentati di Trieste e Gorizia appena avvenuti, che lui e i suoi uomini avevano rischiato la vita fornendo un contributo non paragonabile a quello del dr. MAGGI, il quale si era limitato a dare la vettura e i fondi per l’operazione (int. 21.2.1997, f.3).
L’autovettura del dr. MAGGI, secondo Delfo ZORZI, sarebbe comunque presto servita ancora e il dr. MAGGI non si era tirato indietro, consegnando a ZORZI, al termine dell’incontro, del denaro e un mazzo di chiavi (int. 22.2.1997, f.2).
Sempre durante la cena a Colognola, Carlo DIGILIO aveva fatto cenno agli anarchici arrestati per gli attentati del 12.12.1969 e il dr. MAGGI "in modo ironico ma con sicurezza" aveva spiegato che "l’incriminazione degli anarchici era una mossa strategica che era stata studiata dai Servizi Segreti al momento in cui era stata concepita l’intera operazione" (int.17.5.1997, f.10).
Poco tempo dopo, del resto, Sergio MINETTO, a Colognola durante un altro incontro a casa di Bruno SOFFIATI, si era espresso in termini analoghi facendo capire che era perfettamente al corrente della responsabilità della struttura di Ordine Nuovo e non degli anarchici, ma che comunque "nella lotta contro il comunismo, che era un’esigenza primaria, vi erano azioni le cui conseguenze erano un male necessario" (int. 17.5.1997, f.10).
Carlo DIGILIO, quindi, sia prima sia dopo gli attentati del 12.12.1969, aveva ricevuto notizie sufficientemente dettagliate in merito a come si era concluso il programma strategico iniziato con gli attentati della primavera precedente: il ruolo di coordinamento svolto da VENTURA e dal dr. MAGGI; la responsabilità militare di Delfo ZORZI per la strage di Milano; l’apporto fornito dagli avanguardisti di Stefano DELLE CHIAIE per gli attentati "minori" di Roma; il coinvolgimento operativo della cellula triestina; il preordinamento da parte dei Servizi di sicurezza italiani (con ogni probabilità il Servizio civile e cioè l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno) della pista anarchica.
Si tratta, come è facile rilevare, di elementi in perfetta sintonia con le restanti acquisizioni processuali relative sia all’attività della struttura occulta di Ordine Nuovo nel suo complesso sia, secondo le dichiarazioni di Tullio FABRIS, Martino SICILIANO e Edgardo BONAZZI, a come era stata preparata ed eseguita l’operazione del 12.12.1969.
Resta solo da vedere quanto riferito da Carlo DIGILIO in merito all’ordigno fattogli visionare, nella sua consueta veste di tecnico e supervisore, da Delfo ZORZI pochissimi giorni prima degli attentati.