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L’ORDIGNO VISIONATO DA CARLO DIGILIO A MESTRE IL 7.12.1969

Prima di esporre quanto riferito da Carlo DIGILIO in merito al punto centrale e cioè l’ordigno fattogli visionare a Mestre da Delfo ZORZI il 6 o il 7 dicembre 1969, merita di essere riportato anche quanto DIGILIO aveva appreso da VENTURA circa una riunione a Padova finalizzata alla messa a punto della strategia terroristica.

Carlo DIGILIO ha infatti parlato di tale riunione solo nel decisivo interrogatorio del 16.5.1997, poco prima di rivelare quanto era avvenuto in occasione del terzo accesso al casolare di Paese, e quanto Delfo ZORZI gli aveva mostrato a Mestre pochissimi giorni prima della strage:

"Spontaneamente intendo dire che ho sentito parlare di una importante riunione a Padova che dovrebbe identificarsi in quella di cui si è lungamente parlato durante le indagini sugli attentati del 1969.
Questa riunione si tenne a Padova nella primavera del 1969.
Io non vi partecipai, ma me ne parlò in seguito VENTURA, nell'autunno dello stesso anno in una delle occasioni in cui mi recai a Treviso nella sua libreria per vendere le monete di mio padre e anche per comprare dei libri.
In quel momento erano già avvenuti i primi attentati e in particolare da non molto quello all'Ufficio Istruzione di Milano e quelli sui treni.
Parlammo degli eventi che erano nati dal lavoro fatto a Paese e VENTURA mi disse che tutto sommato gli attentati ai treni erano andati bene e che il lavoro organizzativo procedeva bene e che era stata sperimentata l'operatività di un alto numero di persone, compresi gli elementi triestini, superando i problemi connessi allo spostamento nelle varie stazioni ferroviarie nelle quali si era agito.
Mi disse che la campagna non era finita e che altri gruppi di attentati sarebbero stati avviati nell'intento di far fare una scelta al mondo militare e a ruota di questo anche a certi politici di Roma.
VENTURA quindi ribadì che gli attentati non erano l'impresa di quattro pazzi, ma facevano parte di un piano ben preciso.
Aggiunse che questo progetto era partito con una riunione a Padova nella primavera, che aveva visto presenti i padovani, i veneziani, alcuni di Treviso, fra cui lui stesso, e il capo di Ordine Nuovo, Pino RAUTI.
Disse che la riunione si era svolta in una casa privata.
Non sono in grado di dire se tale riunione sia la stessa di cui hanno poi parlato ampiamente anche i giornali, ma comunque VENTURA me la indicò come momento di definizione della strategia".
(DIGILIO, int. 16.5.1997, ff.3-4).

I soggetti presenti e i contenuti della riunione sono quindi in assoluta corrispondenza con le altre riunioni preparatorie cui aveva preso parte anche Martino SICILIANO (int. SICILIANO, 6.10.1996, f.2).

Infine Carlo DIGILIO si è risolto a rivelare quanto gli era stato chiesto di visionare a Mestre, in una zona isolata, cinque o sei giorni prima degli attentati:

"A questo punto intendo riferire quanto io vidi nella disponibilità di ZORZI nel dicembre 1969 qualche giorno dopo l'allarme che diede il dr. MAGGI in merito a quanto stava per accadere e qualche giorno prima degli attentati del 12 dicembre 1969.
Sono quasi certo che quanto sto per raccontare avvenne uno o due giorni prima dell'Immacolata, che cade l'8 dicembre.
Premetto che quando MAGGI, ai primi di dicembre, mi disse di stare in allerta e di avvisare altri camerati come BOFFELLI, mi disse anche che, per quanto mi riguardava personalmente, avrei ricevuto una chiamata da ZORZI che avrebbe avuto bisogno della mia presenza.
Infatti Delfo ZORZI mi chiamò per telefono dicendomi che aveva bisogno di una "consulenza", espressione che io capii benissimo cosa voleva dire.
Arrivai a Piazza Barche, dove mi aveva dato l'appuntamento, nel tardo pomeriggio e ZORZI mi accompagnò in quella zona un po' isolata vicino al canale dove c'eravamo incontrati altre volte e dove in particolare avevamo esaminato il materiale proveniente da Vittorio Veneto di cui ho parlato nel verbale in data 30.8.1996.
Mi portò in un punto molto riparato dove era parcheggiata la FIAT 1100 di MAGGI.
Qui aprì il portabagagli posteriore in cui c'erano tre cassette militari con scritte in inglese, due più piccole e una un po' più grande.
Aprì tutte e tre le cassette e all'interno di ciascuna c'era dell'esplosivo alla rinfusa e in particolare quello a scaglie rosacee che avevo visto a Paese e dei pezzi di esplosivo estratto dalle mine anticarro recuperate dai laghetti.
In ogni cassetta, affondato nell'esplosivo c'era una scatoletta metallica con un coperchio, come quelle che si usavano per il cacao, che conteneva il congegno innescante che era stato preparato, come lui mi disse, da un elettricista.
Effettivamente quello che intravidi era una scatoletta di cartone a forma di parallelepipedo che nella parte superiore aveva una cupoletta completamente avvolta con del nastro isolante lasciato un po' molle e questa specie di cappellotto impediva di vedere come fosse fatto esattamente il congegno.
ZORZI mi disse di essere perfettamente sicuro di questo congegno, ma la cosa che lo preoccupava era la sicurezza generale dell'esplosivo che doveva trasportare e cioè se poteva esplodere a seguito di scossoni, anche molto probabili in quanto la macchina di MAGGI era vecchia.
Mi disse che di lì a qualche giorno doveva trasportare queste cassette fino a Milano e che comunque aveva previsto una fermata a Padova appunto per cambiare macchina e prenderne una più molleggiata, oltre che per mettere a posto il congegno.
Io lo rassicurai circa la sicurezza generale dell'esplosivo che non mostrava segni di essudazione che ne alterassero la stabilità.
Piuttosto avrebbe dovuto fare molta attenzione all'innesco che mi sembrava la parte più delicata.
Faccio presente che ciascuna delle due scatole piccole c'era almeno un chilo di esplosivo e un po' di più nella terza più grande.
Ci spostammo a piedi dal luogo e prima di lasciarci Delfo fece cenno ad una persona che stava sotto un porticato di Piazza Barche di raggiungerlo e vidi che si trattava di suo fratello e cioè quel giovane con i capelli lunghi e di bell'aspetto che avevo già visto una delle volte in cui nello stesso punto avevamo esaminato le armi di LINO FRANCO e che era venuto con una autovettura DIANE.
Faccio presente che io del resto sapevo che ZORZI non sapeva guidare e quindi per spostarsi in macchina doveva ricorrere di volta in volta appunto a suo fratello o a MARIGA che faceva parte del suo gruppo.
Io ovviamente mi resi conto che la richiesta di ZORZI era collegata ai fatti che MAGGI aveva preannunziato pochi giorni prima.
Quando in seguito, nei giorni di Natale, rividi MAGGI a Venezia gli dissi che avevo visionato gli ordigni.
Quando SOFFIATI, prima della cena di cui ho parlato in data 5.10.1996, mi fece cenno al rischio che MAGGI aveva corso, io in effetti sapevo già quanto era avvenuto".
(DIGILIO, int. 16.5.1997, ff.6-7).

Nell’interrogatorio reso il giorno successivo, Carlo DIGILIO ha completato il suo racconto spiegando che le cassette militari erano solo un contenitore temporaneo, destinato ad essere subito sostituito da cassette portavalori, di marca JUWEL, già nella disponibilità del gruppo:

"Riprendendo questo episodio, faccio innanzitutto presente che nel bagagliaio della FIAT 1100, oltre alle tre cassette metalliche c'era solo una borsa sportiva di quelle che normalmente si usano per la palestra, borsa che ZORZI non aprì e in merito alla quale non fece alcun cenno.
Le tre cassette metalliche avevano delle scritte in inglese e mi sono ricordato che io feci notare a ZORZI che la loro evidente caratteristica di cassette militari ad un eventuale controllo avrebbe destato molto sospetto e creato seri pericoli per chi la trasportava di essere sottoposto ad una verifica.
Fra l'altro notai che le tre cassette non erano nemmeno coperte da un telo ed erano subito visibili appena aperto il bagagliaio.
Feci notare tale circostanza a ZORZI e questi mi rispose che comunque non c'era da preoccuparsi perché il problema era già stato affrontato in quanto il gruppo stava per acquistare delle cassette metalliche che non davano nell'occhio in quanto erano quelle utilizzate normalmente per la custodia di valori.
Mi fece anche il nome JEWEL o JUWEL che era la marca allora più nota per questo tipo di cassette.

Ritornando alla descrizione di quello che vidi, confermo che in ogni cassetta c'era uno di quei barattoli di cui ho parlato ieri, praticamente immerso nell'esplosivo che era sfuso.
Non mi azzardai a toccare questi barattoli, intravedendo solo la sommità della scatola a forma di parallelepipedo che ho già descritto, per evidenti motivi di sicurezza.
Chiesi comunque a ZORZI che tipo di innesco fosse e questi mi rispose che era un meccanismo di assoluta sicurezza preparato per il gruppo da un elettricista.
E' possibile che i pezzi di tritolo che vidi nelle cassette militari fossero il materiale recuperato dalle scatolette non utilizzate per gli attentati ai treni dell'agosto.
Infatti noi avevamo approntato almeno due dozzine di scatolette e cioè un numero molto superiore al numero degli attentati che poi effettivamente avvenne e il numero e la grossezza dei pezzi di tritolo che si trovavano nelle cassette militari corrispondeva grosso modo a quello che poteva essere recuperato dalle scatolette non utilizzate".
(DIGILIO, int. 17.5.1996, ff.8-9).

Gli ultimi elementi forniti così da Carlo DIGILIO appaiono decisivi.

Le cassette portavalori di marca Juwel, occultate all’interno di borse di similpelle, hanno infatti contenuto i cinque ordigni deposti a Milano e a Roma il 12.12.1969, aumentando la potenza della deflagrazione e del resto, già nel corso della prima istruttoria nei confronti di FREDA e VENTURA, Tullio FABRIS aveva riferito che Franco FREDA gli aveva chiesto , nel settembre 1969, consigli per l’acquisto di cassette metalliche in cui dovevano essere messi, secondo le parole di FREDA, i "commutatori" e cioè i timers acquistati proprio insieme a FABRIS.

Gli oggetti a forma di parallelepipedo con una cupoletta, protetti da un barattolo e immersi nell’esplosivo (e cioè il congegno innescante preparato, secondo le parole di ZORZI, da un elettricista) corrispondono e non potevano essere altro che i timers acquistati proprio grazie all’elettricista Tullio FABRIS che questi, nello studio legale di Padova, aveva insegnato a FREDA e VENTURA a far funzionare affinché tali nozioni fossero riportate ad un altro elemento operativo del gruppo, certamente da identificarsi in Delfo ZORZI.

Si osservi inoltre, a titolo di completamento del quadro di tale decisivo incontro fra ZORZI e DIGILIO, che Martino SICILIANO ha riferito che la zona isolata lungo un canale, non distante da Piazza Barche, era appunto uno dei punti di incontro del gruppo, anche perché nei pressi si trovava una palazzina ove aveva, all’epoca, la nuova sede la palestra di arti marziali e che effettivamente Rudi ZORZI, come ricordato da Carlo DIGILIO, disponeva in quel periodo di una autovettura Diane essendo anche munito, a differenza di Delfo, della patente di guida (int. SICILIANO, 24.6.1997, f.3).

Molto probabilmente quanto riferito da Carlo DIGILIO in merito agli attentati del 12.12.1969 e agli avvenimenti che li avevano preceduti non è ancora tutto quanto a sua conoscenza, ma è certo che, con gli interrogatori del 15 e 16 maggio 1997 resi a questo Ufficio, egli ha fornito gli elementi di raccordo fondamentali per comprendere il meccanismo operativo finale cui aveva portato la progressione criminosa del gruppo, iniziata nella primavera del 1969, anche sotto il profilo della preparazione politica e strategica studiata sin dagli anni ancora precedenti.

Rimangono solo, prima di concludere questa parte dell’ordinanza dedicata alla strage di Piazza Fontana, da esporre gli elementi di collegamento emersi per la prima volta, nel corso di questa istruttoria, fra gli avvenimenti del 12.12.1969 e l’attentato commesso da Gianfranco BERTOLI dinanzi alla Questura di Milano il 17.5.1973, elementi di collegamento connessi alla figura e al ruolo svolto dall’on. Mariano RUMOR.


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